"Partire dall'unico inizio possibile, ossia da Gesù"

Omelia del patriarca Moraglia alla GMG Triveneta “Io, Te e Rio”

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Riprendiamo il testo dell’omelia pronunciata stamane dal Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, durante la Messa celebrata alle ore 7.30 sulla spiaggia dello stabilimento InDiga a Sottomarina di Chioggia con gli oltre 3000 giovani del Triveneto (e non solo) che hanno partecipato tra sabato 27 e domenica 28 luglio all’iniziativa “Io, Te e Rio”.

***

“Bota fé” (Metti fede): con queste parole di papa Francesco mi rivolgo a voi, carissimi giovani, che partecipate a questa celebrazione eucaristica che unisce noi, qui convenuti presso il litorale di Sottomarina a Chioggia, e quanti sono arrivati da tutto il mondo alla plaja di Rio de Janeiro. L’esortazione di papa Francesco – “Bota fé” (Metti fede), traduce in modo immediato, coinvolgente e trascinante il tema di questa XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù 2013: “Andate e fate discepoli tutti i popoli!” (Mt28,19).

Vi sono tanti tipi di lontananza. La lontananza che si misura spazialmente e allora noi siamo lontanissimi da Rio de Janeiro, da papa Francesco: sono, infatti, quasi diecimila i chilometri che separano la piccola Chioggia – il nostro Veneto – dalla grande Rio de Janeiro – l’immenso paese che è il Brasile -, il mare di Sottomarina dalla playa di Copacabana. Ma la lontananza spaziale non vuol dire assolutamente lontananza di cuori, d’idealità, di progetti, d’amore.

Così tutti siamo idealmente uniti a papa Francesco e al milione e più di giovani accorsi a Rio da ogni parte del mondo. E uniti idealmente non vuol dire vicini per finta. No, tutti ci sentiamo adunati ai piedi del grande Cristo Redentor, come lo chiamano i brasiliani, l’imponente statua del Cristo – alta 38 metri – che dalla cima del Corcovado, a 700 metri di altezza sul livello del mare, domina la città e la baia di Rio de Janeiro. Il Cristo Redentor – come lo chiamano i brasiliani – è un simbolo della città carioca ed è annoverato, dal 2007, fra le sette meraviglie del mondo moderno.

Nate da un intuizione di Giovanni Paolo II, le Giornate Mondiali della Gioventù – ormai da ventotto edizioni, dal lontano 1985 – dicono con il linguaggio dei giovani e con il loro stile inimitabile la volontà, il piacere, la gioia, la bellezza di dire il proprio credere. La GMG ci aiuta a dire la fede in quella stagione della vita in cui si pensa soprattutto al proprio futuro e in cui tutto sembra sorridere a chi, con la forze e le risorse illimitate della gioventù, va incontro alla vita con l’entusiasmo del teenager.

Comunque sia, Giovanni Paolo II non ha mai inteso considerarsi il fondatore della GMG. Piuttosto amava dire: «I giovani le hanno create».Egli desiderava soltanto esprimere ed incoraggiare le aspirazioni dei giovani ad avere un proprio spazio nella Chiesa e nel mondo.

Un giovane non chiede se il mondo è in vendita, semplicemente lo desidera come suo per poter pensare e progettare, in grande, coi propri coetanei quello che avverte e desidera per sé e per gli altri. E’ essenziale che in tale stagione della vita Cristo – con la sua piena reale, concretissima umanità – non sia considerato un estraneo ma, piuttosto, Colui che compie l’umano che è nell’adolescente e che l’adolescente sente crescere e debordare in sé.

Ma, ora, riascoltiamo quanto papa Francesco ha detto durante la cerimonia di accoglienza dei giovani a Copacabana; sono parole che, se accolte nel proprio cuore e poste a fondamento della propria vita quotidiana, sono in grado di segnare la ripartenza, un nuovo inizio della vita, come già è accaduto a molti giovani che oggi non sono più tali. Penso, ad esempio, a quanti hanno partecipato a tante precedenti edizioni della GMG.

Papa Francesco ha voluto partire dall’unico inizio possibile, ossia da Gesù. Non ha voluto indicare scorciatoie inesistenti o sentieri che finiscono, poi, per perdersi nella boscaglia e conducono tanti cuori, pur generosi e buoni, a smarrirsi per le vie che si presentano e si propongono come facili ma che, invece, mai riusciranno a dare felicità al cuore umano: “Gesù è Colui che ci porta Dio e che ci porta a Dio, con Lui tutta la nostra vita si trasforma, si rinnova e noi possiamo guar­dare la realtà con occhi nuovi, dal punto di vista di Gesù, con i suoi stessi occhi (Lumen fidei, 18). Per questo oggi vi dico con forza: «metti Cristo» nella tua vita e troverai un amico di cui fidarti sempre; «metti Cristo» e vedrai crescere le ali della speranza per percor­rere con gioia la via del futuro; ‘metti Cristo’ e la tua vita sarà piena del suo amore, sarà una vita feconda. Oggi, vorrei che tutti ci chiedessimo con sincerità: in chi riponiamo la nostra fiducia? In noi stessi, nelle cose, o in Gesù?” (Papa Francesco, Cerimonia di apertura a Copacabana della GMG 2013).

 La droga non dà felicità, il sesso facile e fine a se stesso inaridisce il vero rapporto d’amore, il guadagno come fine e scopo della vita apre ad un desiderio insaziabile di ulteriore guadagno e alla paura di perdere quanto si è accumulato, il potere inteso come fine a se stesso ci consegna al timore d’incontrare, molto presto, colui o coloro che possono detronizzarci dal nostro potere faticosamente conseguito.

