Notte degli Oscar: "Birdman" spicca il volo

Quattro statuette per la pellicola diretta da Alejandro Gonzalez Iñárritu. All’87° edizione del più prestigioso premio cinematografico internazionale si affermano i film che promuovono l’impegno sociale

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Nella notte tra domenica 22 e lunedì 23 febbraio si è tenuta l’87ª edizione della cerimonia degli Oscar, il più prestigioso premio cinematografico internazionale.

Questa edizione si è caratterizzata per due aspetti: l’impegno sociale promosso e richiesto a gran voce da molti artisti e il sostanziale equilibrio tra tutti i film presentati. A differenza degli anni passati infatti, non c’è stato un film che ha avuto un exploit. Basti pensare che tutti gli otto film candidati al premio di miglior film, hanno vinto almeno un Oscar.

La pellicola che comunque ha riscosso più successo è stata Birdman, ottenendo i premi per il miglior film, il miglior regista, la miglior sceneggiatura originale e la miglior fotografia.

Per la terza volta in quattro anni il cinema premia dunque se stesso con un film “meta cinematografico”, ovvero un film che parla del cinema stesso. La trama tratta di un attore che vede allontanarsi il proprio successo ma soprattutto la propria identità: lui, amato dal pubblico per il personaggio che ha interpretato nel passato e non per se stesso, finisce col confondere la propria identità con quella del suddetto personaggio.

Se è vero che Hollywood si è dimostrata autoreferenziale con questa votazione, è altrettanto vero siamo di fronte ad uno dei film, tecnicamente e stilisticamente, più rilevanti degli ultimi anni.

Unico premio che è mancato a Birdman è quello di migliore attore per il suo protagonista, Michael Keaton. Premio andato invece alla straordinaria interpretazione di Eddie Redmayne, che in La Teoria del Tutto ha interpretato l’astrofisico Stephen Hawking. Per la miglior attrice protagonista si è aggiudicata il premio la super quotata Julianne Moore; nel drammatico Still Alice l’attrice veste i panni di una professoressa che vede la sua vita lentamente distruggersi a causa dell’Alzheimer.

Quattro sono le statuette che si è aggiudicato anche l’onirico ed eclettico The Grand Budapest Hotel di Wes Andedrson. Tra queste figura quella per i migliori costumi andato all’italiana Milena Canonero. Giunta al suo quarto oscar, l’artista si è fatta portavoce di tutti i grandi tecnici cinematografici italiani riconosciuti ed apprezzati in tutto il mondo.

Tre i premi andati a Whiplash: due premi prettamente tecnici quali miglior montaggio e miglior montaggio sonoro e il premio al miglior attore non protagonista ad un incredibile J.K. Simmons.

Rimangono forse un po’ delusi Boyhood e American Sniper, i quali si sono aggiudicati solo un premio, rispettivamente miglior attrice non protagonista a Patricia Arquette e miglior sonoro.

Se American Sniper si può consolare con i suoi trecento milioni di dollari di incassi ai botteghini nei soli USA, Boyhood verrà sicuramente ricordato per il suo audace progetto. La lavorazione del film infatti è durata 12 anni, arco di tempo che viene ugualmente descritto all’interno del film. Il regista, Richard Linklater, inizia il lavoro nel maggio 2002. Ogni anno, per dodici anni, ha radunato la stessa troupe e lo stesso cast per girare alcune scene, al fine di seguire la crescita dei personaggi a pari passo con quella degli attori, in una coincidenza di tempo della storia e tempo del racconto.

Accoppiata vincente per la Disney: Premio Oscar al miglior film d’animazione con Big Hero 6 e al miglior corto d’animazione con Feast. Quest’ultimo ha in particolare colpito tutti: sette minuti di pure emozioni in cui un cane, trascurato dal proprio padrone, mette da parte la sua rabbia e il suo istinto e aiuta l’uomo a ritrovare la sua gioia perduta. Con un finale sensazionale, in cui il cerchio della vita si chiude e ricomincia, questo piccolo capolavoro è in grado di dare lezioni di vita a tutti noi. (È possibile vedere il film per intero qui, sul sito de Il Post).

Oscar al miglior film straniero va infine al film polacco Ida, intenso dramma in bianco e nero su una novizia che, durante il regime comunista in Polonia, scopre le sue origini ebree.

