Nunzi, volontari, missionari, tutti mobilitati per combattere l'Ebola

In Liberia e Sierra Leone, cresce l’impegno del mondo cattolico e non per assistere i malati e contrastare l’espandersi del virus

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Alla buona notizia della guarigione del medico statunitense Kent Brantly (33 anni) e dall’infermiera Nancy Writebol (59 anni) che erano stati infettati dal virus dell’Ebola, si aggiunge la mobilitazione di nunzi apostolici, volontari e missionari che stanno lavorando per assistere le vittime e contrastare l’espandersi del virus.

In una dichiarazione rilasciata all’agenzia Misna, mons. Miroslaw Adamczyk, nunzio apostolico in Liberia e Sierra Leone, ha spiegato che “serve ‘rigore’ per contrastare l’epidemia di ebola, ma bisogna anche fare di tutto per rendere meno difficili le condizioni di vita delle comunità messe in quarantena”. 

Misna riporta inoltre che nello slum di West Point a Monrovia, in Liberia, militari e poliziotti stanno lavorando per garantire il rispetto dell’isolamento disposto dalle autorità. Anche lo slum è stato messo quindi in quarantena.

“In Liberia – ha raccontato mons. Adamczyk – le vittime e i casi di contagio continuano ad aumentare ed è evidente che l’epidemia potrà essere fermata solo applicando in modo rigoroso le misure di prevenzione”. Attualmente il paese africano, con 576 casi, è la zona che registra il maggior numero di vittime accertate di ebola. 

In Liberia, come pure in Sierra Leone, l’altro stato colpito dall’epidemia, operano alcuni missionari dell’Ordine degli Agostiniani Recolletti che giorno dopo giorno assistono la popolazione minacciata dal virus, rischiando loro stessi la propria salute. Si tratta di quattro filippini e tre spagnoli attivi in due parrocchie di Makeni. Altri tre missionari filippini che si trovano in patria per un periodo di riposo non possono rientrare in Sierra Leone per la proibizione di viaggiare nei Paesi a rischio.

“Obbligati dalla nostra responsabilità pastorale – spiegano gli stessi missionari all’agenzia Fides – collaboriamo con il governo della Sierra Leone nello sforzo di sensibilizzare la popolazione del pericolo del virus Ebola e su come prevenirne la propagazione”

I padri, sottolinea Fides, “si prendono cura della gente, amministrano i sacramenti, presiedono la preghiera quotidiana con i fedeli”. “Questo – ” ha affermato p. Lauro Larlar, provinciale per le Filippine dell’Ordine – è ciò che noi chiamiamo l’apostolato di presenza così che le persone non si sentano abbandonate. Coloro che sono stati colpiti dal virus si sentono accompagnati, avvertono che la Chiesa soffre con loro, che la Chiesa lavora per loro”.

Si calcola che tra Sierra Leone, Liberia, Repubblica di Guinea e Nigeria siano finora 1350 i morti a causa dell’Ebola.

Già dall’inizio di agosto, la fondazione AVSI (Associazione Volontari Servizi Internazionali) ha lanciato una campagna sui social network con l’intento di mantenere un filo diretto con la Sierra Leone e raccontare i bisogni e le operazioni di risposta all’emergenza.  

Sul sito ufficiale, l’associazione spiega di essere presente in Sierra Leone sin dal 2000, insieme alla ong locale Family Home Movement, con cui collabora per progetti di sostegno a distanza e il sostegno al sistema educativo locale.

”Una maggiore consapevolezza delle misure di prevenzione tra la popolazione avrebbe potuto salvare molte vite”, scrive Nicola Orsini, responsabile AVSI in Sierra Leone, sul portale.

“Gran parte della popolazione della Sierra Leone non si fida delle misure adottate dalle autorità – spiega -. Sono ancora in molti ad evitare di prendere contatto con i medici in caso di sintomi da ebola, a fuggire dagli ospedali non appena la diagnosi è confermata, a nascondere le persone infette nelle case e nei villaggi, aumentando così il rischio di contagio e la diffusione dell’epidemia”.

“Spesso la diffusione di messaggi informativi non basta – aggiunge Orsini – serve una presenza costante fra la gente, in grado di sfondare il muro della diffidenza e della paura”.

In sostanza, è ciò che l’AVSI cerca di fare attraverso attività di informazione e sensibilizzazione delle comunità colpite, rassicurando la popolazione sulle concrete possibilità di guarigione. “Nelle aree in cui operiamo – spiegano gli operatori – prepareremo lo staff a svolgere attività di contact tracing cioè di individuazione delle persone con cui i malati sono entrati in contatto e che quindi potrebbero aver contratto la malattia”.

“Si tratta di un’epidemia senza precedenti, una vera emergenza sanitaria – dichiara il segretario generale AVSI, Giampaolo Silvestri – Il nostro staff nel paese si è messo subito al lavoro per contrastare la diffusione del virus. Le attività di prevenzione nel paese sono fondamentali ed è necessaria la più ampia copertura possibile“.

L’AVSI sarà presente anche al Meeting di Rimini, al via domenica 24 agosto, con la mostra “Generare bellezza. Nuovi inizi alle periferie del mondo”, nella quale si raccontano le esperienze del lavoro della Fondazione AVSI in Kenya, Ecuador e Brasile.

Sempre dalla Sierra Leone giunge la voce di don Ubaldino Andrade, direttore della Comunità di Freetown, che all’Agenzia Info Salesiana (ANS)ha raccontato: “In questi giorni ci sembra di essere come i discepoli sulla barca in mezzo al mare in tempesta, circondati dalla paura della infezione dell’ebola, epidemia che si è diffusa rapidamente nel paese. Anche nella capitale Freetown in questi ultimi giorni sono stati trovati i corpi di persone decedute per l’ebola, morte nelle loro case. Alcune città sono state isolate, impedendone l’ingresso e l’uscita”.

Tuttavia, ha aggiunto don Andrade, “dentro questa situazione di crisi ci sono anche momenti di intensa esperienza di Dio. Nella parrocchia tutti i giorni circa 230 giovani si incontrano. Sono salesiani, giovani dell’ MGS (movimento giovanile salesiano) e i ragazzi che partecipano al centro estivo. É molto bello: giovani che si mettono a servizio di altri giovani, facendo scuola, animando i giochi e le varie attività”.

“Uno dei punti chiave del centro estivo – ha spiegato il sacerdote – è ora l’educazione all’igiene e alle precauzioni necessarie per evitare il contagio: sono messaggi che passano dai ragazzi alle loro famiglie e al contesto sociale in cui vivono. É un servizio che si fa all’intera comunità; è importante infatti  ridurre la paura e il panico che serpeggia soprattutto nei quartieri popolari. Un’informazione corretta è il primo modo per prevenire il diffondesri della epidemia. I ragazzi diventano a loro modo ambasciatori di quella educazione sanitaria così necessaria in una crisi come quella che stiamo attraversando”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione