Omelia del Patriarca Latino di Gerusalemme per la Messa di Mezzanotte a Betlemme

BETLEMME, venerdì, 25 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, durante la Messa di Mezzanotte celebrata a Betlemme.

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Cari fratelli e sorelle,

Giuseppe si recò a Betlemme insieme con Maria sua sposa. “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2, 6-7).

A nome del Bambino di Betlemme, nato in una povera grotta, e a nome di coloro che gli sono simili, dei molti bambini nati senza casa o che si trovano nei campi profughi, vi auguro il benvenuto, con le stesse parole che gli angeli rivolsero ai pastori: “Vi annuncio una grande gioia … troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,10-12). Desideriamo tanto che questa salvezza possa continuare a realizzarsi nell'”oggi” di Dio, a partire da questa città, da questa grotta e dalla mangiatoia verso cui ci dirigeremo portando in processione il bambino divino!

“Oggi vi è nato … un Salvatore” (Lc 2,11). “Venite, … adoriamo” (Sal 95,6).

“Oggi” è nato per noi. La parola “oggi”, rivolta dal Cielo alla Terra più di duemila anni fa, si rivolge allo stesso modo al nostro “oggi” e all'”oggi” degli uomini di ogni tempo, perché “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). Il tempo degli uomini è un presente fuggevole, mentre il tempo di Dio è un continuo presente, perché il Signore è l’essere per eccellenza, “Colui che è” (cfr. Es 3, 14). Cristo, la Parola di Dio, è così “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,8).

Il nostro Signore e Salvatore nasce oggi di nuovo in mezzo a noi.

La nascita di Gesù in quest’ “oggi” porta un cambiamento radicale nella vita degli esseri umani: “Una grande luce risplendette per noi” (cfr. Is 9,1) che ci troviamo “nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1,79). Questa luce è quella dell’amore universale. Il nostro cuore preferisce limitarsi all’amore per le persone a noi più vicine, come nel caso dei genitori verso i figli, oppure dei membri di uno stesso gruppo religioso tra di loro. Questo amore particolare è invitato ad estendersi alle dimensioni del mondo, perché la misura dell’amore è di “amare senza misura”.

La pace e la non-violenza dovrebbero sostituire l’odio, la guerra e la violenza; lo Spirito dovrebbe prevalere sulla materia; l’apertura agli altri, l’ospitalità e la disponibilità nei loro confronti dovrebbero abbattere i muri di separazione e di isolamento, per rendere veramente “gloria a Dio nel più alto dei cieli” e realizzare la promessa “e pace in terra agli uomini, che Egli ama” (Lc 2,14).

“E il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14). Il più grande evento della storia umana è che la Parola di Dio si è fatta uomo “quando venne la pienezza del tempo” (Gal 4,4). Dio ha assunto un volto umano. Egli si è fatto uomo, per elevare gli uomini a Sé!

Il mistero dell’Incarnazione, che sorpassa ogni nostra comprensione, è al centro della nostra fede cristiana. È parte del piano divino di salvezza e redenzione del genere umano. Gli apostoli e i discepoli annunciarono con forza questo grande mistero e sigillarono la loro testimonianza con il proprio sangue.

L’umiltà del Verbo di Dio divenuto carne è per noi un’esortazione costante ed anche un farmaco contro l’orgoglio. Il Verbo eterno si umiliò, abbandonando ogni prerogativa divina. Egli, Verbo eterno, scelse di nascere bambino povero in una mangiatoia. Se fosse apparso nella gloria della Sua divinità, ci avrebbe abbagliato, ma in tal modo non l’avremmo considerato uno di noi, un membro della nostra famiglia umana. La sua nascita così modesta è per noi un esempio. Se Dio si è fatto il più povero tra i poveri e il più bisognoso tra i bisognosi, non c’è altra via da seguire, per avanzare nel nostro cammino verso la felicità eterna, se non quella di vincere il nostro orgoglio, praticando l’umiltà e la semplicità, incoraggiati dall’esempio di Colui che “da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della Sua povertà” (cfr. 2 Cor 8,9). In questo modo ha fondato i valori della condivisione e della solidarietà. I problemi finanziari che oggi affliggono il mondo derivano dal fatto che il mondo ha dimenticato i poveri. Il Natale è e sarà sempre un grido che turba la coscienza del mondo materialista, che basando i suoi principi sulla competitività e sulla corsa sfrenata, finisce per arricchirsi a scapito dei poveri.

Quando gli uomini si rifiutano di condividere i beni terreni secondo uno spirito di solidarietà, il denaro diventa un idolo ed essi si trovano a pagare il prezzo del loro allontanamento da Dio. È giunto il momento che, di fronte al fenomeno di recessione che ha colpito l’economia mondiale, causando la crisi attuale ed il conseguente aumento della disoccupazione, il mondo accetti il primato dei valori della temperanza e della condivisione. Solo questi valori possono rianimare il mondo economico. “Quale vantaggio, infatti, avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima?” (Mt 16,26).

