Necessario un lavoro paziente e sistematico negli archivi storici del Concilio

Il saluto di mons. Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, alla seconda giornata del Convegno Internazionale di studi sul Concilio Vaticano II

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ROMA, giovedì, 4 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito l’indirizzo di saluto di monsignor Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, alla seconda giornata del Convegno Internazionale di studi sul tema Il Concilio Ecumenico Vaticano II alla luce degli archivi dei Padri Conciliari, svoltosi questa mattina nell’Ateneo.

***

Eminenze,

Eccellenze,
Autorità religiose, civili e accademiche,
Cari Presidente, Segretario e Colleghi del Pontificio Comitato di Scienze
Storiche,

ben volentieri vi do il benvenuto nella cosiddetta “Università del Papa” – una Università che, proprio per questo, ha rivestito un ruolo importante nei lavori del Concilio Vaticano II –. Vorrei approfittare dello spazio che mi è concesso per chiarire anche ai non addetti ai lavori – e anche a coloro che solo per questa giornata parteciperanno al Convegno – gli intenti che ci siamo proposti, e le mète che vorremmo raggiungere.

1. E’ ormai noto a tutti che esistono oggi due linee nettamente divaricate nell’interpretazione del Concilio Vaticano II, o –per dirla in maniera più tecnica–
due posizioni ermeneutiche ben distinte, e fra loro in buona parte contrapposte.
In proposito, assumo due interventi del Papa Benedetto XVI come punto di riferimento autorevole e sicuro. Il primo intervento del Papa, a cui alludo, è il celebre Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, il 22 dicembre 2005.

Nella seconda parte del Discorso il Papa, appena eletto da qualche mese, fa memoria della conclusione del Concilio, avvenuta quarant’anni prima, e riflette sulla difficile recezione di esso. Al riguardo, Benedetto XVI distingue con chiarezza “due ermeneutiche contrarie”, che “si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro”. C’è quella che il Papa chiama l’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”, che legge il Concilio non alla luce del Magistero precedente, ma in contrapposizione a esso.

Tale ermeneutica “non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna”; ma certo, continua Benedetto, “ha causato confusione”. L’altra linea interpretativa, invece, “silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti”.

E’ questa la cosiddetta “’ermeneutica della riforma’, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa… E’ un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”. Essa non nega gli elementi di novità del Concilio (senza questi elementi di novità, il Concilio Vaticano II sarebbe stato inutile!), ma legge gli Atti e i Documenti conciliari in continuità, non in contraddizione, con gli insegnamenti precedenti della Chiesa.

Il secondo intervento del Papa, a cui mi riferisco, è contenuto nella sua ultima risposta del dialogo con i sacerdoti delle Diocesi di Belluno-Feltre e di Treviso, il 24 luglio 2007, a Auronzo di Cadore. Questo secondo intervento introduce una distinzione ulteriore nella prima linea ermeneutica di cui si parlava, cioè quella “della discontinuità e della rottura”.

Secondo il pensiero del Papa, tale ermeneutica è proposta nella Chiesa da due versanti diversi: da un “progressismo sbagliato”, che considera la presunta rottura con la tradizione precedente come una vera e propria benedizione per la Chiesa; e poi da un “anticonciliarismo”, per cui la medesima rottura è valutata, al contrario, come una catastrofe. Così le due posizioni convergono nell’ermeneutica “della rottura”, ma
differiscono sostanzialmente nelle loro conclusioni.

2. Ora – nonostante le indicazioni del Papa, che orientano chiaramente i fedeli ad accogliere l’“ermeneutica della riforma nella continuità” – le diverse letture del Concilio Vaticano II sono giunte a un tale punto di radicalizzazione, che, volendo evitare prese di posizione prevenute o ideologiche, si rende necessario un lavoro paziente e sistematico di indagine nei vari archivi storici del Concilio. Si tratta, in particolare, di accedere al più grande numero possibile di archivi personali dei padri e dei periti conciliari, in modo da raggiungere conclusioni plausibili con metodo scientifico e contenuti oggettivi.

3. Esattamente in questa direzione si sta muovendo l’attività del “Centro studi e ricerche sul Concilio Vaticano II”, creato nel 1998 dal Rettore del tempo, mons. Angelo Scola, dentro la Facoltà di Teologia dell’Università Lateranense. Dopo un certo periodo di quiescenza, il Centro ha ripreso da un paio d’anni le sue attività, proprio in vista del cinquantesimo anniversario del Concilio, sotto la direzione esperta del prof. Philippe Chénaux. 

In ispecie, il Centro ha avviato un’operosa sinergia con il Pontificio Comitato
di Scienze Storiche. L’iniziativa più importante, che segna la collaborazione tra le due Istituzioni, si compie nella giornata di oggi, nella quale alcuni studiosi, rappresentanti della varie regioni del mondo, daranno conto dei risultati da loro raggiunti, fin ad ora, nella
ricerca archivistica sistematica, di cui si parlava. Un secondo Convegno è poi previsto verso la fine del 2015, nel cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio.

Solo in quell’occasione potranno essere illustrate le conclusioni della quadriennale ricerca, che – conviene ripeterlo, a scanso di delusioni – al momento presente è rivolta solo al reperimento, e non tanto alla valutazione, dei materiali archivistici. Il lavoro è davvero tanto…, e non voglio rubare altro tempo agli illustri Relatori. Così vi auguro una buona giornata e una proficua ricerca.

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ZENIT Staff

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