Papa Francesco tirato per la giacca che fortunatamente non ha (Seconda parte)

La diffusa impressione di bontà del nuovo Pontefice non va equivocata in un buonismo a buon mercato

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Come San Francesco di cui il nuovo Papa ha scelto nome e stile

Come presidente del GRIS di Roma ho da sempre salutato francescanamente dicendo e scrivendo “pace e bene”. Quindi mi è cara l’occasione del nuovo Papa per ribadire che noi, nel nostro dialogo di confronto critico con i MRA (Movimenti Religiosi Alternativi)  seguiremo proprio lo spirito delle norme dettate da San Francesco, nella Regola non bollata, ai frati che “per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni…”, norme quindi per coloro che si dedicavano alla missione evangelizzatrice ad extra (1). “Essi – ha scritto il Santo – possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio”. (2)

Dal che ricaviamo varie indicazioni per il nostro dialogo critico: niente liti o dispute; ricerca attenta e il più possibile completa (andando alle fonti!) della posizione dottrinale altrui; aperta confessione e mantenimento integrale della propria posizione dottrinale cattolica; richiesta di chiarimenti e di giustificazione delle fondamenta della fede altrui; evidenziazione di quelle che alla ragione paiono incongruenze e inesattezze; presentazione limpida, completa e ben fondata, della verità cattolica laddove l’interlocutore mostri di aver desiderio di conoscerla; rispetto pieno della libertà dell’interlocutore e dei tempi di maturazione che lo Spirito richiede perché la verità sia compresa e accolta; disponibiità ad accogliere quanto di buono e valido l’altro ci possa trasmettere dai semi di verità che lo Spirito Santo gli ha donato e dai modi di spiritualità specifica che la sua denominazione ha sviluppato nel tempo.

Tutto ciò evita il sincretismo – figlio degenere del già degenerato relativismo perché fa appello all’immorale compromesso di coscienza che insulta la Verità – e onora la Carità che il Vangelo dice dover andare sempre a braccetto con la Verità, per restare tale (cf Ef 4,15).

A scuola dagli specialisti

“La prima lettera di Pietro – si legge nel Documento del Segretariato da noi citato alla nota 2 – dà ai cristiani viventi in situazione di diaspora [appunto agli operai impegnati nella missione ad extra – NdR] indicazioni che non cessano di sorprendere per la loro attualità. Giovanni Paolo II indicava un passo di essa come «la regola d’oro nei rapporti dei cristiani con i loro concittadini di fede diversa: Adorate il Signore Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rendere ragione (3) della speranza che c’è in voi, ma con amabilità e rispetto e coscienza buona» (1 Pt 3,15-16) (Ankara 29. 11. 1979).” (ivi n. 16) 

Questo Documento ci chiarisce anche che il dialogo ultimamente prende fondamento; dalla natura stessa di Dio uno e trino; dalla rivelazione che ci ha mostrato come Cristo “ha unito a sé ogni uomo”; e dal fatto che lo Spirito opera in ogni uomo anche a sua insaputa. (n.2, 22-24)

Dice che i fedeli vanno educati a “rispettare e stimare i valori, le tradizioni, e le convinzioni degli altri credenti, (4) e che occorre promuovere, allo stesso tempo, una solida e adatta formazione religiosa dei cristiani stessi, perché sappiano dare una convinta testimonianza del grande dono della fede”. (n. 3)

Spiega anche che “il dialogo non è cosa facile… che fare dialogo significa imparare a perdonare… cercare di capire il cuore degli altri… mettersi al servizio dell’umanità intera e dell’unico Dio. Non bisogna fermarsi ai facili o apparenti risultati. Questo impegno nasce dalle virtù teologali e cresce con esse”. (n. 4). Si avverte che “in questa attività ecclesiale bisogna evitare gli esclusivismi e le dicotomie. L’autentico dialogo diventa testimonianza, e la vera evangelizzazione si realizza nel rispetto e nell’ascolto dell’altro (Redemptor hominis, 12)” (n. 5).

Ancora sul rispetto, si insiste: “Il rispetto per ogni persona deve caratterizzare l’attività missionaria del mondo odierno (…) Questi valori, che la Chiesa continua ad imparare da Cristo suo maestro, devono guidare il cristiano ad amare e rispettare tutto ciò che c’è di buono  nella cultura e nell’impegno religioso  dell’altro. «Si tratta di rispetto per tutto ciò che in ogni uomo ha operato lo Spirito che soffia dove vuole» (RH 12; cfr. EN 79). La missione cristiana non può mai discostarsi dall’amore e dal rispetto per gli altri e questo per noi cristiani evidenzia il posto del dialogo nella missione.” (n. 19) 

L’atteggiamento a… regola d’arte, indicato dal Concilio e riproposto dal Segretariato

“La verità infatti si deve ricercare nella maniera propria alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, con libera ricerca, con l’aiuto di un insegnamento o di una istituzione, della comunicazione e del dialogo, in cui gli uni espongono agli altri la verità che hanno trovato o ritengono di aver trovato per aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità; alla verità conosciuta poi si deve aderire fermamente con assenso personale» (DH 3). Quindi «Nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze, ci si deve sempre astenere da ogni forma di azione che possa sembrare costrizione o persuasione disonesta o non del tutto retta, specialmente quando si tratta di persone semplici o povere. Tale modo di agire deve essere considerato un abuso del proprio diritto o lesione del diritto degli altri» (DH 4).” (n. 18)

E su quest’ultima raccomandazione il primo Documento diagnostico pubblicato dal Magistero ha dovuto rilevare con ramarico: “Le sètte impongono i loro modi particolari di pensare, di sentire e di comportarsi, contrariamente all’approccio della Chiesa che implica un consenso convinto e responsabile.” (Il fenomeno delle sette o nuovi Movimenti religiosi, sfida pastorale, n.2.2)

Ne faremo tesoro per come impostare il nostro dialogo, in cordata con il nostro benvenuto Papa Francesco che ci guiderà, c’è da scommetterci, come Gesù: con “severa dolcezza”. 

(La prima parte è stata pubblicata ieri, domenica 24 marzo) 

NOTE

1) Mentre i normali catechisti e pastori che svolgono la normale educazione alla fede sono configurabili come quelli che lavorano ad intra del tessuto ecclesiale.

2) Da SECRETARIATUS PRO NON CHRISTIANIS, L’ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA DI FRONTE AI SEGUACI DI ALTRE RELIGIONI, Riflessioni e Orientamenti su Dialogo e Missione, CITTA’ DEL VATICANO, Pentecoste 1984, n. 17)

3) Il che, tanto per fare un esempio di dialogo-confronto, comporta anche il chiedere ragione ai Testimoni di Geova perché mai nella loro Bibbia, che si intitola Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, lo “adorate il Signore Gesù” sia reso in questo passo con “santificate”, e soprattutto perché mai tutte le volte che il verbo greco proskynèo è riferito a Dio, agli idoli, e al demonio, viene reso con “adorare”, mentre quando è riferito a Gesù è reso con “rendere omaggio”?

4) Questo rispetto per le convinzioni ovviamente va riferito solo a quelle che esprimono valori condivisibili. Per essere precisi, il rispetto va sempre tributato alle persone, mentre alle “convinzioni” va tributato rispetto solo quando sono… rispettabili, cioè rientranti nel vero, altrimenti vanno combattute. Forse che va rispettata la convinzione di chi ritiene che lasciare che i giovani si droghino è un diritto da tutelare e favorire?

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Sandro Leoni

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