"Nella fragilità dei martiri rifulge la forza della fede"

Durante la veglia di preghiera per i “nuovi martiri” organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, il card. Pietro Parolin invita a raccogliere la loro testimonianza

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Nel secolo scorso, “uomini e donne credenti sono morti offrendo la loro esistenza per amore dei più poveri e deboli”. Ma la scia di sangue si protrae ancora oggi, “in diversi contesti”, laddove “tanti nostri fratelli e sorelle permangono oggetto di un odio anticristiano”. Parole che arrivano al cuore, quelle che ha pronunciato il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, presiedendo la veglia di preghiera ecumenica che, come ogni anno, la Comunità di Sant’Egidio promuove “in ricordo di quanti in questi ultimi anni hanno offerto la loro vita al Vangelo”.

La mappa delle violenze e delle persecuzioni di cui sono oggetto oggi i cristiani è ampia: abbraccia un pezzo d’Africa, si stende sul Medio Oriente e corre verso l’Asia, arrivando sino ai suoi estremi confini orientali. È un tema drammatico, che raccoglie infatti le preoccupazioni del Santo Padre, il quale, durante la Messa del 6 aprile 2013 a Santa Marta, ricordò che “oggi, nel XXI secolo, la nostra Chiesa è una Chiesa di martiri”.

Uomini che si fanno testimoni viventi del messaggio della Croce, la cui memoria si fa più intensa durante la Settimana Santa. “La preghiera odierna – le parole del card. Parolin durante la veglia a Santa Maria in Trastevere – ne racchiude la memoria viva, perché sia viva la loro eredità. Questa eredità sgorga da vite spesso umili e fragili, ma impastate di amore”.

Di quell’amore che non conosce divisioni. Raccogliendo lo spunto di papa Francesco sull’“ecumenismo del sangue”, il card. Parolin ha ricordato che questi martiri sono “cattolici, ma anche ortodossi, evangelici, anglicani e ci invitano all’unità”.

Testimoni di amore, appunto, ma anche di quella forza “che il mondo non conosce e che paradossalmente si manifesta nella sconfitta e nell’umiliazione di quanti soffrono a causa del Vangelo”. Messaggio, quello del Segretario di Stato, che attinge al magistero di Giovanni Paolo II, il quale diceva: “I testimoni della fede non hanno considerato il proprio tornaconto, il proprio benessere, la propria sopravvivenza come valori più grandi della fedeltà al Vangelo. Pur nella loro debolezza, essi hanno opposto strenua resistenza al male. Nella loro fragilità è rifulsa la forza della fede e della grazia del Signore”.

Infatti, in “tanti – ha notato ancora il porporato – sono stati sacrificati per il loro rifiuto di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, il comunismo, il nazismo, l’idolatria dello Stato o della razza. Molti altri sono caduti nel corso di guerre etniche o tribali”. Mentre altri sono caduti perché “sul modello del buon Pastore, nonostante le minacce, hanno voluto rimanere con i loro fedeli piuttosto che venir meno alla propria missione”.

Una perseveranza evangelica che è motivo di persecuzione e morte anche per i “nuovi martiri” del secolo in corso, i quali – ha detto il card. Parolin – “non vengono perseguitati perché a essi viene conteso un potere mondano, politico, economico o militare, ma propriamente perché sono testimoni tenaci di un’altra visione della vita, fatta di abbassamento, di servizio, di libertà, a partire dalla fede”. E “laddove l’odio sembrava inquinare tutta l’esistenza, essi hanno manifestato come ‘l’amore sia più forte della morte’”. Talvolta – ha dunque sottolineato il più stretto collaboratore del Papa – “è solo il nome di ‘cristiano’ ad attirare l’odio, perché esso richiama la forza pacificante, umile, di cui essi sono portatori, come tanti volontari, laici o consacrati e consacrate, giovani e anziani, la cui vita è stata recisa mentre servivano generosamente la Chiesa e comunicavano l’entusiasmo della carità”.

L’esistenza di tanti martiri non deve però trarre in inganno circa l’aspirazione principe del cristiano. Il Cardinale ha suscitato l’essenza profonda espressa da papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice”.

Terminata l’omelia, prima della benedizione finale, sono stati scanditi i nomi e i cognomi di tanti testimoni della fede che hanno sacrificato la propria vita per il Vangelo nell’ultimo secolo. Uomini cattolici, ma anche protestanti e ortodossi. Uniti in quell’“ecumenismo del sangue” evocato da papa Francesco.

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Federico Cenci

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