Ma nella notte degli Oscar 2015 ad emergere non sono i nomi illustri, ma come dicevamo l’impegno sociale.

Diversi protagonisti della serata hanno rivolto appelli al governo e al popolo stesso affinché soprusi, disuguaglianze e violenze cessino. Ecco che allora Patrcia Arquette, ritirando il suo meritato Oscar, chiede ad alta voce che le donne possano avere gli stessi diritti degli uomini. Riscuote successo e approvazione da tutta la sala e in particolare da Meryl Streep, che con quel suo “you go girl” urlato in piedi, non approva solo ciò che dice la collega e in quel momento rivale, ma ufficia, forse, il suo passaggio del testimone.

Tocca invece ad Alejandro Gonzalez Iñárritu, vincitore del premio come miglior regista per Birdman, rivolgere un appello al Governo Americano per la tolleranza verso gli immigrati, avendo a cuore la sorte di tutti i suoi connazionali messicani che non hanno avuto la sua stessa fortuna.

Commoventi le parole di Graham Moore, vincitore dell’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per il film The Imitation Game, che tratta storia del matematico e crittografo Alan Turing che decifrò i codici nazisti nella seconda guerra mondiale. Il giovane sceneggiatore ha scritto la sceneggiatura di questo film basandosi sulla biografia dello stesso matematico. Nel suo discorso ha dedicato il premio allo stesso Turing il quale fu arrestato per omosessualità dopo la seconda guerra mondiale e si suicidò.

A commuovere non è la sua dedica, ma l’appello che ne segue: “da giovane anche io ho pensato di uccidermi perché mi sentivo strano, mi sentivo diverso. Adesso invece sono qui. Vorrei che questo momento fosse per tutte le persone che si sentono strane, diverse, fuori posto. Vorrei dirvi: voi siete apposto velo assicuro. Continuate però ad essere strane diverse perché arriverà il vostro momento un giorno, e quando voi sarete qui su questo palco, passerete voi questo messaggio!”.

Il momento più forte della serata si è vissuto quando John Legend e il rapper americano Common hanno cantato la canzone Glory del film Selma, riguardante la vita di Martin Luther King, che ha vinto il Premio Oscar come miglior canzone.

L’esibizione, accompagnata da immagini dello stesso King e da un coro soul, è stata di un impatto sconvolgente e l’intera sala si è alzata in piedi, tra applausi e vistose lacrime.

I cantanti, visibilmente emozionati, hanno voluto condividere le loro motivazioni e i loro desideri: “vogliamo ringraziare Dio che vive nelle nostre anime. Siamo stati poco tempo a fa cantare sul ponte di Selma, là dove Martin Luther King ha iniziato cinquant’anni fa la sua marcia. Oggi questo ponte è simbolo del cambiamento. Lo spirito di questo ponte va oltre la razza, oltre il genere, la razza, l’orientamento sessuale. Ci unisce con tutte le persone che sognano una vita migliore, quelli che lottano in Francia per la libertà d’espressione e le persone che protestano e manifestano ad Hong Kong per la democrazia. Questo ponte è stato costruito e ammantato di speranza. Nina Simone ha detto che il dovere di un artista è riflettere il tempo in cui vive. Abbiamo scritto questa canzone per un film che parla di eventi accaduti cinquant’anni fa, ma Selma è attuale, perché la lotta per la giustizia è attuale. Viviamo nel paese con la maggior popolazione carceraria del mondo, ci sono più uomini di colore nelle carceri oggi rispetto agli schiavi che c’erano nel 1850. Quando le persone marciano al ritmo della nostra canzone noi gli vogliamo dire: Vi vediamo!”.

L’Academy, l’organizzazione che presiede alla premiazione degli Oscar, già in passato ha dimostrato di avere virtù che vanno oltre la politica del denaro e del commercio. Ad esempio nel 1968,
quando, proprio dopo la morte di Martin Luther King, decise di rinviare la premiazione perché troppo vicina a quel tragico evento. Oggi, nel 2015, l’Academy ha dimostrato di poter ritrovare quelle virtù! I suoi artisti hanno dimostrato vicinanza con le realtà più in difficoltà e di non essere solo una casta elitaria ed egocentrica. Soprattutto, hanno dimostrato di voler tornare ad avere un contatto reale con le persone più comuni, quelle stesse persone che in fondo ne permettono l’esistenza.

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Gianluca Badii

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