Padre Horn: una vita insieme a Ratzinger

Gli anni universitari, la nascita dello Schülerkreis, l’eredità spirituale e teologica del futuro Benedetto XVI nelle parole del religioso salvatoriano, suo allievo e assistente a Ratisbona

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Ci sono incontri che cambiano la vita. Così è stato per padre Stephan Otto Horn, religioso salvatoriano, quando nel 1970 ha conosciuto il prof. Joseph Ratzinger, divenuto ben presto “padre di una famiglia teologica e anche spirituale”. Padre Horn, che di Ratzinger è stato allievo e assistente universitario a Ratisbona e che oggi è incaricato di custodire l’opera e il pensiero del Papa emerito mediante l’impegno nelle diverse istituzioni che portano il suo nome, definisce quell’incontro e l’ingresso nel Circolo degli Allievi “una delle più grandi grazie che ho ricevuto nella mia vita”. In questa intervista, nell’imminenza del Natale, il religioso docente emerito di Teologia fondamentale fa rivivere i ricordi degli anni universitari, la nascita dello Schülerkreis, e si sofferma sull’eredità teologica di Benedetto XVI.

***

Padre Horn, come avviene il suo incontro con il prof. Ratzinger?

Ho condotto i miei studi a Passau, una bellissima città al confine con l’Austria, dove studiavano i salvatoriani, Congregazione alla quale appartengo. Il mio professore di Teologia dogmatica pensava che io potessi essere il suo successore… Quando sono andato a Ratisbona a incontrare per la prima volta il prof. Ratzinger, lui non sapeva che a Monaco ero stato dottorando di Michael Schmaus, il quale aveva fatto enormi difficoltà per impedirgli l’abilitazione a docente. Questa era stata una delle grandi crisi nella vita del giovane Ratzinger, che desiderava da sempre essere professore. Ma poi ha avuto successo e ha anche ristabilito una buona relazione con Schmaus. Quando sono andato da Ratzinger, io non ero a conoscenza di tutte queste cose, mi sono presentato e abbiamo parlato della mia tesi.

Che anno era?

Era l’inizio del 1970. Lui era arrivato a Ratisbona nell’autunno del 1969. Mi ha accettato senza problemi, molto benevolmente, nonostante venissi da un’altra teologia. E così è stato per i 25 studenti che intendevano svolgere la tesi con lui. Ci incontravamo ogni due-tre settimane, non in università ma in seminario e avevamo l’impressione che in lui teologia e spiritualità fossero unite. L’incontro iniziava con la Messa, durante la quale il nostro maestro oppure uno di noi teneva l’omelia. Dopo si discuteva tutti insieme. Lui temeva che potesse risultarci problematico non essere guidati personalmente ma attraverso questi incontri, nei quali ciascuno presentava il suo studio per poi discutere insieme con grande libertà, ma anche intensamente. Quando avanzavamo qualche proposta, Ratzinger non dava una risposta immediata, ma poi riusciva a riassumere i nostri discorsi meglio di quanto potessimo fare noi, aggiungendo le sue riflessioni. Non si imponeva: aveva un pensiero chiarissimo, ma si discuteva sempre liberamente. Voleva solo accertare la verità e tutto si svolgeva con grande semplicità. È sempre stato un po’ timido, però con noi questa timidezza non si avvertiva.

Quale argomento trattava la sua tesi?

La mia tesi per l’abilitazione all’insegnamento universitario verteva su Leone Magno e il Concilio di Calcedonia, da un punto di vista ecclesiologico, trattando quindi la relazione tra il successore di Pietro e un Concilio. Indagavo un fatto storico, ma anche la relazione tra Roma e Costantinopoli, tra Roma e l’Est della Chiesa, e dunque un tema ecumenico. 

E dopo la sua abilitazione?

Due anni dopo il nostro primo incontro, il prof. Ratzinger mi chiamò per essere il suo assistente, ruolo che ho svolto dal 1972 al 1977, quando è ritornato a Monaco come arcivescovo. Sono rimasto lì anche dopo, per un breve periodo, e lui da arcivescovo ogni tanto veniva per seguire i suoi ultimi dottorandi. In seguito sono cominciati gli incontri annuali dello Schülerkreis, il Circolo degli allievi.

