Parla l'ultimo compagno di Giovanni Paolo II al seminario clandestino

di Chiara Santomiero

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ROMA, domenica, 8 maggio 2011 (ZENIT.org).- “Era l’agosto del 1944: quando a Varsavia scoppiò l’insurrezione contro i nazisti, il Cardinale Sapieha decise di riunire gli studenti in episcopio. Fu quella la prima volta che vidi Karol Wojtyla”.

Monsignor Kazimierz Suder, classe 1922, legge con voce pacata i ricordi annotati con scrittura minuziosa sui fogli bianchi poggiati davanti a lui. Dall’altra parte del tavolo, come studenti in attesa di un esame, i giornalisti venuti a Cracovia a raccogliere la testimonianza dell’ultimo sopravvissuto degli otto giovani che componevano il seminario teologico clandestino organizzato quando era già in corso la guerra dall’indomito Arcivescovo di Cracovia, Adam Sapieha, l’ultimo Vescovo-principe della città.

“Durante l’occupazione nazista – ha spiegato monsignor Suder –, quando un chierico esprimeva al Cardinale l’intenzione di farsi prete, egli indicava ad ognuno cosa studiare a casa, di nascosto. Nessuno di noi conosceva gli altri”.

Era una misura resasi necessaria dopo che i nazisti avevano trovato cinque giovani seminaristi che pernottavano nel seminario chiuso per loro imposizione: li avevano arrestati e fucilati, mentre altri erano stati deportati ad Auschwitz. Per questo Sapieha aveva deciso di far entrare il seminario nella più totale clandestinità.

Dietro le spalle dell’anziano sacerdote, un ritratto di Karol Wojtyła in atteggiamento pensoso, con il mento appoggiato ad una mano, sembra partecipare alla rievocazione dei terribili momenti di settant’anni fa. Dalle finestre della stanzetta, la vista spazia sulla centralissima basilica Mariacka, dove negli anni Cinquanta Wojtyła svolse l’ufficio di padre spirituale.

“Ho bene impressa nella memoria l’immagine di Karol in quel giorno d’agosto – ha raccontato monsignor Suder -: aveva una camicia bianca sopra dei pantaloni di tessuto spesso e ai piedi zoccoli di legno. In testa era evidente una cicatrice: in seguito ho saputo che era stato investito da un camion”.

“Un buon compagno”, ha ricordato. “Non aveva problemi di comunicazione” – e di questo si sarebbe accorto successivamente tutto il mondo! -; era “modesto nel parlare in quanto preferiva ascoltare, dava il suo parere sulle questioni ma non lo imponeva, cercava di capire l’altro, non mentiva mai”.

Il giovane Wojtyła prestava appunti (ogni pagina dei suoi quaderni era siglato con le iniziali di Gesù e Maria) e aiutava volentieri gli amici nello studio, ma non agli esami; ad un compagno che gli aveva chiesto delle risposte durante una prova aveva dato questa risposta: “Concentrati un attimo, chiedi aiuto allo Spirito Santo e poi prova a dare da solo le tue risposte”.
 
“Aveva lo sguardo sereno – ha affermato monsignor Suder – e senso dell’umorismo, gli piaceva ascoltare storielle”. Fedele alla disciplina del seminario, era molto attento a lezione e capace di fare sintesi, i professori erano molto contenti di lui.

“Dopo il fallimento dell’insurrezione di Varsavia, nel vescovado arrivarono i sacerdoti che erano dovuti fuggire dalla città, per cui noi seminaristi cedemmo loro le nostre stanze e dormimmo tutti insieme nella sala delle udienze del Cardinale, dove si tenevano anche le lezioni”, ha proseguito monsignor Suder.

Questo periodo di vita strettamente comune, che si protrasse fino all’arrivo in città dei russi, nel gennaio 1945, avvicinò molto i ragazzi: “Seppi che era nato a Wadovice, che era venuto insieme a Cracovia con il padre dopo la morte di tutti i suoi e che dopo che nel ’41 anche il padre era morto, aveva concluso che lo scopo della sua vita era il sacerdozio”.

Altra caratteristica del giovane Wojtyła rimasta viva nella memoria dei suoi compagni di studio era “la sensibilità verso la sofferenza umana. Regalava ai poveri tutto ciò che riceveva ma con molta discrezione, per non ostentare la sua generosità”.

“Soprattutto – ha ricordato Suder – aveva il dono di saper pregare”. Pregava quasi sempre in ginocchio, con il rosario nella mano, al collo lo scapolare carmelitano. “Non divideva lo studio della teologia dalla preghiera, per lui era un tutt’uno. Dopo la preghiera della sera, rimaneva in cappella con il manuale di teologia o il quaderno di appunti: lo studio legato alla preghiera e viceversa era una sua caratteristica”.

Suder torna con la mente a quegli anni lontani, alla cappella di via Franciszkańska dove spesso alla sera i giovani avevano visto il Cardinale Sapieha, fiero oppositore dei nazisti e collettore della resistenza polacca, steso a terra in preghiera con le braccia allargate in forma di croce, ripensa al suo antico compagno di studi la cui effigie sorride oggi dalla loggia della Basilica di S. Pietro e ammette con umiltà: “Non sono mai riuscito ad arrivare alla sua concentrazione nella preghiera”.

Wojtyła venne ordinato sacerdote il 1° novembre del 1946; il giorno successivo celebrò la sua prima Messa nella cappella di S. Leonardo della Cattedrale del Wawel e il 10 novembre nella parrocchia di Wadowice.

“Nella stessa settimana – ha ricordato Suder – Karol partì per Roma per il dottorato, dopo solo due anni di studio in seminario”.

La grande avventura dell’uomo che avrebbe contribuito a cambiare la storia del suo Paese e del mondo era cominciata.

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ZENIT Staff

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