Originalità cristiana in ambito economico e finanziario

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di Sergio Lanza*

ROMA, giovedì, 15 luglio 2010 (ZENIT.org).- Per superare la dicotomia tra istituzioni ed etica, e la riduzione psicologica della libertà che vi è sottesa[1], per superare la divaricazione e incomunicabilità tra etica ed economia é necessario ristabilire un orizzonte di pensiero capace di superare quella incomunicabilità dei saperi che fa da sfondo e legittimazione alla dissezione sistemica della società. I processi di differenziazione funzionale (weberianamente: razionalizzazione) della società producono sottosistemi (economia, politica, famiglia, educazione, scienza…) sempre più specializzati e ‘razionalizzati’ nelle loro funzioni e sempre meno comunicanti: frammentazione dei mondi operativi, dissoluzione dell’orizzonte dei riferimenti simbolici e normativi. Anche la religione è ridotta a sottosistema. E l’istanza morale a problema strettamente privato.

In questo contesto, la forte proposta della verità cristiana non conduce in alcun modo, come da qualche parte si teme, a forme di pressione indebita, o, addirittura – come di recente è stato scritto – a esiti inevitabili di teocrazia dissimulata. Quando è in gioco la verità sull’uomo nella sua dignità di persona e nei diritti inalienabili della vita, i cristiani ritengono non solo democraticamente legittimo ma moralmente doveroso compiere ogni sforzo perché tale verità diventi convinzione ed ethos condiviso. Al contrario, il passaggio da una accezione umanistica a una meramente sociologica della cultura ne segna il regresso a figura formale, senza istanza di valore e senza proiezioni contenutisticamente contrassegnate: la cultura è allora il nome che si dà a ciò che accade, comunque accada, senza riguardo all’uomo e alla società. Questa neutralizzazione della cultura è lo sfondo su cui prende forma la diffusa e nefasta neutralizzazione della democrazia, dell’educazione, dell’economia ecc.

La tesi fondamentale dell’Illuminismo era che la scienza fosse sinonimo di verità e perciò si opponesse radicalmente alla religione[2]. Ora però «diventa sempre più evidente che le speranze dell’Illuminismo secondo cui l’uomo sarebbe riuscito, attraverso il conoscere, a lasciar dietro di sé la minorità imputabile a se stesso e a creare un ordine di coesistenza fondato sulla ragione, si dimostrano una utopia»[3].

La fede cristiana rivendica dunque la propria capacità di interpretare l’esistenza e di orientare, in essa, l’uomo viandante del nostro tempo. Essa appare come parola forte e incisiva, di marcato e alto profilo, di presa esistenziale, come il vino nuovo del Vangelo. E’ necessario, anzitutto, respingere la dilatata convinzione che religione e ragione appartengano a due mondi, se non contrapposti, quantomeno incomunicabili, sgombrare il campo dal pregiudizio che mortifica in partenza le possibilità dell’annuncio cristiano: quello cioè secondo il quale il fatto religioso (non escluso quello cristiano) sia da rubricarsi tra i fenomeni subculturali. E’ necessario rivendicare fortemente la dignità e il rilievo culturale del vangelo. E ciò avviene non solo nei luoghi della ricerca e del sapere accademico, ma, capillarmente, nelle forme concrete e quotidiane dell’esistenza, che mettono in valore la peculiarità della fede cristiana come sapere e sapienza di vita.

La restrizione nel presente riduce la vita a intrattenimento. Alla stessa matrice è da ascrivere la neutralizzazione mimetica – e per converso la demonizzazione ideologia e fanatica – della globalizzazione.

