"Occupare l'ultimo posto"

Spunti per l’omelia a cura della Congregazione per il Clero. XXII.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C

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Citazioni:

Si 3,19-21.30-31: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9a3l0ec.htm
                             www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9bolpwc.htm
He 12,18-19.22-24a: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9a12erl.htm
Lc 14,1a.7-14: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9ak1pwn.htm  

La liturgia della Parola di questa XXII domenica del tempo ordinario presenta alla nostra riflessione  quali devono essere  le grandi aspirazioni del cristiano che devono orientare il vivere quotidiano di ogni fedele: la corsa all’ultimo posto e l’imbandire tavole con disinteressata generosità per gli affamati.

Sono due realtà che sicuramente cozzano con i principi mondani del vivere, ma che il cristiano, come seguace di Cristo, non può non accettare e mettere in pratica per conquistare quella meta che è il fine ultimo del suo cammino: il Regno di Dio.

Sono stati, infatti, l’umiltà e la povertà gli insegnamenti principali di Gesù nella sua vita pubblica e il brano evangelico dell’invito a pranzo da parte di un fariseo nei confronti di Gesù, fornisce a Gesù stesso l’occasione per ribadire l’importanza di queste virtù e conferire ad esse una nuova luce, una luce che deriva dal mistero di Cristo, Figlio di Dio fatto uomo che da ricco diventò umile e povero, per rendere così gli uomini ricchi della sua povertà e quindi degni della gloria di Dio.

Il Signore Gesù, nel brano lucano, non vuole suggerire delle regole di comportamento sociale, ma intende offrire piuttosto un insegnamento per la nostra partecipazione di ogni giorno al banchetto della fede e della vita cristiana, che ha il suo culmine nella celebrazione dell’Eucarestia: serve a noi il suo Corpo e il suo Sangue, la sua umanità sacrificata e risorta che, unitamente alla divinità, si nasconde nell’umile povertà delle apparenze del pane e del vino.

E partendo dall’esperienza di quel banchetto, dove la maggior parte degli invitati si dava da fare per occupare i primi posti, Gesù trae lo spunto per rivolgere un invito caloroso all’umiltà, una virtù che dà i suoi frutti anche sul piano umano.

Infatti, nelle relazioni umane è sempre preferibile, per l’invitato, occupare l’ultimo posto onde poter suscitare la simpatia del padrone di casa che si adopererà per avvicinarlo a posti a lui più vicini, mentre chi si siede al primo posto corre il pericolo di dover retrocedere ad un posto più lontano e quindi sottoporsi all’umiliazione davanti ai commensali.

Da ciò nasce l’atteggiamento della vera saggezza che è propria del cristiano, il quale, come seguace di Cristo, trova più giusto e coerente occupare l’ultimo posto, e questo non per una questione di debolezza o di timidezza, ma perché essere umili significa sottomettersi al gioioso peso dell’amore. Dio stesso si è umiliato e sicuramente non per debolezza o maggior bisogno di aiuto, ma si è abbassato per salvare l’uomo, per amore!

Per servire l’uomo si è fatto piccolo, si è umiliato e lo ha fatto nella persona del Figlio suo che, spogliandosi della sua condizione divina, pur rimanendo sempre Dio, ha assunto la condizione di servo divenendo simile agli uomini.

Inoltre, è bene ricordare come Gesù, nella lavanda dei piedi, ha offerto un grande esempio di umiltà compiendo un gesto grande di amore e svelandoci il vero volto di Dio, che è amore infinito e non esita ad abbassarsi alla condizione di schiavo pur di servire l’uomo e così purificarlo dal suo peccato.

Il cristiano vivrà, dunque, con questi principi, in quella dimensione di carità che lo avvicinerà maggiormente a Dio e la cui autenticità si manifesterà ancora di più allorquando all’umiltà unirà la gratuità delle sue azioni.

È la seconda parte del brano evangelico in cui Gesù esorta il padrone di casa ad invitare in futuro non solo gli amici che sono nelle condizioni di poter ricambiare l’invito, ma anche quelle persone che, a causa del loro stato di indigenza non potranno ricambiarlo. Gesù si riferiva a quelle persone che erano emarginate: storpi, ciechi, zoppi, cioè già carichi di una povertà esterna che rendeva più grave quella interna e che aveva come conseguenza l’esclusione dalla partecipazione alla vita sociale del tempo.

L’amore, però, quello vero che deriva da Dio, non può essere solo espressione di simpatia e amicizia umane, ma anche e soprattutto espressione di una profonda fraternità manifestata in una scelta più vicina ai poveri, abbracciandone la causa, perché sicuri che essi sono il segno privilegiato della presenza di Cristo nella storia.

È questo il tema della prima lettura in cui si invoca per gli uomini la modestia, l’equilibrio, la lontananza dalle grandi pretese. Infatti, afferma che chi nella vita sociale occupa un posto elevato, certamente per ciò stesso non è in posizione di superbia, ma più facilmente potrebbe essere tentato per cui viene esortato. Quanto più una persona è in posizione sociale elevata tanto più deve adoperarsi per sollevare le difficoltà di chi si trova oppresso da qualsiasi tipo di povertà. Questo atteggiamento, fra l’altro, risulta pure vantaggioso per espiare le proprie manchevolezze.

Anche la seconda lettura esorta ad un’autentica vita religiosa con un pressante appello alla carità: virtù che tutti siamo chiamati a realizzare nella nostra vita, essendo la nostra meta il cielo, la Gerusalemme celeste che possiamo raggiungere solo per mezzo di Gesù Cristo mediatore della nuova alleanza, sommo sacerdote che realizza la riconciliazione dell’umanità con Dio.

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ZENIT Staff

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