È in quell’epoca che nasce lo Schülerkreis?

No, è nato dopo, nell’81, verso la fine del suo ministero di cardinale arcivescovo di Monaco. In realtà è difficile individuare con precisione una data: prima c’erano stati gli incontri e i colloqui con i dottorandi. All’inizio del 1978, alcuni mesi dopo la sua ordinazione episcopale e la nomina a cardinale, ci siamo riuniti tutti, non solo i dottorandi di Ratisbona, ma anche quelli di Bonn, di Münster e di Tubinga, dato che in ogni università in cui aveva insegnato aveva il suo gruppo. Quella è stata la prima volta, poi alcuni anni dopo abbiamo iniziato a farlo regolarmente. Già a Tubinga e poi a Ratisbona, tuttavia, Ratzinger promuoveva un incontro dei suoi allievi con un altro professore, coinvolgendo grandissimi teologi come Hans Urs von Balthasar e Karl Barth e altri. Alla fine di ogni anno accademico si svolgeva un incontro in un luogo diverso, al quale invitava un altro grande teologo a tenere delle conferenze, così potevamo discutere con professori protestanti, con filosofi… Da questa esperienza sono nati i simposi con lui, ai quali invitava sempre un docente e durante i quali si pregava, si studiava e si discuteva, ogni volta su un tema diverso.

Quali sono i capisaldi della teologia di Ratzinger?

Noi abbiamo sempre avuto l’impressione che Ratzinger fosse un teologo dogmatico e un professore di Teologia fondamentale, ma allo stesso tempo un esegeta, che ha studiato e meditato molto la Parola di Dio, l’Antico e il Nuovo Testamento. Per noi è stato l’esempio di un teologo nella linea del Concilio Vaticano II, secondo cui la Sacra Scrittura è il fondamento e l’anima di tutta la teologia, anche alla luce dei primi Padri della Chiesa: il Verbo di Dio e la Chiesa si sono intrecciati nel suo pensiero. La teologia è fondata sulla Sacra Scrittura, ma anche la Sacra Scrittura è interpretata dal centro della fede della Chiesa. Non è una esegesi isolata dalla Chiesa, ma vive nella Chiesa e in essa è interpretata. Inoltre, secondo Ratzinger, i primi teologi sono i santi, che non studiano la parola di Dio, ma la assumono con tutto il loro cuore e la loro vita. Sono loro i primi esegeti e i teologi devono pertanto essere fondati sulla scienza dei santi. È una sua ferma convinzione. La teologia, dunque, dev’essere sempre in relazione con una vera spiritualità.

Ci sono dei pensatori che hanno influito nello sviluppo della teologia ratzingeriana?

Alcuni grandi pensieri li aveva tratti da Sant’Agostino, su cui aveva svolto la sua prima tesi, sviluppando anche una teologia eucaristica: centro della Chiesa è l’eucarestia, è Cristo che ci trae a sé quando si dona a noi, noi siamo tutti attratti da Lui e siamo uniti in Lui. E dunque la Chiesa non è solamente popolo di Dio, ma è popolo di Dio come corpo di Cristo, perché siamo uniti in Cristo. Cristo è il centro della Chiesa e ci trasforma in se stesso e così la Chiesa cresce nell’eucarestia. Dunque l’eucarestia è il centro della Chiesa – questa è una convinzione fondamentale – e così entra anche in dialogo con i teologi ortodossi che hanno una ecclesiologia eucaristica. Ma per loro ogni Chiesa è completa in se stessa, mentre per Ratzinger l’eucarestia celebrata nella Chiesa locale fa pienamente presente la Chiesa quando la Chiesa locale è unita con la Chiesa universale. È una differenza notevole e noi cerchiamo di sviluppare relazioni tra Chiesa cattolica e ortodossia attraverso una approfondita teologia eucaristica.

