Non confondere Gesù Cristo con le nostre idee

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo per la XII domenica del Tempo Ordinario – Anno C

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di Zenit la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XII domenica del Tempo Ordinario – Anno C. Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA

Non confondere Gesù Cristo con le nostre idee 

Rito romano

XII domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 23 giugno 2013

Zac 12,10-11; Ga 3,26-29; Lc 9,18-24   

Che dice la gente chi io sia? 

Rito ambrosiano

V Domenica di Pentecoste

Gen 18,1-2a.16-33; Sal 27; Rm 4,16-25; Lc 13,23-29

La porta stretta 

1)Tre luoghi: il deserto, la preghiera e la comunità.

Quasi sempre, il Vangelo ci dice il luogo materiale, dove si svolge il fatto di cui parla: Betlemme, Nazareth. Gerico. Gerusalemme. Cesarea di Filippo ecc., ecc. Oggi il brano del vangelo narra di Gesù che si trova in un luogo solitario, “materiale”, e in preghiera, cioè un luogo “spirituale” ed è circondato dai discepoli, che sono la sua comunità di vita e missione. Questo terzo luogo potremmo chiamarlo “luogo umano”, dove vive una fraterna comunione per l’annuncio della buona Novella.

Quindi se ciascuno di noi vuol essere discepolo (=colui che impara, dal verbo latino “dìscere”: imparare) deve stare con Gesù in un luogo solitario, deserto – cioè nel mondo ma non del mondo – e in comunità.

Ho già citato altre volte il versetto 2,16 del profeta Osea, ma oggi è utile arrivare almeno al 2,22: “Così dice il Signore: Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. (2,16-17b.21-22).

Dio ci vuole completamente per sé e ci strappa da tutte le nostre consuetudini, dalla vita quotidiana, per portarci nel deserto, nel luogo solitario del nostro cuore. E in questa solitudine, Dio é tutto per l’anima e l’anima è tutta per Dio, che parla al cuore dell’uomo. Allora la persona umana è capace di accogliere questa dichiarazione d’amore che Dio gli fa: Egli le dice ti amo.

Ma dichiarazione d’amore è esigenza di risposta, che l’essere umano dà a Dio nella preghiera, che per essere fatta bene non ha bisogno di molte parole, né di molti studi.

            Mi spiego con un episodio della vita del Santo Curato d’Ars, che vedeva spesso in chiesa un contadino. Questo uomo illetterato dopo una giornata di lavoro nei campi, andava verso sera nella piccola chiesetta di Ars, si sedeva in un banco davanti al tabernacolo e vi restava per molto tempo. Un giorno, il Santo Curato si avvicinò a questo contadino in preghiera, che non apriva bocca neppure per mormorare le consuete preghiere popolari, e gli chiese: “Cosa dici al Signore?”- “Niente” rispose l’uomo e aggiunse “Io guardo Lui e Lui guarda me”.  L’adorazione è l’essenziale della preghiera, è la preghiera che diventa sguardo ed apre il cuore alla Presenza di Bontà, Verità e Amore.

Al giorno d’oggi, viviamo o in mezzo a una intensa iperattività. Neppure i preti e i religiosi vi sfuggono, anche perché sono sollecitati da compiti pastorali urgenti e così numerosi, da non poter affrontarli tutti. In mezzo a questo dilagare di vita e di attività, i periodi di preghiera tendono a presentarsi come dei vuoti, delle soste. Inoltre, molto spesso, si pensa che l’attività per gli altri sia l’unico arricchimento possibile e l’unica necessità evangelica, arrivando a guardare ai momenti di preghiera come a reali perdite di tempo.

L’esempio del contadino di Ars dimostra che è un grave errore pensare che la pura e semplice preghiera possa diventare inutile, che il tempo dedicato solamente a Dio sia tempo perso.

