Pakistan. Condannati a 25 anni i complici dell'attentato a Malala

Ai dieci estremisti la massima pena secondo la legge pakistana. Ancora a piede libero gli assalitori che, nel 2012, spararono alla giovane studentessa, insignita poi del Nobel per la pace

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25 anni di carcere, la massima pena secondo l’ordinamento del Pakistan, equivalente ad un ergastolo. È questa la condanna inflitta dai giudici pakistani a dieci estremisti islamici ritenuti complici dei due terroristi che, nel 2012, attentarono alla vita di Malala Yousafzai, l’adolescente pakistana impegnata nella battaglia per i diritti delle donne. 

Originari del Malakand, i condannati erano stati arrestati nel settembre dello scorso anno grazie ad un delicato lavoro di intelligence. I due assalitori materiali della ragazza, tuttavia, sono ancora latitanti, come pure il capo supremo, Maulana Fazlullah, che diede l’ordine di eliminare la giovane.

Malala aveva solo 14 anni quando, il 19 ottobre 2012, mentre viaggiava su un piccolo autobus per tornare da scuola a casa sua a Mingora, nella Valle dello Swat, fu assalita da due killer. Gli uomini irruppero sulla vettura e, dopo aver gridato: “Chi è Malala?”, le spararono dei colpi in faccia a distanza ravvicinata, ferendo anche altre due studentesse, per poi darsi alla fuga. Sopravvissuta miracolosamente, la ragazza fu portata immediatamente in aereo in Gran Bretagna, dove subì diversi delicati interventi chirurgici che le fecero riacquisire il suo stato fisico originario, pur lasciandole sul volto i segni del brutale attentato.

L’attacco fu rivendicato poi dai militanti del Tehreek-e-Taliban Pakistan che volevano “punire” la giovane studentessa. Ancora 13enne Malala cominciò infatti ad animare un blog anonimo sulla pagina internet della Bbc in cui descriveva, e criticava, la vita delle donne sotto il regime dei talebani che avevano il controllo della Valle dello Swat. Questa attività la rese probabilmente un obiettivo prioritario per gli insorti pakistani.

La sua storia varcò presto i confini nazionali e, poco a poco, la 14enne divenne un punto di riferimento ideale per quanti hanno sempre lottato per garantire un’istruzione alle bambine e maggiori diritti alle donne nella realtà islamica. Tanto che, pochi mesi dopo l’attentato, nel luglio 2013, Malala fu invitata, in occasione del suo 16esimo compleanno all’Assemblea generale dell’Onu. Anche in quel discorso, la ragazza ribadì il suo impegno per far sì che nessun bambino, e soprattutto bambina, fosse escluso dal diritto di andare a scuola e ricevere un’istruzione.

Per quest’opera, portata avanti sempre con coraggio, lo scorso anno Malala si è guadagnata il Premio Nobel per la Pace, insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi, diventando la più giovane personalità nella storia insignita del prestigioso riconoscimento. 

“Questo premio non è solo per me – disse durante la cerimonia di Oslo -. È per i bambini dimenticati che vogliono un’istruzione. È per i bambini spaventati che vogliono la pace. È per i bambini senza voce che vogliono il cambiamento. Sono qui per i loro diritti, per dare loro voce. Non è il momento di averne compassione. È il momento di agire, per fare in modo che sia l’ultima volta che ai bambini e alle bambine sia sottratta l’istruzione”.

Oggi, a 17 anni, Malala studia e scrive a Birmingham, in Gran Bretagna, dove vive con la sua famiglia e sogna un futuro in politica.  

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ZENIT Staff

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