Un altro grande pensiero deriva da Bonaventura: la rivelazione non è solamente una somma di verità che sono tramandate nel tempo, ma è l’autorivelazione di Dio a noi, dunque una storia tra Dio e l’uomo. Dio parla con noi e noi riceviamo la rivelazione e questa finisce solamente nella fede: la rivelazione è nel cuore che si apre a Dio che si rivela all’uomo. Dunque è un dialogo, si può dire. Schmaus pensava che questo fosse soggettivismo: quando Dio si rivela all’uomo, ognuno lo recepisce nella sua maniera e ciò costituisce una grande difficoltà. Secondo Ratzinger, però, questa ri
velazione non è rivolta solamente a una persona, ma al popolo di Dio, alla Chiesa, che è soggetto della rivelazione e quindi è escluso il soggettivismo.

Nella sua vita, padre Horn, c’è un prima e un dopo Ratzinger?

Da giovane studente, io nutrivo il desiderio di capire bene la teologia e ho avuto un grande professore, Alois Winkllhofer, che prima del Concilio ci ha aperto la strada per il Concilio. Il Vaticano II per me non è stato una cesura, ma una evoluzione. E poi con Ratzinger giungeva per me un nuovo sviluppo. Con lui tutto è stato molto intenso, nutrendo amore per la Chiesa e un’amicizia tra tutti noi. Una esperienza di vita, senza la quale io non sarei potuto essere professore: lì è venuta la vera gioia di essere teologo. Nel ’77 sono poi tornato nella mia casa, dai Salvatoriani, e per un semestre sono stato docente a Passau. Quindi sono andato ad Augusta, nell’81, come professore di Teologia dogmatica e nell’86 nuovamente a Passau, come professore di Teologia fondamentale.

E oggi lei è emerito di Teologia fondamentale…

Sì, già dal ’99, sono anziano…

Ma così ha potuto adempiere meglio il suo impegno nelle diverse realtà incaricate di diffondere l’opera e il pensiero del teologo Ratzinger… Può illustrarcelo, insieme alle varie iniziative che realizzate?

Vorrei prima dire una parola riguardo agli incontri dello Schülerkreis. Io e il professor Siegfried Wiedenhofer, ultimi assistenti di Ratzinger, abbiamo preparato i primi incontri dello Schülerkreis, ogni anno in una località diversa, specie in Baviera, ma anche in altre parti della Germania. Ma diventando via via un impegno troppo gravoso per il cardinale Ratzinger, abbiamo iniziato a riunirci vicino a Ratisbona nel periodo delle sue vacanze, a fine agosto o inizio settembre e lui arrivava al Simposio dalla sua casa a Pentling. Quando poi è stato eletto Papa, ci ha invitati una volta a Castel Gandolfo. Noi gli abbiamo preso un po’ la mano e gli abbiamo domandato di farlo ogni anno, come prima…

E questo continua ancora?

In un certo modo sì, perché noi ci troviamo a Castel Gandolfo e poi lo incontriamo in Vaticano, non solo per la Santa Messa, ma anche per un momento personale: ognuno lo può salutare e lui parla con ciascuno. Questa è una grande gioia per noi, ma anche per lui, perché si sente come il padre di una famiglia teologica e anche spirituale.

Torniamo ai diversi istituti che diffondono la teologia e la spiritualità del teologo Ratzinger.

Già prima della sua elezione a Papa volevamo fare in modo che la sua teologia restasse viva e abbiamo pensato di istituire una Fondazione. Ciò è avvenuto nel 2007, con la Joseph Ratzinger Papst Benedikt XVI-Stiftung, a Monaco. In risposta all’esigenza di cercare dei giovani teologi che studiano la teologia di Ratzinger, nel 2008 abbiamo poi fondato un altro Circolo degli allievi, cui abbiamo dato il nome di Nuovo Schülerkreis. Hanno un nome simile, dunque si vedono presi in questa famiglia, anche se non sono ex allievi, ma allievi in un altro modo. Loro si riunivano pure a Castel Gandolfo, ma quando Papa Ratzinger ci raggiungeva per discutere la teologia, preferiva che la sua famiglia teologica rimanesse sola con lui e loro intrattenevano discussioni separate. Però adesso, dopo la rinuncia del Santo Padre, ci siamo riuniti nelle discussioni teologiche, anche se loro hanno un giorno per loro stessi, così come noi. Facciamo uno scambio di esperienze teologiche, spirituali, pastorali e dunque non solamente di teologia, ma anche di vita. Infine la domenica incontriamo il Santo Padre per l’eucarestia.

