Foto: El País

Papa: "Trump? Vedremo cosa farà. Attenti ai populismi, nelle crisi manca il discernimento"

Intervista di Francesco al quotidiano spagnolo El País

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Mentre venerdì sera a Capitol Hill (Washington) Donald Trump giurava da 45° presidente degli Usa, in Vaticano, nella Casa Santa Marta, Papa Francesco rilasciava una lunga intervista al quotidiano spagnolo El Pais. La domanda era, dunque, inevitabile: “Il mondo è abbastanza testo per questo fatto (l’insediamento di Trump ndr). Cosa pensa a riguardo?”, chiedono i due giornalisti Antonio Caño e Pablo Ordaz. Francesco sceglie la via della prudenza e risponde: “Vedremo che cosa succede. Spaventarsi o rallegrarsi ora sarebbe una grande imprudenza, sarebbe essere profeti di calamità o di benessere che potranno non verificarsi. Vedremo che cosa farà, e lo valuteremo”.

Decisamente più netto, invece, durante l’ora e un quarto di colloquio, il giudizio del Pontefice sul populismo e i suoi pericoli. “Per me un esempio tipico del populismo, nel senso europeo, è il 33 tedesco”, afferma, “dopo Hindenburg, la crisi del ’30, la Germania distrutta cerca di alzarsi, cerca la sua identità, cerca un leader che gliela restituisca, c’è un giovane che si chiama Hitler e dice: ‘Io posso’. E tutta la Germania vota Hitler. Un popolo in crisi, in cerca di un’identità, si trovò di fronte questo leader carismatico che ha promise di dargli un’identità e gli diede un’identità distorta”. “Questo il pericolo. In tempi di crisi non funziona il discernimento”, sottolinea Bergoglio, “cerchiamo un salvatore che ci restituisca l’identità e ci difendiamo con muri, fili spinati, qualunque cosa, dagli altri popoli che possano privarci di tale identità. Tutto questo è molto grave, perciò ripeto sempre: dialogate fra voi”. 

A proposito di dialogo il Pontefice ribadisce che “ogni Paese ha il diritto di controllare i suoi confini, chi entra e chi esce”, specie quelli vittime di terrorismo, tuttavia “nessun Paese ha il diritto di privare i propri cittadini del dialogo con i vicini”. Poi ribadisce la sua sentenza sul Mediterraneo che “si è convertito in un cimitero” e invita Chiesa e governi a riflettere e agire su tale emergenza, sulla scia di Italia e Grecia che “hanno dato un esempio moto grande”. L’Italia in particolare, ha evidenziato, “nonostante i problemi del terremoto continua a preoccuparsi di loro”.

I migranti “primo, bisogna salvarli. Poi, accoglierli il meglio possibile. Quindi, integrarli”, aggiunge il Papa. E spiega che il simbolo per la sezione per i Migranti del nuovo Dicastero per lo Sviluppo umano integrale “è un salvagente arancione, come quelli che tutti conosciamo”. “A un’udienza generale – racconta il Papa – sono venuti alcuni di quelli che lavorano  nel salvataggio dei rifugiati nel Mediterraneo. Io li stavo salutando quando un uomo ha preso quello che avevo in mano e appoggiandosi alla mia spalla piangeva: ‘Non ce l’ho fatta, non ci sono  arrivato, non ci sono riuscito’. E quando si è un po’ calmato, mi ha detto: ‘Non aveva più di quattro anni, quella bambina. E mi è scivolata giù. Lo do a lei’. E questo è un simbolo della tragedia che stiamo vivendo oggi”.

Nell’intervista, il Vescovo di Roma insiste inoltre sul suo mantra “fare ponti e non muri” che applica anche al lavoro della diplomazia vaticana, quale criterio di base. “Io chiedo al Signore la grazia di non fare nulla per immagine. Bensì per onestà, per servizio”. “Mediatori e non intermediari” è quello che Papa Francesco chiede ai suoi diplomatici. Laddove per intermediario si intende colui che “ha fatto un buon servizio, ma vince sempre qualcosa”, mentre il mediatore “è al servizio delle parti e fa in modo che le parti vincano anche se lui perde”. “Nel corso della storia – ammette il Papa – la diplomazia vaticana ha fatto manovre o incontri e si è riempita le tasche, perché ha commesso un peccato grave, molto grave. Il mediatore fa ponti, che non sono per lui, ma perché possano camminare gli altri. E non si fa pagare il pedaggio”. 

