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Papa: "Non conosce speranza chi si chiude nel proprio appagamento"

Durante la catechesi dell’Udienza generale, il Santo Padre ricorda che la speranza cristiana non ha “un respiro personale, individuale, ma comunitario, ecclesiale”

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“Non è possibile” sperare da soli, perché la speranza cristiana non ha “un respiro personale, individuale, ma comunitario, ecclesiale”. È un appello a vivere in pienezza la propria fede, a viverla dunque nel suo risvolto sociale, quello che ha rivolto stamattina, 8 febbraio 2017, Papa Francesco, durante la catechesi dell’Udienza generale.
In un’Aula Paolo VI gremita, il Pontefice sottolinea che è San Paolo, nella sua Prima Lettera ai Tessalonicesi, a chiedere a tutte le realtà che compongono la comunità cristiana di pregare le une per le altre e a sostenersi a vicenda.
“Non è un caso”, rileva il Santo Padre, che l’apostolo di Tarso faccia riferimento anzitutto “a coloro ai quali è affidata la responsabilità e la guida pastorale”. Essi, infatti, “sono i primi ad essere chiamati ad alimentare la speranza, e questo non perché siano migliori degli altri, ma in forza di un ministero divino che va ben al di là delle loro forze”. Motivo per cui – precisa il Vescovo di Roma – “hanno quanto mai bisogno del rispetto, della comprensione e del supporto benevolo di tutti quanti”.
Attenzione particolare va rivolta anche verso i “fratelli che rischiano maggiormente di perdere la speranza, di cadere nella disperazione”, ossia “a chi è scoraggiato, a chi è debole, a chi si sente abbattuto dal peso della vita e delle proprie colpe e non riesce più a sollevarsi”.
“Compassione, conforto e consolazione” sono la “forma squisita” che deve prendere “la vicinanza e il calore” di tutta la Chiesa nei confronti di costoro. Anche quando essi – aggiunge il Pontefice – non appartengono alla comunità cristiana. “Questa testimonianza”, incalza, “risuona in tutto il suo vigore anche al di fuori, nel contesto sociale e civile, come appello a non creare muri ma ponti, a non ricambiare il male col male, a vincere il male con il bene, l’offesa con il perdono, a vivere in pace con tutti”.
“Questa è la Chiesa”, rileva, che assume “i lineamenti forti e al tempo stesso teneri dell’amore” e che ci fa comprendere che “la speranza, per alimentarsi, ha bisogno necessariamente di un ‘corpo’, nel quale le varie membra si sostengono e si ravvivano a vicenda”.
Necessario, per coltivare speranza, è dunque aprirsi al prossimo. “Sì, perché non conosce la speranza chi si chiude nel proprio benessere, nel proprio appagamento, chi si sente sempre a posto…”, osserva il Papa.
Il quale spiega che chi offre la testimonianza “più bella, più forte” è chi sperimenta quotidianamente “la prova, la precarietà e il proprio limite”. Essi – soggiunge – sanno che “al di là della tristezza, dell’oppressione e della ineluttabilità della morte, l’ultima parola sarà” quella di Dio, “e sarà una parola di misericordia, di vita e di pace”.
La speranza, dunque, al centro della sua catechesi. La cui “dimora naturale” è un “corpo solidale”, che nel caso della speranza cristiana è la Chiesa.
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Qui si può leggere il testo integrale della catechesi di Papa Francesco.

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Federico Cenci

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