Quale sarà il tema di quest’anno?

Normalmente lo Schülerkreis, durante la riunione a Castel Gandolfo, propone tre argomenti e i nomi di alcune personalità per l’anno seguente. Al termine dell’incontro io vado dal Santo Padre per presentarglieli. Questa volta, dopo una riflessione ulteriore, a fine novembre il Papa emerito Benedetto ha scelto il tema “Come parlare oggi di Dio”, invitando il professor Tomás Halík, sacerdote ceco, un uomo speciale, con varie esperienze del mondo moderno.

Come operano i vari istituti cui ha accennato?

Il cardinale Ratzinger ha sempre desiderato che tutti questi istituti che lavorano per la sua teologia e spiritualità non agissero isolati e nemmeno l’uno contro l’altro, perché in certo modo sono uniti. Pertanto noi – la Fondazione di Monaco in Baviera – siamo in relazione con l’Institut Papst Benedikt XVI di Ratisbona, che cura la pubblicazione della sua Opera omnia e ogni anno organizza un Simposio riguardo al libro che viene edito. Lavoriamo con loro, alcuni di noi sono inseriti in questo istituto e il nuovo vescovo di Ratisbona in un certo modo appartiene alla nostra Fondazione. Dunque sono intrecciati. Volevano inoltre che uno di noi facesse parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Vaticana e sono stato eletto io, perché parlo l’italiano e rappresento la Stiftung, insieme a un altro collega. Siamo anche in relazione con la Fondazione della città dove è nato il Santo Padre, Marktl am Inn, denominata Stiftung Geburtshaus Joseph Ratzinger, che ogni anno ha promosso un Simposio, al quale abbiamo partecipato.

Che rapporto c’è con la Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger–Benedetto XVI?

Noi siamo debitori con la Fondazione Vaticana, specialmente perché ci ha aiutato molto nell’organizzazione di due simposi in Africa, entrambi sul “Gesù di Nazaret”. Ambedue questi incontri hanno raggiunto ottimi risultati. Il primo si è svolto in Benin, nel settembre del 2013, in francese. È stato un grande evento, nel corso dell’Anno della fede. Quest’anno siamo andati a Morogoro, a marzo, in una università fondata dalla mia Congregazione per i religiosi che non potevano studiare nei seminari, perché questi erano pieni. Un simposio in inglese con quasi 500 i partecipanti e tra loro anche cinque vescovi e molti religiosi e suore. In Benin l’impostazione è stata più scientifica, in Tanzania più pastorale, con un livello accessibile a tutti. In Africa normalmente non v’è la possibilità di leggere molto di Ratzinger, sono libri costosi… Abbiamo offerto una introduzione alla sua teologia in vista della grande opera che è il “Gesù di Nazaret” e l’hanno accolta con immensa gioia. L’entusiasmo è stato veramente notevole, perché non avevano ancora conosciuto la teologia di Ratzinger, con la sua grande ricchezza anche spirituale e questo ha aperto i cuori. Sentiamo dunque il dovere e l’impegno di lavorare maggiormente in questa linea. Noi adesso vogliamo preparare, se è possibile, un Simposio a Berlino, sui grandi temi sociali e politici, sugli importanti discorsi del Santo Padre a Ratisbona, a Berlino, a Parigi, a Londra e altri… Questa è una grande sfida, che si realizzerà forse il prossimo anno.