In effetti, come amava ripetere il Papa emerito Benedetto XVI, nessuno più di Gesù Cristo fu permanentemente in stato di adorazione e di preghiera davanti al Padre, poiché la visione di Dio dimorava nell’anima sua in mezzo a tutte le sue attività di uomo. Tuttavia Lui coglieva tutte le occasioni per immergersi nel silenzio e nella solitudine di una pura preghiera: “E, avendo congedate le folle, salì sul monte, in disparte, per pregare” (Mt 14, 23). “Il mattino, molto prima dell’alba, egli si levò, uscì e andò in un luogo solitario. E là pregava” (<em>Mt 1, 35). Questi momenti di preghiera Gesù li sottraeva alle giornate massacranti, durante le quali non cessava di appartenere ai suoi discepoli, ai malati, alla folla che gli si accalcava intorno e lo cercava. Alla sera, di notte, al mattino, Gesù andava in disparte a pregare. Gesù, come uomo, sentiva il bisogno di momenti prolungati di preghiera, liberi da ogni attività umana.

Non va dimenticato che per Lui il legame tra l’azione è la preghiera era l’amore e altrettanto deve esserlo per noi. Un amore che si mette a disposizione dell’annuncio che Dio è diventato uomo e che questo uomo è presente in un “segno” di concordia, di comunione, di unità di comunità, di unità di popolo, nella comunità dei redenti (è il terzo “luogo” di cui oggi parliamo): la Chiesa, vissuta in famiglia, in parrocchia, nel movimento, nel monastero.

2) La gente chi dice che io sia? E voi?

Con queste domande Gesù non intende certamente fare un sondaggio di opinione, che va bene per farsi un’idea su un argomento, non per impegnare la vita. Egli fa questa domanda vuole aiutare i discepoli di allora e quelli di adesso a capire chi è Lui per noi e chi siamo noi per Lui.

Nel Vangelo di oggi questa domanda riceve due risposte.

La prima esprime l’opinione della gente che in Gesù vede un profeta, magari un grande profeta, ma non riesce a scorgere altro. La gente non era ostile a Gesù. Anzi accorreva in massa ad ascoltarlo, ma era interessata più ai vantaggi materiali che poteva ottenere dai suoi miracoli che dai vantaggi spirituali della sua presenza di carità tra loro. Evidentemente la folla non aveva capito il mistero della persona di Gesù.

La seconda risposta viene da San Pietro. Il Capo degli Apostoli dà una stupenda risposta: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Gesù è così contento di questa risposta che dice: “Beato te Simone, perché né la carne, né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”. Ma nello stesso tempo afferma che non ci sarebbe mai arrivato da solo, se il Padre non gliel’avesse suggerito.

Va notato che Gesù non aveva fatto la domanda dicendo: “Tu chi dici che io sia”, sebbene: “Voi chi dite che io sia?”. Il “Voi” è ecclesiale, perché è in questa risposta che nasce la Chiesa. Il rapporto “Io-Tu” è molto bello, ma l’“Io-Voi” è ancora più bello, perché in questa risposta personale diventiamo comunità, “luogo della festa e del perdono” dove incontriamo il Dio della Vita e dell’Amore.

La risposta di Pietro è esatta: “Cristo è Dio”, che vince il male con la Croce che fa morire la morte con la Croce, che dà la vita per amore, che è ricco “solamente” di misericordia. E’ il contrario dell’egoista che vuole salvare se stesso: Dio-Amore vuole salvare l’altro. L
ui il giusto si lascia giudicare. Lui che è la legge, è misericordia e perdono. Noi gli togliamo la vita, Lui dona la vita per noi. E’ magnifico questo Uomo-Dio.

Ma come possiamo seguirLo (vangelo romano) e varcare la porta stretta (vangelo ambrosiano) che si apre solo con la Croce come chiave? Come possiamo parlare di Lui, il Cristo di Dio, come ha fatto San Pietro? In ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate, che parlano di Cristo solo quando viene loro chiesto, ma vivono in modo tale che si chieda loro di Cristo (cfr Paul Claudel), perché la loro vita vissuta nella verginità dice che “Cristo è Dio e merita tutto”. La loro vita parla. Con una vita di e da Vergini che attendono lo Sposo e con la preghiera vigilante domandano per sé e per l’umanità intera che sia Cristo a varcare la porta stretta del nostro cuore dilatandolo. (Rito di Consacrazione della Vergini, n. 36 – Invio per la missione)

