Ordinario militare: il sacerdozio è un “passaggio di proprietà”

Il presbitero è “tolto dal mondo e assunto in Dio”

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ROMA, venerdì, 2 aprile 2010 (ZENIT.org).- Con il sacerdozio, l’uomo viene sottratto al mondo e assunto in Dio, ha sottolineato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, nell’omelia della Messa crismale celebrata questo giovedì a Roma.

Nell’Ultima cena, ha spiegato il presule, “Gesù, commosso profondamente, apre il cuore al Padre per consegnargli se stesso e i discepoli”.

“La preghiera risuonata in quell’Ora e in quel luogo non si è spenta, ma sino alla fine dei tempi aiuta a comprendere una storia d’amore che si gioca in Dio stesso. Dio è amore e chi vive questo amore vive di Dio ed è in Dio, come Dio in lui”.

Gesù chiede al Padre di consacrare nella verità i discepoli. “Consacrare qualcosa o qualcuno significa dare la cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è nostro e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cose nostre, ma sia totalmente di Dio”.

“Consacrazione è dunque un togliere dal mondo e un consegnare al Dio vivente. Il sacerdozio ministeriale è un passaggio di proprietà; il presbitero viene tolto dal mondo e assunto in Dio, per consumarsi nel ministero”.

Essere immersi nella Verità, e quindi nella santità di Dio, “significa accettare il carattere esigente della verità” e “contrapporsi nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna, che in modo così svariato è presente nel mondo”, ha osservato l’Arcivescovo.

“Unirsi a Cristo suppone la rinuncia, l’abbandono in Lui, ovunque e in qualunque maniera Egli voglia servirsi di noi”.

Allontanarsi dalla mondanità

Gesù, ha osservato monsignor Pelvi, “è particolarmente preoccupato della potenza del mondo e della possibile influenza sui discepoli”.

Secondo il presule, “forse stiamo sottovalutando lo spirito del mondo, il diavolo che tante volte è padrone della nostra vita personale e s’insinua nel cammino della Chiesa”.

“Non sempre, infatti, sappiamo discernere i sottili inganni del male dalla volontà di Dio. Il mondo delle libertà, delle uguali possibilità concesse a tutte le opinioni e modi di vivere ha un suo fascino. Abbiamo l’abitudine alla tolleranza, al permissivismo, alla laicità, alla trasgressione, alle mode che sono offerte come normali, al gusto dello scandalo e della sporcizia che sembra abbiano il diritto esclusivo di circolazione su qualsiasi mezzo di informazione”.

“Mai, forse, l’alternativa al messaggio cristiano è stata tanto sperimentata, in forme così pervasive e diffuse, soprattutto all’interno della stessa comunità cristiana”.

I cristiani, ha ricordato, sono chiamati “a vivere nella compagnia degli uomini ma a rompere con la mondanità”.

Bisogna dunque “prendere posizione riguardo alla mondanità”: “se infatti cediamo ad essa, non può esserci in noi l’amore che scende da Dio, perché quest’ultimo può solo risolversi in amore dei fratelli e delle sorelle, non degli idoli”.

“Nessuno può servire due padroni, o si amerà Cristo o la mondanità”.

Ciò, ad ogni modo, non vuol dire “abbandonare il mondo in cui Dio ci ha collocati”, ma “considerarlo nella sua verità, certi che la nostra cittadinanza vera, il nostro stile di vita appartiene al cielo”.

Unione con Dio

Nel Vangelo del Giovedì Santo, Gesù dice al Padre dei suoi discepoli “Sono tuoi”, ha proseguito l’Arcivescovo.

“Con lui sulla croce diventiamo offerta pura e santa, ferma confessione di fede, segno luminoso di speranza, ardente testimonianza di amore”.

Gesù, ha osservato monsignor Pelvi, “non chiede al Padre che noi diventiamo esperti e competenti nel fare questa o quell’opera, ma che rimaniamo uniti a lui, che siamo una cosa sola con lui e con il Padre, nel vincolo dell’amore che è lo Spirito Santo”.

“L’amore ha consumato tutto Gesù, perché ciascuno si consumi in lui e per lui e il mondo creda”.

Il valore del sacerdozio

In questo Anno Sacerdotale, l’Ordinario militare si è quindi rivolto ai presbiteri: “Quale straordinario ministero il Signore ci ha affidato!”.

“Come nella Celebrazione Eucaristica Egli si pone nelle nostre mani per continuare ad essere presente in mezzo al suo Popolo, analogamente, nel Sacramento della Riconciliazione, Egli si affida a noi perché gli uomini facciano l’esperienza dell’abbraccio con cui il Padre riaccoglie il figlio prodigo, riconsegnandogli la dignità filiale e ricostituendolo pienamente erede”.

“La Vergine Maria e il Santo Curato d’Ars ci aiutino a sperimentare nella nostra vita l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’Amore di Dio e custodisca ogni germe di vocazione nel cuore di coloro che il Signore chiama a seguirlo più da vicino”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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