Pakistan: minacce ai parenti dei due sposi uccisi

Ai familiari della coppia brutalmente assassinata con l’accusa di blasfemia giungono pressioni per ritirare le accuse. Il clima per i cristiani nel Paese resta rovente

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Non ha fine l’incubo dei parenti della coppia di sposi cristiani brutalmente assassinati poiché accusati di blasfemia, nella provincia del Punjab, in Pakistan. “Stiamo ricevendo minacce telefoniche per ritirare le accuse”, ha detto Shahbaz Masih, fratello di Shehzad Masih, in una conferenza stampa a Islamabad di cui dà notizia l’agenzia Misna. “Come risarcimento ci hanno offerto terra e denaro”, prosegue. Per questo, i parenti chiedono ora protezione da parte del governo.

Le due vittime si chiamavano Sehzad Masih e Shama Bibi, quest’ultima era anche incinta. Sono stati assaliti da una folla inferocita e gettati in una fornace, dopo che un leader islamico del villaggio aveva annunciato dall’altoparlante di una moschea che i due avevano commesso blasfemia bruciando pagine del Corano.

Ad oggi, su oltre cento partecipanti all’aggressione, la polizia ne ha fermate 43. “Noi vogliamo solo giustizia attraverso indagini eque”, ha spiegato Masih, il quale ha chiesto inoltre la formazione di una commissione giudiziaria e di un gruppo investigativo comune che comprenda anche membri delle minoranze religiose al fine di ottenere risultati imparziali.

Le richieste dei familiari delle due vittime sembrano stridere con il clima che si respira nel Paese. Mercoledì scorso Nazir S. Bhatti, presidente del Pakistan Christian Congress (Pcc), ha espresso grave preoccupazione per le dichiarazioni di Ali Mohammad, ai vertici del Pakistan Tehreek Insaf (Pti), il quale commentando l’assassinio della coppia nel corso di una diretta televisiva, ha chiamato i cristiani “kafir”, ossia “infedeli”. Le comunità cristiane del Pakistan hanno quindi chiesto immediate scuse da parte dello stesso Ali Mohammad e da Imran Khan, leader del Pti. Per ora però, da parte dei due politici è giunto silenzio tombale.

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ZENIT Staff

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