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LETTURA PATRISTICA

Omelie 25 ; PL 76, 1188

Propongo il prologo della Regola di San Benedetto perché aiuta a capire e a vivere il fatto che l’essenziale è che il cuore dilati dicendo liberamente sì ad una salvezza che non viene da lui mediante la consacrazione. E poi essenziale è che il cuore, cosciente della sua incapacità a salvarsi da sé, ma anche del suo inalienabile desiderio di pienezza e felicità, decida di ascoltare un Altro nella preghiera, e che lo ascolti con la disponibilità a lasciarsi guidare, istruire, condurre verso la vita.

Regola dei monaci

Prologo

Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l’ignavia della disobbedienza.Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell’obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.

Prima di tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di portare a termine quanto di buono ti proponi di compiere,affinché, dopo averci misericordiosamente accolto tra i suoi figli, egli non debba un giorno adirarsi per la nostra indegna condotta.

Bisogna dunque servirsi delle grazie che ci concede per obbedirgli a ogni istante con tanta fedeltà da evitare, non solo che egli giunga a diseredare i suoi figli come un padre sdegnato,ma anche che, come un sovrano tremendo, irritato dalle nostre colpe, ci condanni alla pena eterna quali servi infedeli che non lo hanno voluto seguire nella gloria.

Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l’incitamento della Scrittura che esclama: “E’ ora di scuotersi dal sonno!” e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio:” Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!”, e ancora: “Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!”.

E che dice? “Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte”.

Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo:”Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?”.

Se a queste parole tu risponderai: “Io!”, Dio replicherà: “Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall’iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila”.

Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: “Ecco sono qui!”.

Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama?Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita!

Armati dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo regno.

Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la sua tenda, ossia nel suo regno, ricordiamoci che è impossibile arrivarci senza correre verso la meta, operando il bene.Ma interroghiamo il Signore, dicendogli con le parole del profeta: “Signore, chi abiterà nella tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?”.

E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda: “Chi cammina senza macchia e opera la giustizia; chi pronuncia la verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua; chi non ha recato danni al prossimo, né ha accolto l’ingiuria lanciata contro di lui”; chi ha sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue suggestioni, respingendolo dall’intimo del proprio cuore e ha impugnato coraggiosamente le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo sorgere; gli uomini timorati di Dio, che non si insuperbiscono per la propria buona condotta e, pensando invece che quanto di bene c’è in essi non è opera loro, ma di Dio, lo esaltano proclamando col profeta: “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria!”.

Come fece l’apostolo Paolo, che non si attribuì alcun merito della sua predicazione, ma disse:” Per grazia di Dio sono quel che sono”e ancora: “chi vuole gloriarsi, si glori nel Signore”.

Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: “Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia. E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”.

Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni.

Ed è proprio per permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni di questa vita secondo le parole dell’Apostolo: “Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla conversione?”

Difatti il Signore misericordioso afferma: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”.Dunque, fratelli miei, avendo chiesto al Signore a chi toccherà la grazia di dimorare nella sua tenda, abbiamo appreso quali sono le condizioni per rimanervi, purché sappiamo comportarci nel modo dovuto.Perciò dobbiamo disporre i cuori e i corpi nostri a militare sotto la santa obbedienza.

Per tutto quello poi, di cui la nostra natura si sente incapace, preghiamo il Signore di aiutarci con la sua grazia.

E se vogliamo arrivare alla vita eterna, sfuggendo alle pene dell’inferno, finche c’è tempo e siamo in questo corpo e abbiamo la possibilità di compiere tutte queste buone azioni, dobbiamo correre e operare adesso quanto ci sarà utile per l’eternità.

Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso;ma se, per la correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia, non ti far prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è necessariamente stretta e ripida.

Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dall’indicibile sovranità dell’amore.           

Così, non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra sofferenza ai patimenti di Cristo per meritare di essere associati al suo regno.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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