Nuova traduzione della Vita di San Francesco

In occasione dell’VIII centenario della fondazione dell’Ordine francescano

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ROMA, mercoledì, 8 aprile 2009 (ZENIT.org).- L’incontro tra San Francesco e Papa Innocenzo III, che approvò la forma di vita dei Frati Minori, è considerato il momento dell’inizio dell’Ordine francescano. La tradizione vuole che l’incontro sia avvenuto il 16 aprile 1209, per cui quest’anno si celebra l’VIII centenario della fondazione dell’Ordine.

Per l’occasione, è stata pubblicata nella collana “Letture cristiane del secondo millennio” delle edizioni Paoline (Milano, 2009) una nuova traduzione della Vita di San Francesco – la cosiddetta Legenda maior – di San Bonaventura da Bagnoregio, con un’ampia introduzione di p. Pietro Messa.

P. Messa, della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum, ripercorre la storia delle riscritture della vicenda di Francesco, ricordando che la prima fonte che parla dei frati Minori è una lettera di Giacomo da Vitry, scritta ai suoi fedeli delle Fiandre da Genova.

“Siamo ai primi di ottobre del 1216 e prima di salpare per raggiungere Acri, in Oriente, di cui Giacomo era stato fatto Vescovo da papa Onorio III, questi raccontò la sua visita alla Curia romana, all’epoca residente a Perugia, e la positiva impressione riguardo alla fraternitas minoritica”, spiega p. Messa.

“Durante il giorno entrano nelle città e nei paesi, dandosi da fare con l’azione per guadagnare altri al Signore; la notte poi ritornano all’eremo o in luoghi solitari per attendere alla contemplazione”, scriveva Giacomo da Vitry, nel cui testo tuttavia non si menziona Francesco.

Molti studiosi dell’ultimo secolo, ponendo al centro delle proprie ricerche inerenti a Francesco più gli scritti che le biografie, hanno dato giustamente molto peso a quanto contenuto nel Testamento di frate Francesco, che quindi è stato spesso considerato “la sola fonte in grado di offrire il ‘vero’ Francesco, non frutto delle interpolazioni agiografiche offerte dalle biografie, soprattutto da quelle ufficiali”, ricorda p. Messa.

Con il Testamento, spiega il sacerdote francescano, “conosciamo Francesco secondo Francesco, o meglio come lui ha recepito e letto la sua esistenza nel 1226”. Con questo testo possiamo dunque “conoscere anzitutto l’autocoscienza di Francesco stesso, o meglio di frate Francesco, così come lui stesso espressamente si denomina”.

Francesco morì nel 1226 presso la Porziuncola. Il suo corpo fu portato dentro le mura di Assisi per essere sepolto nella chiesa di San Giorgio. Nel 1228, Gregorio IX riconobbe canonicamente la sua santità procedendo alla canonizzazione.

Questo atto, ricorda p. Messa, “comportava la scrittura di una vita ufficiale del nuovo santo, cosa che con un gesto più unico che raro lo stesso Gregorio IX commissionò a Tommaso da Celano, il quale in circa due anni consegnò la Vita del beato Francesco destinata a tutti i fedeli”.

Quest’opera, ha aggiunto, “propugnava anche l’idea che la via seguita da san Francesco, ossia quella della minoritas, fosse proponibile a tutti i fedeli”.

Dopo che in pochi anni si moltiplicarono le agiografie dedicate al Santo, il Capitolo generale riunito a Genova nel 1244 ordinò ai frati di inviare al Ministro Generale tutto ciò che conoscessero circa la vita e i miracoli di san Francesco.

I ricordi raccolti per ordine del Capitolo furono consegnati dal Ministro Generale a Tommaso da Celano, il quale, attingendo da essi e dalla sua prima opera dedicata a San Francesco, compilò il Memoriale in desiderio animae – la cosiddetta Vita seconda –, “questa volta senza seguire un possibile itinerario biografico-cronologico, ma raggruppando i diversi racconti a seconda delle tematiche trattate”.

La vita di San Francesco “costituiva quindi per i frati un solido punto di riferimento tanto quanto, per non dire di più, le stesse costituzioni”, osserva p. Messa.

Nella Legenda maior, San Bonaventura narra teologicamente l’incontro tra San Francesco e Innocenzo III. Il Papa, “ammirando nell’uomo di Dio la purezza di un animo semplice, la fermezza nel proposito e l’infiammato ardore di una volontà santa, si sentì incline a concedere un benigno assenso”, ma “non volle approvare subito ciò che chiedeva il Poverello di Cristo, perché ad alcuni Cardinali sembrava qualcosa di nuovo e arduo per le forze umane”.

Francesco raccontò poi al Papa la parabola di un ricco re che con gioia aveva sposato una donna bella e povera, e dei figli avuti da lei, così somiglianti al re che li aveva generati da dover essere allevati alla sua mensa.

“Non c’è da temere che i figli ed eredi dell’eterno Re muoiano di fame, perché essi, nati a immagine di Cristo Re per virtù dello Spirito Santo da una madre povera, è necessario che siano generati dallo spirito di povertà in una religione poverella”, disse.

Da quel momento il Papa, “colmo di una devozione particolare, si mostrò incline ad accogliere in tutto le richieste del servo di Cristo e lo amò sempre con affetto speciale. Perciò, concedette le cose richieste e promise di concederne ancora di più. Approvò la Regola, diede il mandato di predicare la penitenza e fece fare delle piccole chieriche a tutti i frati laici, che erano venuti con il servo di Dio, perché potessero predicare”.

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ZENIT Staff

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