"Offshore leaks": i nomi dei grandi evasori

L’evasione fiscale penalizza tutti. Sottratti al fisco una cifra stimata tra i 21mila e i 32mila miliardi di dollari

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Ancora una volta si scopre quanto l’attuale sistema finanziario sia ingiusto e generatore di sempre maggiori diseguaglianze. Questa volta, lo scandalo prende il nome di Offshore leaks ed è la più vasta e chiara denuncia delle persone che speculando ed evadendo il fisco hanno generato il buco nero dell’economia mondiale.

Trentotto testate di tutto il mondo, 86 giornalisti investigativi, hanno scoperto 130mila nomi di società e privati (tra cui circa 200 italiani) che hanno evaso e frodato il fisco spostando enormi masse di denaro nei paradisi fiscali. Scovata una massa di dati impressionante, due milioni e mezzo di documenti segreti su decine di società offshore per un totale di 260 gigabyte, 162 volte di più di quelli messi in rete da Wikileaks nel 2010. La più grande inchiesta giornalistica ‘globale’ sta scuotendo il mondo dei paradisi fiscali come mai nella storia.

L’inchiesta – condotta da un’associazione non profit di Washington, l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) – è da manuale da film giallo. Gerard Ryle, direttore dell’Icij, dopo tre anni di investigazione sul Firepower scandal, un caso su paradisi fiscali e frodi fiscali di grandi aziende australiane, riesce a mettere le mani su una piccola scatola nera, 

Il “pacchetto” viene recapitato anonimamente a un indirizzo australiano legato a Ryle. Il disco rigido contenuto all’interno viene trasmesso al quartier generale dell’Icji che analizza per mesi i milioni di dati – contratti, fax, copie di passaporti, e-mail, corrispondenza bancaria, – tutti provenienti da due società specializzate in domiciliazioni offshore: Commonwealth Trust Limited, delle Isole Vergini britanniche e Portcullis Trustnet, con base a Singapore, operativa alle Isole Cayman, Isole Cook e Samoa.

 Per riuscire a venire a capo dell’immensa mole di dati l’Icji ha usato sofisticati programmi software di analisi, di solito usati dai servizi di Intelligence. I “free text retrieval”, che hanno trascodificato sono la materia grezza di informazioni utilizzate poi dai media.

Tra le persone coinvolte politici, industriali, oligarchi, trafficanti d’armi e uomini della finanza internazionale: sono i grandi evasori mimetizzati nei paradisi fiscali.

Si è calcolato che i 130mila titolari di conti correnti e investimenti, lungo un arco temporale di 30 anni, tramite 12mila società offshore, hanno sottratto al fisco dei 170 Paesi di provenienza, una cifra stimata tra i 21mila e i 32mila miliardi di dollari. I primi risultati sono già apparsi sui principali quotidiani sul britannico Guardian, sull’americano Washington Post, sul francese Le Monde. Per l’Italia il caso è stato seguito dall’Espresso e dai principali quotidiani nazionali. Finora il nome più celebre a finire nelle maglie dell’inchiesta è quello di Jean Jaques Augier, titolare di conti alle Cayman, e tesoriere della campagna elettorale del presidente francese Francois Hollande che ha però ammesso di non saperne niente.

C’è poi la Russia con alcuni dirigenti di Gazprom, la moglie del vicepremier Shuvalov, l’oligarca Michail Fridman. Ancora l’industriale tedesco Gunter Sachs. Sotto accusa anche gli investmenti offshore di Grecia e Spagna. Tra i paradisi fiscali più ambiti, le Isole Cook e le Isole Vergini. Olivier Bailly, portavoce della Commissione Ue, ha parlato di urgenti e gravi conseguenze per tutti i luoghi dove si accettano o si nascondono i proventi dell’evasione. Si calcola che ogni anno negli Stati dell’Unione europea l’evasione supera i mille miliardi di euro. Questi soldi sarebbero potuti servire, per ridare ossigeno ai Paesi in difficoltà e risolvere la crisi economica finanziaria che stiamo vivendo.

Bisogna tener presente che queste somme sottratte al fisco finiscono per aumentare l’ineguaglianza dei redditi a livello dei singoli Paesi e tra le Nazioni, perché questo fenomeno – largamente documentato anche dall’indagine dell’Ocse – è rilevante. È chiaro che chi si sottrae al fisco è chi ha un reddito molto elevato, o comunque tale da indurlo a rischiare per ottenere questo vantaggio. È anche evidente anche che questo aumenta la percentuale di coloro che ottengono redditi alti senza pagare la tassazione e sottraggono queste risorse ad una distribuzione verso coloro che hanno meno.

Ancora una volta dobbiamo constatare come ci troviamo di fronte ad un sistema finanziario internazionale che non ha regole condivise e soprattutto con aree di salvaguardia per coloro che vogliono evadere il fisco.

Non esiste solo un danno per le casse degli Stati (penso soprattutto quelli in crisi); i paradisi fiscali sono un problema che finisce addirittura per determinare una concorrenza tra aree che attraggono questi capitali.

Purtroppo ancora una volta tra le istituzioni maggiormente coinvolte (non potrebbe essere diversamente nel capitalismo finanziario) ci sono le banche.

Alcune istituzioni bancarie, nonostante questa dura crisi finanziaria ed economica, non sono riuscite a metabolizzare un’etica del bene comune e hanno utilizzato le loro professionalità, pensando di dare un buon servizio ai loro “migliori clienti”  collocando i loro capitali là dove sono più protetti. L’idea che oggi in Europa si stia realizzando un sistema di sorveglianza bancaria unificato significa che qualcosa sta cambiando nella direzione giusta.

Tra i “paradisi fiscali” che sono stati individuati in questa inchiesta ci sono le Isole Vergini, le Cook… Il premier britannico Cameron ha detto che porterà il caso al prossimo G8. Quindi riflettori accesi su un caso che spaventa e forse è la prima volta a livello globale.

Nel caso del premier britannico c’è un aspetto che bisogna considerare: Cameron queste cose le ha già dette in passato, ma dimentica di dire che la Gran Bretagna è il più grande centro finanziario internazionale a livello europeo. Che ci sia una così attenta considerazione da parte del premier è naturale, si vorrebbe che non ci sia una concorrenza da parte di soggetti come le Cayman, o come altri “paradisi fiscali”, perché questi redditi finirebbero per collocarsi nel mondo finanziario londinese che è certamente quello più attraente e più organizzato.

Rimane il problema delle regole, dei conflitti d’interesse e dell’etica del bene comune che non vengono mai correttamente considerati e valutati.

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Carmine Tabarro

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