Non c'è fede senza tolleranza

Tutti i fedeli del Libro ritornino alla “sacra” condanna della violenza

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Quello che è avvenuto a Parigi con la barbara uccisione dei giornalisti del giornale satirico “Charlie Hebdo” da parte di fanatici che pretendevano di appellarsi all’Islam, esige una riflessione sul possibile uso strumentale della religione. Come aveva ripetutamente ribadito Benedetto XVI, in occasione specialmente dei suoi incontri con mondi religiosi diversi dal cristianesimo, la violenza esercitata in nome di Dio è offesa a Dio, un inaccettabile ricorso a Colui che è il fondamento ultimo della universale fratellanza fra gli umani per calpestare la dignità della persona creata a immagine del Creatore.  Chi offende l’uomo offende il Dio che lo ha voluto a sua somiglianza, e chi si serve pretestuosamente del nome divino per colpire l’immagine dell’Eterno nella sua creatura sta bestemmiando in maniera gravissima ed inequivocabile proprio il Creatore.

Il rispetto richiesto è anzitutto quello verso ogni espressione religiosa: “È necessario e urgente – aveva affermato Papa Ratzinger sin dall’inizio del suo pontificato – che le religioni e i loro simboli siano rispettati e che i credenti non siano l’oggetto di provocazioni che feriscono le loro iniziative e i loro sentimenti religiosi” (2006, discorso al nuovo ambasciatore del Marocco presso la Santa Sede, Ali Achour).

In radice è la persona umana che va rispettata, quali che siano le sue idee, le sue convinzioni politiche o religiose, la sua appartenenza culturale. Nell’affermare questo principio fondamentale del rispetto Benedetto XVI faceva appello al diritto inalienabile di ogni essere umano alla salvaguardia della sua dignità e della sua coscienza: la sua non era solo l’argomentazione religiosa, fondata nel primo comandamento del Decalogo, che esige il rispetto della Trascendenza di Dio e della sacralità del Nome divino; egli poneva al centro dell’attenzione la ferita che chi manca di rispetto al Sacro produce nei credenti e nei loro sentimenti religiosi.

È la causa dell’uomo, e non solo la causa di Dio che chiede questo rispetto; o, meglio, è l’inseparabilità di queste due cause che deve essere tenuta presente e che esige fiducia e obbedienza a tutti, credenti e non credenti. In chi richiede il rispetto della libertà di coscienza non è dunque l’avvocato di Dio, ma l’avvocato dell’uomo a parlare: e in quanto tale, la sua è una parola che esige ascolto e riflessione da parte di tutti, senza distinzioni di credo, di appartenenze, di laicità.

La tradizione ebraico-cristiana in proposito presenta un progressivo e chiaro affermarsi del rifiuto di ogni violenza, che culmina nelle parole evangeliche “io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Matteo 5,39). L’Islam nel suo testo sacro comprende la possibilità dell’esercizio della forza, ma lo fa con due precisazioni che vanno tenute in conto: la prima è che essa può essere giustificata solo come forma di legittima difesa (cf. la Sura 2); l’altra è che la “jiahd” va esercitata anzitutto su se stessi come guerra al male che ci tenta e che vorrebbe insinuarsi in noi. È poi esplicito l’invito alla tolleranza e al rispetto dell’altro: “Non vi sia costrizione nella religione!” (Sura 2, 256).

Dunque, l’uso della violenza in nome di Dio è condannato dalle tre grandi religioni monoteistiche, anche se i distinguo e la pluralità delle interpretazioni faranno macchiare di sangue le mani di innumerevoli loro credenti nel corso della storia. Proprio per questo, però, è necessario che tutti i fedeli del Libro, ebrei, cristiani e musulmani, ritornino alla condanna della violenza contenuta nei testi sacri e lo facciano nella certezza che è proprio e solo questa la volontà del Dio “clemente e misericordioso”, Signore del cielo e della terra e Padre di tutti, di cui la prima lettera di Giovanni può dire: “L’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (4,7s).

L’intolleranza e la violenza non possono neppure essere giustificate come risposte alle presunte offese, poiché non sono compatibili coi principi della religione e con la dignità dell’essere umano che la professa. “È per questo – affermava ancora papa Ratzinger – che non possiamo che deplorare le azioni di coloro che approfittano deliberatamente dell’offesa creata ai sentimenti religiosi per fomentare atti violenti, tanto più che ciò viene fatto a fini estranei alla religione”. Il Papa, avvocato dell’uomo, diventava in questa luce avvocato della verità che è alla base anche dell’Islàm: l’offesa a Dio è offesa ai sentimenti profondi di chi crede, ma anche inseparabilmente l’offesa all’uomo è offesa al Dio in cui si crede, che di quell’uomo è il Creatore e Signore. Il ragionamento “laico” di Joseph Ratzinger portava così alla conclusione stringente che, se a nessuno è lecito offendere la coscienza religiosa dell’altro, a nessuno è lecito esercitare violenza sulla persona umana, per nessun motivo, e a nessuno è lecito negare la libertà di coscienza altrui in nome del proprio credo e del proprio diritto a esercitarlo godendo dell’altrui rispetto.

Perciò, aggiungeva il Papa tedesco, “per i credenti come per tutti gli uomini di buona volontà, la sola via che può condurre alla pace e alla fraternità è quella del rispetto delle convinzioni e delle pratiche religiose altrui, in modo tale che, reciprocamente, sia possibile assicurare per ciascuno l’esercizio della propria religione liberamente scelta». In questa luce, i fanatici che hanno compiuto il barbaro eccidio dei giornalisti di Charlie Hebdo al grido “Allah è grande”, proprio in quell’atto stavano offendendo nella maniera più grave il Dio che pretendevano di onorare. La condanna della loro barbarie è senza appello e l’uso strumentale della religione si rivela per quello che è: una tragica manipolazione asservita a folli presunzioni ideologiche.

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Fonte: Il Sole 24 Ore, giovedì 8 gennaio 2015, pp.1 e 28

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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