"Niente può separarci da Dio, neanche le sbarre di un carcere"

Nella Casa Circondariale di Poggioreale, il Papa pranza con 120 detenuti e risponde alle domande di due di loro. E denuncia: “Detenuti spesso in condizioni indegne”

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Una lunghissima fila di fedeli in festa attendeva l’arrivo di Papa Francesco nella Casa Circondariale “Giuseppe Salvia” di Poggioreale. Dalla folla sventolavano le solite bandierine con l’immagine del Pontefice, le mamme tenevano i loro bambini – alcuni neonati – in braccio pronte a passarli ai gendarmi per ricevere un abbraccio del Papa. I giornalisti erano appollaiati ai due lati del portone del carcere. Intanto, le finestre e i balconi dirimpettai alla Casa Circondariale erano colorati da festoni, lenzuola, striscioni e fiori bianchi e gialli. 

L’arrivo del Papa, dopo la Messa in piazza del Plebiscito, è stato accolto da urla e applausi partiti come una hola dal fondo del lungo corridoio e arrivato fino all’ingresso del carcere dove, in attesa, in piedi, c’erano il direttore Antonio Fullone, il comandante Gaetano Diglio, e il cappellano don Franco Esposito.

Sceso dalla papamobile, Francesco ha abbracciato alcuni fedeli e baciato i bambini che gli venivano posti davanti. Poi, accompagnato da uno spontaneo coro che intonava “O’ sole mio”, è entrato nella struttura accolto dai rappresentanti della Direzione, la Polizia Penitenziaria e i dipendenti di Poggioreale. Prima di recarsi nella Cappella, il Papa sul piazzale antistante ha salutato i detenuti.

Sono attualmente circa 1800 i prigionieri del penitenziario, come raccontava ieri don Esposito a ZENIT. Con 120 di loro, in rappresentanza di tutti i padiglioni, il Pontefice si è seduto poi in chiesa per il pranzo, durante il quale due carcerati, l’argentino Claudio Fabian, e un calabrese di nome Pasquale, gli hanno rivolto alcune domande.

“Qui in carcere ho trovato Dio e il Signore Gesù attraverso la catechesi settimanale, la Messa della domenica e la lettura del suo libro ‘Mente abierta, corazon creyente’ che mi ha mandato mia madre dall’Argentina”, ha detto Fabian, che dovrà scontare altri 15 anni. “Noi carcerati siamo dimenticati da tutti, ma non da Dio”, ha soggiunto.

Gli ha fatto eco Pasquale, recluso nel penitenziario di Secondigliano: “Il Papa – ha detto – è in carcere per cercare e fasciare la pecorella smarrita, ma noi siamo marchiati a vita come detenuti, emarginati, esclusi da tanti percorsi di inserimento. E questa è una grande ingiustizia. Troveremo accoglienza fuori da queste mura?”.

Bergoglio – come riferito da uno dei cappellani don Giovanni Licciardo ad ACI Stampa – ha risposto a tono: “È vero la società può essere ingiusta e indifferente perché non accoglie chi ha sbagliato”. Ma ha dato comunque una parola di speranza: “Ricordate che il primo salvato da Cristo era un carcerato condannato con Lui sulla croce. Avete un santo protettore così e questo vi deve infondere coraggio”. Quindi, ha concluso il Santo Padre, “se sbagliamo, chiediamo perdono e ci rialziamo: il perdono di Dio è totale ed incondizionato. Di questo potete essere sicuri!”.

Nel discorso consegnato il Papa ribadiva la gioia di trovarsi lì con i detenuti, perché – ha rimarcato – “questo incontro mi permette di esprimere la mia vicinanza a voi, e lo faccio portandovi la parola e l’amore di Gesù, che è venuto sulla terra per rendere piena la nostra speranza ed è morto in croce per salvare ciascuno di noi”.

“A volte – ha aggiunto il Papa – capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti: ma Dio non si dimentica dei suoi figli, non li abbandona mai! Egli è sempre al nostro fianco, specialmente nell’ora della prova”. È questa “una certezza”, ha assicurato il Pontefice, “che infonde consolazione e speranza, specialmente nei momenti difficili e tristi”. “Anche se nella vita abbiamo sbagliato, il Signore non si stanca di indicarci la via del ritorno e dell’incontro con Lui. L’amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di consolazione e di speranza”.

Quindi “niente potrà mai separarci dall’amore di Dio!”, ha ribadito il Santo Padre, “neanche le sbarre di un carcere”: “L’unica cosa che ci può separare da Lui è il nostro peccato; ma se lo riconosciamo e lo confessiamo con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro Lui, perché Lui è misericordia”.

Nel testo, Papa Francesco ha detto poi di conoscere “le situazioni dolorose” dei carcerati, attraverso le tante lettere, “alcune davvero commoventi”, provenienti dai penitenziari di tutto il mondo. “I carcerati  troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società”, ha denunciato il Pontefice.

“Grazie a Dio – ha soggiunto – ci sono anche dirigenti, cappellani, educatori, operatori pastorali che sanno stare vicino a voi nel modo giusto”. E anche “alcune esperienze buone e significative di inserimento”. Bisogna però continuare a lavorare su questo, in modo da “sviluppare queste esperienze positive, che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa”.

Alla base di tale impegno deve esserci però “la convinzione che l’amore può sempre trasformare la persona umana”. E allora un luogo di emarginazione come il carcere, “può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone”. L’invito è quindi a “vivere ogni giorno, ogni momento alla presenza di Dio, a cui appartiene il futuro del mondo e dell’uomo. Ecco la speranza cristiana: il futuro è nelle mani di Dio!”.

Per leggere il testo consegnato cliccare qui.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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