L’interesse della Chiesa cattolica per le problematiche sociali ed economiche non ha perciò carattere strategico. Tantomeno invasivo. O di sola supplenza. Al contrario, trova ragione e impulso dentro la sostanza profonda della originaria responsabilità apostolica. L’aiuto, il sostegno diretto e l’azione sociale (economica e politica) si richiamano imprescindibilmente: posta nel mondo come germe e primizia dell’umanità rinnovata, la Chiesa ha una missione e una responsabilità pubbliche. La fede senza manifestazione visibile è una fede inesistente. Naturalmente bisogna distinguere tra l’impegno nelle realtà civili, e l’impegno ecclesiale. Ma non per separare o porre in reciproca estraneità e ignoranza.

Il Vangelo é principio ispiratore di una nuova coscienza morale nell’impegno sociale e politico. Senza irrigidirsi in formulazioni programmatiche predefinite, esso offre una visione antropologica e un riferimento etico indispensabili per affrontare con sapienza ed efficacia i grandi problemi della nostra società.

L’apertura (meglio la plasticità creativa) della parola della fede in ordine alle questioni sociali, economiche e politiche non declina in alcun modo in irrigidimento precettistico. L’adesione alla visione antropologica e ai valori morali decisivi conosce e riconosce la differenza; che non è, ovviamente, dispersione o astrattezza: la verità cristiana non è monodica, ma neppure dissonante: è, piuttosto, sinfonica.

Ciò conduce a una radicale revisione del rapporto tra etica ed economia. Respingendo sia le separatezze, tutt’altro che disinteressate, del liberismo classico e recente, sia le invadenze dello stato etico, nelle sue diverse (anche contrapposte) concrezioni storiche.

Anche se è indiscutibilmente vero che la salvezza ultima non sarà opera di mano d’uomo, è altrettanto indubitabile che essa è una relazione verticale che dà origine a relazioni orizzontali, e tocca la realtà economica, sociale, politica, fisica, psicologica e spirituale degli uomini. E’ realtà escatologica, che comincia nel presente[4].

Non si deve lasciare spazio a false alternative. Ridurre la sequela di Gesù ad un avvenimento che ha luogo nel cuore, nelle menti ed entro l’ambito privato delle relazioni interpersonali, svuota la croce di Cristo.

La tendenza alla privatizzazione della fede, per la verità non assente nemmeno in passato, declina oggi in una religiosità di consumo, volta a soddisfare bisogni individuali e del tutto sganciata dal vissuto della città dell’uomo: sia che rimanga formalmente legata al riferimento cristiano; sia che lo che abbandoni o lo ibridi (ed è significativo) con risonanza esotiche dell’oriente. E’ necessario allora far percepire nettamente che la solidarietà – ben lungi dall’essere risposta emotiva di un momento – certifica l’autenticità della spiritualità e della fede.

E’ necessario rinnovare e rinvigorire la capacità progettuale che proviene dalla connotazione antropologica ed etica. La dottrina sociale della Chiesa ha forte carattere euristico; prospetta, infatti, una specifica visione dell’uomo e del lavoro, una visione della società, dell’economia e della politica, nell’orizzonte della fede. E con una decisa centratura sulla solidarietà, Che sa estendersi a progetti mirati, non solo evocati, ma concretamente indicati da espressioni innovative. Dove, forse, economia riesce a far rima anche con profezia. Un serio impegno: sul piano della educazione, comunione, servizio, promozione culturale.

Ciò appartiene alla originalità cristiana, all’apporto specifico che essa sa dare alla civiltà.

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*Sergio Lanza è Assistente Ecclesiastico Generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, docente di Teologia pastorale all’Istituto pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense di Roma, e consultore della Congregazione per il Clero e del Pontificio Consiglio per la Cultura.

1) Cf P.RICOEUR, Liberté, in Encyclopedia Universalis, IX, Paris 979-985.

2) cf S.SEIDMAN, The postmodern Turn – New Perspectives on Social Theories, Cambridge University Press, 1994.

3) F.X.KAUFMANN e J.B.METZ, Capacità di futuro. Movimenti di ricerca nel Cristianesimo, Brescia 1988, 27.

4) Cf Giovanni Paolo II, Redemptor hominis
15.

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ZENIT Staff

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