Padre Luigi Scuccato, un parroco in Bangladesh

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, lunedì, 11 aprile 2011 (ZENIT.org).- Il 18 marzo scorso è morto a Beneedwar padre Luigi Scuccato, missionario del Pime, nato nel 1920 e Dueville (Vicenza), ma cresciuto a Bizzozzero (Varese) dall’età di cinque anni, era stato ordinato sacerdote dal card. Schuster nel Duomo di Milano nel 1943 e partito per il Bengala nel 1948.

Quest’anno compiva i 91 anni di età e 63 anni di missione in Bengala, che gli inglesi definivano “la tomba dell’uomo bianco”. In un paese dove i cattolici sono solo lo 0,4% dei 150 milioni di bengalesi (quasi tutti musulmani), padre Luigi era ancora parroco a Beneedwar, una parrocchia (o missione) che ha circa 4.000 battezzati dispersi in una quarantina di villaggi in un vasto territorio e diverse centinaia di catecumeni. Le cappelle sono poco più di trenta perché a volte il villaggio non è tutto cristiano ma ci sono solo alcune famiglie battezzate. Sei sono in muratura, le altre di fango e paglia. Una cappella in muratura con la stanza e i servizi per il padre costa 6.000 Euro. “La cappella in muratura attira molto – mi scriveva l’anno scorso padre Scuccato – ma le facciamo quando troviamo i soldi”.

Il caro amico ha rinunziato tre volte alla sua parrocchia di Beneedwar ma il vescovo locale di Rajshahi gli ha detto: “Finché stai bene vai avanti. Quando sarà il momento di ritirarti, te lo dirò io”. Scuccato obbediva nonostante l’età, gli acciacchi e la stanchezza. Visitandolo nel gennaio 2009 gli ho chiesto se era contento di essere ancora parroco. Rispondeva di sì, anche perché il vescovo gli aveva mandato un coadiutore locale giovane e molto bravo, che lo liberava dalle fatiche e dai viaggi più disagiati: “E’ giovane e va tenuto un po’ a freno, ma sono contento di lui”. Ma visitava ancora i villaggi, portato in jeep e poi a piedi.  

Quando giunse in Bengala nel 1948 non esisteva ancora la luce elettrica, che nella città e nella casa episcopale di Dinajpur venne portata solo nel 1958. Il Bengala è uno dei paesi più poveri del mondo e padre Luigi visse dal 1948 fino alla fine degli anni cinquanta in una “casa parrocchiale” di fango col tetto di paglia, dove pioveva dentro nei mesi dei monsoni. Visitava i villaggi cristiani o catecumeni a piedi o in bicicletta, poi in moto. In un suo scritto ricorda: “Nella mia vita in Bengala ho corso vari pericoli, girando nei villaggi dove non c’erano strade, ponti, mezzi di trasporto. Pericoli di leopardi, serpenti, ladri, fiumi da attraversare con la bicicletta in spalla e l’acqua alla cintola oppure su passerelle precarie di bambù”.

Nel 2009 gli ho fatto una lunga intervista e mi diceva: “Noi lavoriamo fra i tribali che sono una piccola minoranza animista, fra i quali nasce la Chiesa. Un apostolato faticoso ma consolante perché si convertono e diventano anche cristiani fervorosi e fedeli. Le difficoltà maggiori sono di far capire il dovere di perdonare le offese, di ammettere l‘uguaglianza tra uomo e uomo e tra uomo e donna, il senso del gratuito, del volontariato e in genere dell’amore a tutto il prossimo, anche il più lontano”.  Mi diceva che in un paese islamico come il Bangladesh la Chiesa è libera e stimata, apprezzata perchè si prende cura dei tribali, che sono gli ultimi degli ultimi.

Avendo visitato molte missioni in tutti i continenti, posso dire che una delle più difficili è il Bangladesh. Però in un suo articolo di una ventina di anni fa padre Scuccato scriveva: “Non so se sia il Bengala misterioso o se sono i missionari del Bengala che sono misteriosi,  fatto sta che tutti parliamo male del Bengala e tutti ne siamo innamorati. Si parla male del clima, delle strade, della gente di qui, si è tentati di perdere la pazienza con questi abitanti della giungla, rozzi e ottusi, eppure nessuno vorrebbe avere in cambio gente più evoluta e più intellettuale; ci si sente isolati nella vita civile, ma nessuno vorrebbe rinunziare alla sua giungla per andare a vivere in città; si sbuffa per il caldo, ma è bravo chi riesce a persuadere un missionario a cambiare clima. Insomma, si brontola perchè si ha ragione di brontolare, ma pure si è felici perché si hanno mille e una ragione per essere felici”.

Nel luglio 2010 padre Luigi mi scriveva: “Nonostante i miei 90 anni già compiuti e il caldo infernale di questi giorni (siamo sui 40 e più gradi), grazie al buon Dio sto bene e tengo duro”. E’ rimasto fedele alla vocazione missionaria e il Signore l’ha aiutato a compiere la sua missione.

Negli ultimi mesi padre Luigi si era particolarmente indebolito, al punto da aver bisogno di una carrozzella per spostarsi. Dopo aver partecipato al ritiro comunitario dal 1 al 4 marzo nella casa del PIME a Dinajpur e aver avuto l’opportunità di incontrare i confratelli, padre Luigi si era fermato nella casa del PIME. Ma dopo qualche giorno, accompagnato dalla fedelissima suor Geltrude, che lo ha accudito come una madre durante tutto il periodo della malattia, ha deciso di tornare a Beneedwar per essere presente alla inaugurazione dell’ostello per ragazze, che aveva voluto con tutto se stesso e che si sarebbe svolta lunedì 21 marzo. Il Signore però aveva un altro piano e lo ha chiamato a sé, rispondendo in questo modo alla sua preghiera di poter morire a Beneedwar, tra la sua gente, dove si trovava da vent’anni.  Venerdì 18 marzo alle ore 20.50 padre Luigi Scuccato, in modo discreto, come ha vissuto tutta la sua lunga vita missionaria, è stato portato dagli angeli in Paradiso.

Il giorno dopo, sabato 19 marzo alle 15.30 è stato celebrato il funerale. Erano presenti, oltre a mons. Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi, anche mons. Moses Costa, vescovo di Dinajpur, numerosi presbiteri di Rajshahi e di Dinajpur, missionari del PIME, suore e tantissimi fedeli provenienti da Beneedwar e dalle missioni dove padre Luigi ha lavorato, in particolare da Dhanjuri e Mariampur, dove è stato rispettivamente 13 e 17 anni. Come ha sottolineato mons. Gervas nell’omelia, padre Luigi ha vissuto la sua vita presbiterale e missionaria in modo esemplare, predicando la Parola a tutti e facendosi carico soprattutto dei poveri: orfani e malati di ogni religione e razza.

Il vescovo ha anche sottolineato la semplicità di vita di Luigi, il suo andare in bicicletta o a piedi per incontrare la gente. Padre Luigi è stato sepolto a fianco della chiesa di Beneedwar vicino alla tomba di padre Luis Marandi. Sarà dunque facile per la gente di Beneedwar, accorsa letteralmente in massa dopo aver ricevuto la notizia della morte del loro caro pastore, ricordare padre Luigi e continuare a lasciarsi ispirare dal suo esempio di vita povera ed evangelica. E’ la “buona notizia” di uno dei tanti missionari italiani che danno la vita per Cristo e il loro popolo.  

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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