Mi limito, qui, ad una sola esemplificazione, quella di Erode. Re Erode teme che Colui che viene da Betlemme, uno tra i minimi capoluoghi di Giuda, (e che lo può salvare perché è l’unico vero Re) gli tolga il potere, il suo piccolo potere di piccolo monarca, soggetto al vero potere che è quello di Roma. E, allora, cerca d’uccidere il bambino.

Riprendo le parole di papa Francesco a Copacabana rivolte ai partecipanti alla XXVIII Giornata della Gioventù perché possano recuperare il vero senso delle cose ma, soprattutto, il giusto rapporto con noi stessi: “Noi siamo tentati di metterci al centro, di credere che siamo solo noi a costruire la nostra vita o che essa sia resa felice dal possedere, dai soldi, dal potere. Ma non è così! Certo l’avere, il denaro, il potere possono dare un momento di ebbrezza, l’illusione di essere felici, ma, alla fine, sono essi che ci possiedono e ci spingono ad avere sempre di più, a non essere mai sazi. «Metti Cristo» nella tua vita, riponi in Lui la tua fiducia e non sarai mai deluso! Vedete cari amici – continua papa Francesco –, la fede compie nella nostra vita una rivoluzione che potremmo chiamare copernicana, perché ci toglie dal centro e lo ridona a Dio; la fede ci immerge nel suo amore che ci dà sicurezza, forza, speranza. All’apparenza non cambia nulla, ma nel più profondo di noi stessi tutto cambia. Nel nostro cuore dimora la pace, la dolcezza, la tenerezza, il coraggio, la serenità e la gioia, che sono i frutti dello Spirito Santo (cfr Gal 5, 22) e la nostra esistenza si trasforma, il nostro modo di pensare e di agire si rinnova, diventa il modo di pensare e di agire di Gesù, di Dio” (Papa Francesco, Cerimonia di apertura a Copacabana della GMG 2013).

Carissimi giovani, in quest’intenso clima spirituale, uniti a coloro che vivono la grazia della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, vi lascio alcuni punti di riflessione,  affinché la vostra vita divenga sempre più, tra le vostre mani, il capolavoro di Dio. Innanzitutto:

vi chiedo di fondare la vostra vita in Cristo e solo su di Lui;vi chiedo di considerare la vita come il tempo delle scelte; non abbiate paura delle scelte definitive, sono le poche che vi fanno realmente crescere o vi rendono felici;vi chiedo di scoprire il progetto che Dio ha su di voi, attraverso il silenzio e la preghiera;vi chiedo di sapervi aprire, nella vostra quotidianità, ad una reale visione di fede; vi riconcilierete con voi stessi, con gli altri, tornerete ad amare e a sentirvi amati;vi chiedo di avere, da adesso, grande rispetto e delicatezza per la vostra vita affettiva nella quale oggi –
nella vostra adolescenza – state giocando la vostra felicità di uomini e donne di domani;vi chiedo di amare sinceramente la Chiesa, Colei per cui Gesù ha dato se stesso;vi chiedo di testimoniate la fede presso i vostri coetanei, soprattutto dinanzi a coloro che sono o dicono di essere meno disposti verso Gesù Cristo e il suo Vangelo;vi chiedo di tornate a pregare ogni giorno, almeno per dieci minuti, incominciando a riscoprire quanto sia importante nella vita l’incontro con Dio;vi chiedo di guardare con stima la vita dei santi, ossia di coloro che hanno saputo dire Gesù Cristo là dove nessuno voleva sentire pronunciare questo nome;vi chiedo di riscoprire il sacramento della riconciliazione e la pratica dell’accompagnamento o direzione spirituale perché da qui rinasce la vita del cristiano; troppe volte nella nostra vita pensiamo di poter ricominciare percorrendo altre strade ed ecco il motivo di tante nostre paure e tristezze.

Carissimi giovani, vi saluto con grande affetto e con stima, dicendovi di non sciupare ma di valorizzare, al massimo, il dono della vita al suo inizio. Noi adulti non abbiamo più questo dono, voi sì; siatene consci.

Affido la conclusione di queste mie parole al carissimo papa Francesco che il Signore ci ha dato come guida e pastore: “ Caro giovane, cara giovane – dice papa Francesco –: «metti Cristo» nella tua vita. In questi giorni, Lui ti attende nella sua Parola; ascoltalo con attenzione e il tuo cuore sarà riscaldato dalla sua presenza; «Metti Cristo»: Lui ti accoglie nel Sacramento del perdono, per guarire, con la sua misericordia, le ferite del peccato. Non avere paura di chiedere perdono a Dio. Lui non si stanca mai di perdonarci, come un padre che ci ama. Dio è pura misericordia! – e il Santo Padre conclude – «Metti Cristo»: Lui ti aspetta nell’incontro con la sua Carne nell’Eucaristia, Sacramento della sua presenza, del suo sacrificio di amore, e nell’umanità di tanti giovani che ti arricchiranno con la loro amicizia, ti incoraggeranno con la loro testimonianza di fede, ti insegneranno il linguaggio della carità, della bontà, del servizio. Anche tu caro giovane, cara giovane, puoi essere un testimone gioioso del suo amore, un testi­mone coraggioso del suo Vangelo per portare in questo nostro mondo un po’ di luce” (Papa Francesco, Cerimonia di apertura a Copacabana della GMG 2013). 

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ZENIT Staff

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