Don Pino Puglisi

© Arcidiocesi Catanzaro-Squillace

Non è mai troppo tardi

Una riflessione dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace sulla presenza di Salvo Riina a “Porta a Porta”, alle luce delle parole del Beato Pino Puglisi

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«A questo può servire parlare di mafia, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi».
Che Pino Puglisi avesse ragione da vendere lo si è intuito una volta ancora mentre mercoledì sera i televisori facevano entrare nelle case degli italiani la faccia di Salvo Riina, figlio di Totò, ospite di Bruno Vespa nello studio di Porta a Porta. Il fatto non ha bisogno di approfondimenti perché ben nota è la polemica seguita alla scelta della Rai di ospitare il rampollo del boss, autore di un libro di ricordi familiari. Neppure è in discussione il diritto-dovere dei giornalisti di svolgere come meglio credono il proprio lavoro.
Sbaglia chi ritiene il contrario. E tra costoro spiccano quanti rivestono ruoli politici, ai quali non toccava in passato, come non spetta oggi, di scrivere i palinsesti della Tv pubblica. Loro compito, semmai, è elaborare norme che rendano il servizio pubblico finalmente tale, libero da lacci e lacciuoli e da schemi culturali ormai inutili.
È su questo piano che la vicenda va affrontata, con una serietà sin qui mancata: far parlare la mafia di sé è sempre un azzardo. Soprattutto se è una mafia che si presenta affettuosa nella sua intimità familiare, con il più crudele dei boss esibito come il migliore dei papà. Riina jr. ha scritto un libro di memorie “senza memoria”. Con le stesse dimenticanze si è seduto davanti alle telecamere.
E angoscioso è risultato l’effetto di un’intervista con tante richieste di verità ed altrettante risposte non date: avere il figlio di Riina in studio e non pretendere che si misurasse con la memoria dei martiri di Cosa Nostra, che desse un giudizio di valore su uno dei periodi più bui e dolorosi della nostra storia, è una ferita, specie per i familiari delle vittime, ai quali, assurdamente, è stata poi concessa una serata riparatoria. Una puntata interamente dedicata alla lotta alla mafia. Uno schiaffo inaccettabile: in uno Stato democratico non vige la par condicio tra i familiari dei mafiosi e quelli delle vittime dei mafiosi. Non è possibile, né accettabile: sarebbe come mettere sullo stesso piano i razzisti e gli anti-razzisti, i seminatori d’odio e i costruttori di pace.
Perché questo non accada più, occorre che quanto don Puglisi – e non solo lui – andava affermando trovi effettiva concretizzazione. Un cambio di mentalità indispensabile, che aiuti a combattere davvero le cosche, che non potranno mai essere debellate solo con processi e condanne, quando pure arrivano, ma soltanto estirpandone le radici economiche, sociali, ambientali, culturali: creando lavoro, formazione e diritti. Alla maniera del parroco di Brancaccio, fatta di carne e sangue e non di parole o di carta, ciascuno nella concretezza quotidiana e nel proprio ambito, in silenzio e con dignità, lontani dal clamore mediatico.
Già Leonardo Sciascia, negli anni Ottanta d’un Novecento tanto lontano da sembrare preistoria, sosteneva che per fare carriera e soldi basta «usare l’antimafia come strumento di potere: ieri c’erano vantaggi a ignorare che la mafia esistesse, oggi ci sono vantaggi a proclamare che esiste e che bisogna combatterla con tutti i mezzi». Aveva ragione lui. Eppure, in Italia, sembra che la lotta alle mafie sia missione esclusiva dei professionisti dell’antimafia. Bravi a dispensar patenti di legalità, a fare e disfare governi con un titolo di giornale, a sfornare sentenze senza aver mai aperto un codice, neppure quello della strada. Gli unici, insomma, capaci di lucrare persino su picciotti e lupare.
Non si vince dominando le apparenze, ma conquistando i cuori. Don Pino Puglisi, come tanti altri, l’aveva capito. E per questo è stato ammazzato. Speriamo non invano.
*
Cogliamo l’occasione per annunciare ai lettori di ZENIT che nei prossimi mesi sarà pubblicato un libro dedicato a padre Pino Puglisi di mons. Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione, edito da Ares.

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Vincenzo Bertolone

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