Nel “mondo disincantato” di oggi, rimettere Dio al centro

Conclusioni del convegno “Magia e nuove religiosità”

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ROMA, giovedì, 12 maggio 2011 (ZENIT.org).- Per far fronte alla sfida rappresentata nella nostra società dalla magia e dalle nuove forme di religiosità, è necessario tornare a mettere Dio al centro della vita e abbandonare le tentazioni all’autosufficienza in cui cade spesso l’uomo di oggi.

E’ una delle conclusioni del convegno “Magia e nuove religiosità”, svoltosi a Fano sabato 7 maggio. Le ha delineate al termine dell’incontro don Giorgio Giovanelli, delegato per il Centro di Bioetica di Fano e già Officiale di studio presso la Pontificia Accademia pro Vita, sottolineando che si è di fronte “alla grande sfida che la visione cristiana deve affrontare nello scontro con gli aspetti della moderna secolarizzazione”.

Se da un lato non è quest’ultima a determinare la nascita di esperienze magiche ed esoteriche, rintracciabili nelle varie epoche della storia dell’uomo, dall’altro “dobbiamo sicuramente ad essa il moltiplicarsi di queste nuove religiosità che ci fanno capire, forse ancora meglio, il profondo bisogno presente nel cuore di ciascun uomo”, ha osservato.

Secondo il sacerdote, che ha parlato a nome del Vescovo locale, monsignor Armando Trasarti, “è interessante notare come la secolarizzazione si ponga, quasi, a difesa dell’autonomia di un uomo che, per paura di perdere la propria libertà, cerca di vivere etsi Deus non daretur”.

Don Giovanelli ha quindi ricordato che il filosofo cattolico Charles Taylor, nel suo libro “A Secular Age”, indica tre significati della secolarizzazione che si possono riscontrare nella nostra società.

“Il primo riguarda lo spazio pubblico che è stato svuotato da Dio o da qualsiasi riferimento alla realtà ultima”, il che vuol dire che oggi “qualsiasi discorso pubblico ha luogo senza riferimento a Dio e alla dimensione delle fede”; un altro tipo di secolarizzazione è identificato da Taylor nella “caduta della fede e della pratica religiosa da parte di persone che non credono più e che non vanno più in Chiesa”.

C’è poi il tipo di secolarizzazione che riguarda il credo, che consiste, tra le altre cose, in “uno spostamento da una società dove è impensabile che la fede in Dio possa essere messa in discussione o diventare fonte di problemi ad una dove essa diventa un’opzione tra le altre, e spesso la più difficile da intraprendere”.

Mondo incantato e disincantato

In questo modo, si vengono a determinare “il mondo incantato degli antichi modelli sociali e quello disincantato tipico della modernità”.

Nel mondo di oggi, ha sottolineato don Giovanelli, i pensieri e i sentimenti “sono situati all’interno della mente umana”, “affiorano da noi”, “quindi ciò che a noi è esterno è semplicemente la conseguenza di un pensiero o credo; in altre parole, le cose hanno un’esistenza interamente dipendente da noi o addirittura da me stesso”.

Nel mondo incantato, invece, “i significati non erano localizzati nella mente umana”. “A controllare il tutto e intervenire quando era necessario c’era Dio e, in aggiunta, i Santi a cui ci si rivolgeva con la preghiera per ottenere aiuto e protezione”.  Vi erano dunque “molteplici risorse di significato esterno e superiore alla mente umana”, “la cui esistenza sarebbe continuata nel momento in cui noi avessimo cessato di esistere”.
 
“Nel mondo incantato l’incredulità è rara: in queste società Dio è il primo e l’unico garante del trionfo del bene sul male. Il non credere, il rifiuto di Dio ti poneva solo contro un insieme di forze la cui esistenza è indipendente dalla persona”.

Nel mondo disincantato, invece, “la fede in Dio è irrazionale e difficile perché Dio si riduce” “ad una creazione della mente umana”.

“Se una volta, dunque, era difficile non credere in Dio oggi sembra quasi impossibile crederci”. L’uomo “da creatura sta giocando a fare il Creatore”.

In questo contesto si comprende “la grande sfida pastorale che ci aspetta in questo mondo secolarizzato”, iniziando dal prendere coscienza “dei punti deboli della nostra azione”, che nella sua relazione al Concistoro straordinario del 1991 il Cardinale Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, individuava “nella scarsità di sacerdoti, nell’ignoranza da parte dei cattolici in materia di fede, nella sacra liturgia celebrata in modo non opportuno, nella scarsa umanità nel saper accogliere ed amare gli altri che si presentano”.

Questa sfida, ha indicato don Giovanelli, “coinvolge gli ambiti della pastorale familiare”: “in un contesto in cui la famiglia è sola è facile divenire vittime di facili proposte e soluzioni senza fatica”.

Per questo, “è quanto mai necessario creare gruppi di condivisione dove le famiglie, le coppie non si sentano sole”, “dove vi sia la possibilità di condividere le fatiche, le gioie, come anche i dubbi circa la fede. Condividere per crescere”.

La sfida coinvolge anche l’ambito della pastorale giovanile, richiedendo “una pastorale che sappia formare ed informare il giovane sulla grande illusione che caratterizza la società contemporanea: l’illusione del tutto, subito e soprattutto, senza fatica”.

A questo proposito, ha concluso ricordando la casa dei giovani che fra poco tempo verrà inaugurata a Fano, “un luogo dove si possa realizzare la formazione del giovani ai valori autentici della vita, primi fra i quali, la condivisione e la bellezza della vita comune”.

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ZENIT Staff

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