Non c'è tecnologia che consenta all'uomo di rinunciare a Dio

Il “Natale nell’era digitale” al centro di un dibattito promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi

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di Luca Marcolivio

ROMA, mercoledì, 19 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Cosa rappresenta davvero la rivoluzione digitale? È un bene o un male? E soprattutto: ci sarà ancora spazio per Dio in una civiltà dove l’intelligenza umana e quella artificiale saranno sostanzialmente alla pari?

A queste impegnative domande si è cercato di dare risposta durante la tavola rotonda Il Natale nell’era digitale, tenutasi ieri sera al Palazzo Santa Chiara e organizzata dall’Opera Romana Pellegrinaggi (ORP), con la partecipazione di padre Caesar Atuire, amministratore delegato di ORP, e di padre Philip Larrey, professore di Logica e Filosofia della Conoscenza alla Pontificia Università Lateranense.

Secondo padre Larrey, siamo nella prima fase di “una nuova era che cambierà la natura dell’essere umano”, caratterizzata da una “crescente dipendenza dalle macchine”. La rivoluzione tecnologica, ha spiegato il sacerdote americano, sta realizzando macchine sempre più in grado di elaborare un pensiero umano e di sostituirsi all’uomo in molte funzioni.

Gli esempi citati da padre Larrey sono svariati: dal Deep Blue che batté Garry Kasparov a scacchi nel 1997, ai dispositivi che permettono di tradurre dall’inglese parlato al cinese scritto in tempo reale, fino ad arrivare agli aerei senza pilota (da non confondersi con i droni che sono pilotati dall’esterno). Scienziati come Raymond Kurzweil hanno previsto la fusione dell’intelligenza biologica con quella artificiale entro il 2040.

Il vero dilemma sollevato da padre Larrey, tuttavia, è: “queste macchine diventeranno coscienti o no?”. Man mano che esse progrediscono, alcuni interrogativi sorgono spontanei: cosa significherà l’essere umano? Come cambierà la natura umana? Ci sarà ancora posto per Dio?

Le risposte sono state fornite da padre Atuire, che ha inquadrato il problema nella prospettiva dell’imminente Natività di “un Salvatore per tutti i popoli”. E se l’uomo di domani, diventasse un ipotetico ibrido uomo-macchina, sarebbe in grado di percepire l’importanza del dono salvifico di Dio?

“Posso avere in mente l’intera Wikipedia e tutta l’Enciclopedia Britannica – ha osservato il sacerdote ghanese – ma questo non farà di me un uomo capace di amare e di perdonare. Ci sarà sempre una dimensione che la pura conoscenza non mi potrà dare”. Anche sulla carità, si pone un problema analogo: “non basta sapere cosa sia, bisogna viverla”, ha aggiunto padre Atuire.

Tornando all’evento della Natività del Signore, Atuire ha ricordato che l’arrivo del Messia era atteso in modo diverso da ogni popolo e fazione della Palestina di allora. “Per gli Zeloti significava la fine dell’Impero Romano, mentre per gli Esseni la salvezza significava l’eliminazione dei corrotti che si erano impossessati del tempio di Gerusalemme”, ha ricordato l’amministratore delegato di ORP.

Gesù, tuttavia, non viene al mondo per liberare questo o quel popolo ma “per liberare tutta l’umanità dal male. Egli ci dona una salvezza più completa e più profonda. Quando poi Dio è stato portato davanti al tribunale degli uomini, è stato condannato in modo iniquo”.

C’è, poi, una profonda differenza tra le preghiere che di solito rivolgiamo a Dio, riguardanti il nostro benessere materiale, fisico o affettivo, e ciò che Lui vuole donarci, ovvero “la liberazione dal peccato e da tutte le strutture di peccato”, ha osservato padre Atuire.

Gesù è paragonabile ad un medico che non si accontenta di “toglierci il dolore” con un qualsiasi analgesico ma intende “curare il nostro male, fino in fondo, individuandone la causa”.

Venendo al tema del dibattito, Atuire ha sottolineato che lo sviluppo tecnologico fornisce all’uomo un potere maggiore, tuttavia il potere in sé non ha una valenza positiva o negativa a prescindere dalla “volontà dell’uomo”.

Quindi, anche in un contesto di progresso delle nuove tecnologie, portato all’ennesima potenza, “è necessaria una luce che determini il nostro criterio, altrimenti questi cambiamenti possono diventare la nostra rovina”.

Anche oggi, quindi, come 2000 anni fa, l’incarnazione del Figlio dell’Uomo, permette che Dio diventi un “compagno di viaggio” per l’uomo. C’è bisogno di una luce che viene da lontano, che è “a noi esterna” ma, al tempo stesso, abbastanza potente da illuminare tutti noi, ha quindi concluso l’amministratore delegato di ORP.

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ZENIT Staff

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