Così intesa, la diplomazia vaticana “si può estendere presto alla Cina?”, domandano gli intervistatori. Papa Francesco conferma l’esistenza di una commissione che da anni lavora con l’ex Sol Levante e che si riunisce ogni tre mesi, una volta a Roma e una a Pechino. “C’è tanto dialogo con la Cina”, dice; nel Paese, che “mantiene sempre questo alone di mistero che è affascinante”, “le chiese sono piene. Si può praticare la religione in Cina”. Il Papa si dice pronto ad andare “quando mi inviteranno”.

Durante il colloquio non mancano i temi ricorrenti: corruzione, “il più grande peccato” del presente e del passato commesso anche da alcuni Papi della storia; “dio danaro” al centro del sistema economico e che “scarta” la persona umana; “clericalismo” quale “male peggiore della Chiesa”  “mondanità” che rende la Chiesa “anestetizzata”, lontana dai problemi della gente. “Io, nella gerarchia della Chiesa, o tra gli agenti di pastorale (vescovi, preti, religiosi, laici …) temo molto di più gli anestetizzati che non gli addormentati”, confessa Francesco, “(temo) coloro che si anestetizzano con la mondanità, che si arrendono davanti alla mondanità. Ciò mi preoccupa: tutto quieto, tranquillo, con le cose a posto, troppo in ordine. Oggi come oggi, nella vita quotidiana, ci sono diversi modi di anestetizzarsi, no? E forse la malattia più pericolosa che può colpire un pastore, causata dall’anestesia, è il clericalismo. Io sono qua e la gente è là. Tu sei il pastore di quella gente! Se ti preoccupi di quella gente, e ti lasci servire da quella gente, allora chiude la porta e vai in pensione”. 

Papa Francesco si dice preoccupato pure della “terza guerra mondiale a pezzi“, in particolare della guerra nucleare di cui si parla ultimamente “come se fosse un gioco con le carte”. Poi affronta il dramma della violenza contro le donne, una “cicatrice” in America Latina ma anche in tanti altri luoghi del mondo. “La schiavitù della donna è una delle cose più disastrose”, afferma, e, in proposito, ricorda la visita ad alcune organizzazioni di Roma per il riscatto di giovani prostitute sfruttate da europei: “Una bella cosa!”. 

Nell’intervista a tutto campo si apre uno spiraglio anche sul predecessore Benedetto XVI. La sua salute? “Da qui in su, perfetto. Il problema sono le gambe. Cammino con un sostegno”, rivela. Ma, aggiunge, “ha una memoria da elefante, perfino nei dettagli. A volte gli dico una cosa e mi risponde: ‘No, non è stato in quell’anno … è accaduto invece nell’anno …’”. 
Parlando di sé stesso conferma di non guardare la Tv da 25 anni, “semplicemente perché in un certo momento ho sentito che me lo chiedeva Dio. Ho fatto questa promessa il 16 luglio del 1990”. Ma non è solo questa l’abitudine mantenuta: il Papa argentino dice di non essere affatto cambiato da quel 13 marzo 2013 della sua elezione sul Soglio di Pietro. “La mia personalità non è cambiata. Non dico che sia una cosa che mi sono proposto. Mi è venuto in modo spontaneo… Cambiare è artificiale. Cambiare a 76 anni era come farsi il trucco. Certo, non posso fare tutto quello che voglio, però l’anima callejera rimane, e si vede… non appena posso esco, per strada, a salutare la gente, nelle udienze, e poi viaggio…”. “Non si sente scomodo con il potere?”, gli domandano i suoi interlocutori. “È che il potere non l’ho io. È condiviso”, risponde, “non è il potere che mi sta scomodo. Mi danno fastidio certi protocolli. Ma è perché sono fatto cosi, callejero“.

L’ultima domanda è sul Conclave che eleggerà il suo successore. Auspicio di Bergoglio è uno soltanto: che sia un Conclave “cattolico”. Non è escluso che lui lo possa ‘vedere’: “Non lo so. Lo deciderà Dio. Quando sentirò di non poter più, già il mio gran maestro Benedetto mi ha insegnato come fare. E se Dio mi porta avanti, lo vedrò dall’altro lato. Spero di non essere all’inferno…”. Una battuta alla quale segue quella dei due giornalisti: “Si vede che è molto contento di essere Papa”. E  Francesco ribatte sicuro: “Il Signore è buono e non mi ha tolto il buon umore”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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