Occorre rieducare alla dimensione profonda della sessualità

Il Segretario generale della CEI nel ricordare la testimonianza di santa Maria Goretti

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ROMA, lunedì, 6 luglio 2009 (ZENIT.org).- Di fronte al “degrado morale” che si riflette nella rappresentazione svilente della sessualità e della dignità della persona umana, occorre tornare a educare i giovani a considerare il corpo non come un mero oggetto.

E’ quanto ha detto il Vescovo Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), nell’omelia pronunciata questo lunedì mattina nella casa del martirio di santa Maria Goretti, alle Ferriere (Latina), nel giorno dedicato alla sua memoria liturgica.

La vicenda di santa Maria Goretti, ha esordito il presule, sta lì a dimostrare, insieme alla sua “testimonianza di fedeltà alla propria coscienza e a Dio”, “gli effetti distruttivi e mortali a cui conduce l’istinto assecondato senza remore e diventato animalesco”.

Ma soprattutto, ha continuato, “la festa di santa Maria Goretti fa affiorare alle nostre labbra parole desuete, come purezza, castità, verginità, che facciamo fatica a pronunciare, che ci fanno forse arrossire”.

Sì, perché “il paradosso” sta nell’essere arrivati “ad agire e a parlare con sfrontatezza senza limiti di cose di cui si dovrebbe veramente arrossire e vergognare”.

Ecco quindi che l’esempio di santa Maria Goretti ci fa riflettere su alcune verità umane e cristiane fondamentali: la dignità e l’identità della persona, la grandezza del corpo, la bontà della sessualità, la natura della libertà.

Nel promuovere questi valori, ha precisato il mons. Crociata, la Chiesa non è spinta da “alcun disprezzo del corpo”, o “tabù circa la sessualità”, o neppure da “alcun timore della libertà. La Chiesa prova “pena” per “lo spettacolo quotidiano di degrado morale che si consuma in tante immagini proiettate dai mezzi di comunicazione e nelle cronache di vite senza fine devastate”.

“Assistiamo – ha detto – ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria, con cui fin dall’antichità si è voluto stigmatizzare la fatua esibizione di una eleganza che in realtà mette in mostra uno sfarzo narcisista”.

“Salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere”, ha osservato.

Per questo, ha sottolineato, “abbiamo bisogno di riscoprire che il corpo non è un oggetto di cui usare dissennatamente, che anche il corpo è persona; e la sessualità ne è la dimensione più profonda e intima, che orienta e dirige all’amicizia, all’amore e alla comunione”.

“Una libertà intesa come sfrenatezza e sregolatezza non porta affatto all’autentica espressione di sé e alla gioia dell’amore, ma all’uso dell’altro, alla sua sottomissione e all’annullamento come persona”, ha infatti spiegato.

“La violenza che giunge ad uccidere si colloca in continuità con l’alienazione di relazioni disordinate, anzi ne costituisce la logica conseguenza – ha continuato –. Se l’altro è solo un oggetto del mio desiderio, e uno strumento del mio piacere, allora posso farne quello che voglio”.

Purezza e castità, ha proseguito, riappaiono quindi come i “valori costitutivi” di un percorso formativo legato a questa dimensione profonda della sessualità, la cui responsabilità ricade sui genitori ed educatori, ma anche sulle istituzioni e la società intera.

“Abbiamo dinanzi a noi un compito educativo enorme, che è anche e anzitutto autoeducativo, se non in tanti casi autocorrettivo”, ha poi concluso.

Nata a Corinaldo, nelle Marche, il 16 ottobre 1890, da una famiglia di poveri ma onesti e religiosi contadini, Maria Goretti trascorse la sua infanzia a Nettuno, dov’è considerata la Patrona della gioventù; aiutava la madre nei lavori domestici ed era assidua nella preghiera.

Il 6 luglio 1902, un ragazzo di vent’anni di nome Alessandro Serenelli cercò di abusare di lei. Di fronte alla strenua resistenza della ragazza, Alessandro la colpì con ben 14 coltellate.

Per testimonianza dello stesso aggressore, Maria preferì infatti essere barbaramente uccisa anziché perdere la purezza, coltivata come un fiore illibato e difesa con grande coraggio.

L’aggressore fu rinchiuso nel carcere siciliano di Noto, dove rimase per quindici anni e dove ebbe la sua conversione.

Nella cella 45, dove attualmente si trova una cappella, Maria Goretti apparve in sogno ad Alessandro: era vestita di bianco e raccoglieva gigli candidi che, messi nelle mani del suo assassino, si trasformavano in luci accese simili a candele.

Alessandro Serenelli scontò la sua pena e all’uscita dal carcere si ritirò in un convento dei Frati Minori Cappuccini delle Marche per concludervi la sua vita.

Maria Goretti venne proclamata beata come martire per la fede il 27 aprile 1947 da Pio XII, lo stesso che il 24 giugno 1950 la proclamò santa in piazza San Pietro alla presenza, fra le molte migliaia di fedeli, della vecchia madre Assunta e del suo assassino.

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ZENIT Staff

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