Lei ha da poco festeggiato gli 80 anni…

È stata una grande sorpresa per me che al termine del Convegno di quest’anno, dopo l’eucarestia con il Santo Padre, mi abbiano consegnato un libro, non lo sapevo… Un volume realizzato dal Nuovo Schülerkreis con altri, tra i quali il cardinale Koch e il cardinale Schönborn, che ha scritto l’introduzione. Si intitola “Dienst und Einheit” (Servizio e Unità), e raccoglie studi sul primato di Pietro, sotto l’aspetto ecumenico. Il filo rosso del volume – che è stato curato da Michaela C. Hastetter e Christoph Ohly, portavoci del Nuovo Schülerkreis – è lo studio della teologia dell’ufficio petrino sviluppata da Joseph Ratzinger.

Dopo un’esistenza dedicata alla teologia e alla preghiera, cosa si capisce della vita e della fede? Cosa sente di dire ai giovani e più in generale agli uomini comuni?

Che cosa vorrei dire? Da giovane teologo ho ritenuto molto utile, anzi necessario, aver trovato un professore che è stato per me una guida p
ersonale. Un giovane teologo ha forse molte domande e anche tante oscurità e poter parlare con uomini che sono un esempio sacerdotale e di vero teologo è stato per me un grande beneficio. Per noi studenti di Ratzinger, inoltre, è stata una vera, grandissima grazia aver trovato degli amici che vivono in una certa fratellanza, e penso che per i giovani di oggi sia ancor più necessario avere degli amici che da una parte discutono sulla teologia, ma dall’altra fanno un’esperienza di vita comune, di vita spirituale. Oggi anche in Germania ci sono giovani che stanno cercando una stretta relazione con l’eucarestia e che desiderano un momento di silenzio e di adorazione e quindi una relazione personale con Gesù. Mi sembra opportuno che ci siano tali possibilità di entrare nella fede, cioè degli incontri nei quali si illustra il centro della fede, si possono porre domande e parlare della fede e delle difficoltà collegate con essa e con la Chiesa. Dobbiamo offrire queste opportunità ai giovani, così possono crescere. Ma anche momenti di silenzio davanti al Cristo eucaristico seguiti da uno scambio di opinioni. Queste esperienze sono molto utili, forse più che ai nostri tempi. Naturalmente la teologia può presentare delle difficoltà per la fede: ci sono tanti teologi e diversità di pensiero. Ma trovare un grande teologo che è al contempo un uomo di Chiesa e un uomo di spiritualità e studiare una tale teologia, come quella di Papa Benedetto o di teologi a lui simili, può costituire veramente un grandissimo aiuto per un giovane. Teologia e spiritualità, teologia e Chiesa: quando tutto questo va insieme, aiuta molto.

Io come giovane teologo ho potuto far parte di questo Circolo di allievi che hanno compiuto ricerche teologiche; ma lì sono nate anche delle amicizie e io che sono un religioso ho pure la mia famiglia religiosa. Ma questi due elementi della mia vita non sono mai stati opposti, l’uno ha sostenuto l’altro e questo mi ha aiutato molto nella mia esistenza. Naturalmente una delle più grandi grazie che ho ricevuto nella mia vita è l’aver incontrato Ratzinger in un modo così forte.

Concludiamo appunto con un ricordo del suo rapporto col prof. Ratzinger…

Abbiamo intrattenuto dei discorsi amichevoli, lui si è sempre interessato alla mia attività e a quella dello Schülerkreis… Ma ricordo che quando ero suo assistente io mi occupavo anche della cura degli studenti stranieri, che arrivavano magari da un altro continente. Lui voleva che stringessi delle relazioni con loro, conoscessi le loro difficoltà. Si interessava anche dei mezzi finanziari per sostenerli. Una volta uno studente non voleva accettare un aiuto e Ratzinger gli disse: “Colui che non vuole accettare, non deve dare”. Uno che non è così umile da accettare qualcosa da un altro, non può dare qualcosa agli altri. Se io sono pronto a ricevere dall’altro un dono, allora in questa umiltà del ricevere posso anche dare. Lo studente che mi ha raccontato questa storia non ha mai dimenticato la lezione.

[Fonte: Fondazione Ratzinger]

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Luca Caruso

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