Paraolimpiadi e Olimpiadi insieme?

Il professor Carlo Bellieni propone di integrare le due manifestazioni come esempio di civiltà, favorendo l’accettazione sociale delle persone con disabilità

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L’importante rivista Sport Ethics and Phylosophy, organo ufficiale della Società Britannica di Filosofia dello Sport, ha appena pubblicato uno stimolante e importante articolo sui diritti delle persone disabili. Significativo il titolo I giochi Paraolimpici devono essere integrati nelle Olimpiadi principali. Nella prospettiva dei prossimi giochi olimpici e paraolimpici di Rio de Janeiro del 2016, questo articolo assume una particolare importanza.

L’autore, Carlo Bellieni, neonatologo toscano, va al cuore della vicenda: “Le Paraolimpiadi, nella loro attuale forma, potrebbero paradossalmente fare il gioco del pregiudizio sociale verso le persone con disabilità”. Strano, sembrerebbe, perché le Paraolimpiadi sono un passo importante, come riconosce lo stesso Bellieni, nella visibilità e accettazione sociale delle persone con disabilità. Tuttavia “le Paraolimpiadi e le olimpiadi oggi sono due eventi distinti” e questa separazione “sembra indicare una separazione tra persone con e senza disabilità”.

A pensarci bene, il rischio esiste: tener separati eventi olimpici solo perché gli uni fatti da normodotati e gli altri da persone con disabilità ha senso? In realtà, spiega l’autore, lo sport fatto dalle donne negli anni Trenta e poi sempre più massicciamente, si è integrato nelle maggiori competizioni sportive mondiali (campionati mondiali di atletica, Olimpiadi) proprio per mostrare l’integrazione e la parità: le gare restano ancora separate tra uomini e donne per ovvi motivi di differenti masse muscolari; ma le Olimpiadi moderne non hanno un’edizione maschile e una femminile; esattamente quello che Bellieni propone per i disabili: Olimpiadi comuni senza un’edizione separata. In nome della parità, delle pari opportunità della cultura dell’accesso e dell’integrazione. Anche il nome “Paralimpiadi” è da rivedere, spiega, dato che il suffisso “para-” indica nella sua etimologia qualcosa di collaterale secondario.

Oltretutto, le gare delle persone con disabilità sono esempi di alto agonismo, richiamano pubblico e – cosa non secondaria – anche sponsor e introiti, anche se ancora in misura insufficiente. Le gare delle Paraolimpiadi di Londra, Sochi e Pechino sono stati esempi di alta partecipazione di pubblico.

La questione si approfondisce anche dal punto di vista filosofico. Infatti Bellieni spiega due cose importanti: innanzitutto che lo sport delle persone con disabilità non è pura esibizione o una fisioterapia più elaborata, ma è vero sport, puro sport con ricerca dell’eccellenza e della competizione e della vittoria, e per far questo si addentra in una analisi di cosa sia davvero “sport”.

Inoltre lo studioso spiega un concetto provocatorio ma ben fondato: si può addirittura parlare di salute, anche per le persone con disabilità perché la salute non è un utopico stato di perfezione, come risulterebbe invece dalla definizione certo insufficiente data dall’Organizzazione Mondiale di Sanità nel 1946 ma è lo stato di soddisfazione che si trae dalle proprie attività, e certamente le persone con disabilità possono avere soddisfazione piena dalla loro attività se messe nelle giuste condizioni, basta guardare non solo certi artisti disabili celebri ma anche tante persone che nella quotidianità fanno una vita e ottengono risultati piccoli o grandi di soddisfazione. Questo concetto già era stato illustrato da Bellieni nel libro ABC della Bioetica (2014) e in vari articoli su riviste internazionali.

L’articolo si conclude così: “Le Paraolimpiadi ci aiutano a identificare e superare tre errori morali: 1) la discriminazione, intesa come esclusione sociale; 2) il superumanismo, inteso come il concetto che solo le persone sopradotate (incluso quelle con disabilità) possono essere veri atleti; 3) la miopia morale secondo cui le persone con disabilità devono accontentarsi delle limitate soddisfazioni che si possono procacciare da sé e questa prospettiva esenta gli stati dalla loro responsabilità sociali”.

In conclusione, “le persone con disabilità meritano una cura speciale perché hanno speciali necessità, a meritano anche la normalità, compreso l’accesso a scuole normali, ospedali normali, giochi normali, con ovvie specificità. Sottolineare questa doppia necessità di cura speciale e normale accesso è l’eredità delle Paraolimpiadi”.

Crediamo si tratti di un giusto spunto di riflessione, su cui chi ha in carico la governance degli eventi sportivi e chi si occupa di disabilità dovrebbero confrontarsi.+

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ZENIT Staff

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