"Non giudicate", di Guido Vitiello

Conversazioni con i veterani del garantismo, edito da “liberilibri”

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di Antonio D’Angiò

ROMA, sabato, 3 novembre 2012 (ZENIT.org).- Sabato 27 ottobre è stato presentato alla Camera dei deputati, in occasione della quarta edizione delle “Giornate del libro politico a Montecitorio”, il “libretto” (così definito dallo stesso autore) di Guido Vitiello intitolato “Non giudicate” edito da liberilibri. Vitiello, nato trentasette anni fa a Napoli, è docente all’Università di Roma La Sapienza e collabora, tra gli altri, con il “Corriere della Sera” e “Il Foglio”.

Per una fortuita coincidenza temporale, all’interno dell’opera è raccontato quanto avvenuto  precisamente dieci anni fa, cioè il 30 ottobre 2002, quando il Presidente di Cassazione Corrado Carnevale è stato assolto, con formula piena, dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (accusato di aver “aggiustato” alcuni processi di mafia e da alcuni pentiti di essere un referente dei boss) dopo circa un decennio di vicende processuali.

Iniziamo da questa “ricorrenza temporale” per parlare del libro di Guido Vitiello, perché Corrado Carnevale, con Mauro Mellini, Domenico Marafioti e Giuseppe Di Federico è uno dei quattro veterani (tutti ultraottantenni all’epoca dell’intervista e, peraltro, tutti meridionali) che l’autore  ha incontrato per discutere del garantismo in Italia e successivamente dare vita a questa pubblicazione. Ma soprattutto perché Carnevale è l’unico dei quattro che oltre a discutere, descrivere, documentare, applicare i temi e i commi della legislazione, è stato sia giudice che imputato e come recita la terza di copertina, è stato “esemplare garante del giusto processo, per questo ha subìto una persecuzione mediatico-giudiziaria, uscendone vittorioso”.

Una serata (nell’affollata sala Aldo Moro del Parlamento) dove le riflessioni di giovani come Guido Vitiello e Serena Sileoni (Direttore Editoriale di liberilibri, coordinatrice dell’evento) si sono ben integrate nei toni e nei contenuti con quelle di tre maestri del giornalismo italiano: Pierluigi Battista, Massimo Bordin e Giuliano Ferrara, quest’ultimo autore della introduzione all’opera.

Scrivendo e parlando della giustizia, non poteva non essere posta in relazione la giustizia degli uomini con quella di Dio (o amministrata per conto di Dio), in particolare nelle assonanze con alcune ritualità tra inaugurazione degli anni giudiziari e i “riti basilicali”; in alcune forme sceniche dei processi che ricordano in Italia più i tribunali dell’inquisizione in confronto con quelle della legge britannica (dove l’imputato è al centro e in alto rispetto alla corte giudicante); nonché con quel “non giudicate” che fa proprio uno dei passaggi del discorso della Montagna di Gesù Cristo o, infine, nel riferimento a Ponzio Pilato o al bacio di Giuda.

Così come é stata più volte ripresa, per i cultori del diritto, la conseguenza che comporta sui processi la combinazione, tipicamente italiana, tra l’obbligatorietà dell’azione penale, la carcerazione preventiva, la limitata responsabilità civile dei magistrati e l’assenza della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici.

Oppure, per gli appassionati di vicende processuali, i racconti su alcuni processi, come quelli nei confronti di Enzo Tortora o di Scattone e Ferraro (questi ultimi accusati dell’omicidio della studentessa Marta Russo) che fanno emergere quanto, questi processi, abbiano rappresentato un’occasione mancata per una più ampia riflessione sul sistema giudiziario, prima che il termine garantismo fosse abbandonato da chi lo aveva nel suo patrimonio culturale e politico e fosse acquisito (l’autore dice “sputtanato”) da neofiti in virtù di un’interpretazione forzatamente privata, “ad personam”, di questioni comunque universali.

Infine, i riferimenti letterari a Sciascia, Borges, Kafka, Pasolini, Dostoevskij, Gide, Anatole France, Gadda, Dante Trosi, rappresentano un vero e proprio elenco di consigli per la costruzione di una biblioteca del garantismo nella quale cercare le motivazioni più profonde sull’essenza del giudicare.

L’avvocato e politico radicale (e anticlericale) Mellini, lo scrittore e avvocato Marafioti (di formazione repubblicana, deceduto pochi mesi dopo l’intervista), il professore di diritto Di Federico, il cattolico magistrato di Cassazione  Carnevale, aiutati dalla prefazione di Giuliano Ferrara, tendono a spiegare quello che Vitiello rende immediatamente percepibile con una domanda. Come è stato possibile che i giovani, gli studenti (che peraltro lui incontra nelle aule universitarie) siano stati attratti dal pensiero giustizialista con quell’incarognimento che li ha portati a parlare di legalità, manette, intercettazioni con sillogismi feroci?

E allora, per chiudere, pensiamo che le parole finali della conversazione con Corrado Carnevale in un certo qual modo possano spiegare il senso più profondo del libro e lasciare a credenti e non credenti il cercare di comprendere se e quanto ampio, in tema di giustizia, sia oggi la distanza tra cultura radicale, liberale e cristiana, per provare a indicare una nuova direzione alle giovani generazioni.

“Ecco, ho sempre cercato di giudicare il mio simile nel modo più umano possibile, senza eccessi di moralismo. Non mi sono sentito diverso e migliore anche dal peggior delinquente che talvolta mi è capitato di dover giudicare.” Suona come una variante del precetto evangelico che abbiamo scelto come titolo per questo libro, “Non giudicate”, nel quale Sciascia credeva dovesse radicarsi la missione stessa del giudice. Qualcosa di non troppo diverso intende Carnevale: “Benedetto Croce diceva che non possiamo non dirci cristiani, e aveva ragione. Il Cristianesimo ha degli aspetti che non dovrebbero essere trascurati. Io sono credente. Ma grazie al cielo il Cristianesimo non è una corrente associativa.”

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ZENIT Staff

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