Gesù Cristo nella sua patria

A nome di tutti i fedeli delle parrocchie di Giordania, Palestina, Israele e Cipro, e a nome dei fedeli di Betlemme, concittadini di Gesù, mi rivolgo ai credenti del mondo intero, esortandoli a pregare per la Terra Santa. È una terra che soffre e che spera. I suoi abitanti vivono come fratelli nemici tra loro. Quando capiremo che una terra merita l’appellativo di «santa» solo quando l’uomo che vi vive diventa santo? Questa terra merita davvero di essere chiamata “santa” solo quando in essa si respireranno la libertà, la giustizia, l’amore, la riconciliazione, la pace e la sicurezza.

Come possiamo poi sperimentare la gioia del Natale, vedendo ripetersi il dramma che accompagnò la Nascita storica di Cristo? Cristo non potè avere una casa a Betlemme, e molti dei nostri concittadini sono rimasti ai giorni nostri senza casa a motivo dell’ingiustizia degli uomini. Per l’insicurezza e le numerose difficoltà legate al vivere in questo paese, centinaia di migliaia di persone sono già emigrate per cercare altrove migliori condizioni e qualità di vita. Altri stanno tuttora cercando di abbandonare il paese dei loro predecessori, questa terra santificata dal mistero dell’Incarnazione di Dio.

Come vivere la gioia e la festa, mentre commemoriamo il primo anniversario della guerra e della tragedia di Gaza? L’occupazione della città sta soffocando la libertà di circolazione e il trasporto è ostacolato. Molte famiglie sono costrette a vivere separate.

Ma tutto ciò non ci impedisce di cantare e invocare il Salvatore: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). “Rorate coeli desuper et nubes pluant justum” (Liturgia cattolica per l’Avvento). Signore, Tu sei l’Emmanuele, il “Dio con noi” (Mt 1,23). Anche noi desideriamo rimanere con Te. Tu solo puoi condurre al tuo presepe, attraverso la stella e la Tua grazia, gli uomini in conflitto, i capi e i governanti che hanno il potere di decidere e di tenere in mano il destino degli uomini. Fa’ che tutti possano conoscere il messaggio del Natale, un messaggio che insegna l’umiltà e che ridona all’uomo la sua dignità di figlio di Dio.

In questa notte di Natale desideriamo pregare per la pace insieme a tutti gli uomini di buona volontà. Imploriamo una pace diversa da quella che il mondo ci promette. La pace che il mondo ci offre è basata, infatti, sulla forza e sulla violenza. Noi cerchiamo la pace di Dio, fondata sulla giustizia e sulla dignità umana. Considerando i mali che affliggono il mondo, tra cui i conflitti d’interesse, l’ipocrisia, la corsa agli armamenti e la detenzione di armi distruttive, chiediamo al Bambino di Betlemme, insieme a tutti bambini senzatetto, abbandonati a se stessi lungo le strade dei campi profughi, che sulla nostra terra si erga “il sole di giustizia” (Ml 3,20), di amore e di vita, per scacciare lo spettro della morte e della distruzione. Possano i nostri figli e i bambini di Gaza gustare il sapore della festa ed avere la gioia di illuminare e decorare l’albero di Natale
, simbolo di vita e di speranza di vivere.

Oh, Bambino di Betlemme, siamo stanchi di questa situazione, stanchi di attendere, affaticati dai discorsi e dalle promesse, stanchi di conferenze, di scadenze, di trattative!

Oh, Bambino di Betlemme, donaci la Tua pazienza, il Tuo amore e la Tua dolcezza! Noi ti preghiamo, fa’che in questo nuovo anno le mani si possano stringere, le intenzioni purificare e i cuori possano amare. Fa’ che le divisioni possano scomparire, i muri si possano demolire, lasciando il posto a ponti di comprensione e di riconciliazione!

Cari fratelli e figli diletti,

La grazia di Dio e il Suo amore per tutti gli uomini, senza distinzione di fede e nazionalità, ci aiutino a perseguire la pace. Ognuno si impegni a lavorare il proprio campo per la venuta del Regno di Dio, un “Regno di giustizia, di amore e di pace” (dal Prefazio per la Solennità di Cristo Re).

Ci sia concesso di poter riconoscere in ogni uomo, donna o bambino, il Volto di Gesù, figlio di questa terra, nostro concittadino, che disse: “Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,5;7;9).

Buon Natale!

† Fouad Twal, Patriarca

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ZENIT Staff

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