Niger: nelle chiese distrutte dagli incendi si torna a pregare

A gennaio, nelle proteste per le vignette di «Charlie Hebdo», furono bruciate e saccheggiate 45 chiese cristiane. Avviati ora i lavori di restauro, ma servono ancora 3 milioni di euro

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Risorgono pian piano dalle loro macerie le chiese cristiane del Niger che, fra il 16 e il 18 gennaio, furono date alle fiamme durante il focolaio di tensioni e proteste causate dalla pubblicazione di caricature di Maometto da parte del settimanale francese «Charlie Hebdo».

45 esattamente le chiese bruciate da estremisti islamici, e dieci i morti. Ora, dopo quasi sette mesi, sono iniziati i lavori di restauro e ripristino degli edifici di culto “con i nostri mezzi e grazie alla generosità di tanti, cristiani e non”. Ad annunciarlo è mons. Michel Christian Cartatéguy, arcivescovo emerito di Niamey, in un’intervista pubblicata dal sito ivoriano Linfodrome.com e ripresa dalla Radio Vaticana.

Il presule si sofferma in particolare sullo stato di avanzamento dei lavori nelle parrocchie più colpite dalle violenze: le sei della capitale e una a Zinder, seconda città del Niger, nella diocesi di Maradi. Per esse si necessita dell’equivalente di 3 milioni di euro non solo per riparare i danni delle fiamme, ma anche per recuperare quanto è stato saccheggiato, derubato e profanato. Finora con le donazioni è stato coperto solo il 30% delle spese previste.

Nella stessa intervista, mons. Cartatéguy racconta che gli avvenimenti di gennaio hanno turbato profondamente l’animo dei cristiani, soprattutto perché le buone relazioni con la comunità musulmanai nstaurate nel corso di questi anni  non facevano temere tensioni o minacce.

Per questo, secondo il presule, le violenze dei mesi scorsi sono frutto di un integralismo islamico che non nasce in Niger, ma altrove. Ovvero da correnti integraliste provenienti da altre nazioni, anche attraverso predicatori stranieri, che avrebbero cambiato la mentalità della gente. Poi c’è sicuramente l’influenza esercitata da Boko Haram alimentata da una forma di rifiuto delle ingerenze dell’Occidente “nelle questioni africane”.

“Ci sono forme di democrazia occidentale che si vogliono imporre ovunque – afferma Cartatéguy -e ciò provoca in Africa una certa ostilità verso i Paesi occidentali che ‘giustifica’ tale complicità o, piuttosto, questa tolleranza verso Boko Haram”. 

Nonostante le violenze anticristiane abbiano seminato molta paura, i fedeli – testimonia infine l’arcivescovo – hanno continuato comunque a radunarsi e a prendere parte alle celebrazioni organizzate sulle ceneri delle chiese bruciate. Alcuni che si erano allontanati sono tornati per partecipare alla vita della comunità cattolica.

Ora le due diocesi di Niamey e di Maradi stanno tornando alla normalità. Nella capitale l’arcivescovo Djalwana Laurent Lompo (per tredici anni stretto collaboratore di Cartatéguy) sta proseguendo il lavoro cominciato dal suo predecessore.

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ZENIT Staff

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