Natale: una "tregua poetica" nella battaglia della vita

I lettori di ZENIT propongono i loro versi ispirati alla venuta al mondo del Signore

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ZENIT ha ripubblicato, il 13 dicembre scorso, l’introduzione al libro La tregua di Natale – Lettere dal fronte, edito da Lindau, uscito in questi giorni nelle librerie. Il libro ripropone, attraverso accurate testimonianze, un episodio che potremmo definire, senza esitazione, fra le più commoventi storie di Natale del nostro tempo: rivelatore di un nucleo di umanità che tutti ci accomuna, capace di superare condizionamenti e vincoli sociali, quando questi siano in antitesi con la natura profonda dell’uomo.

L’episodio risale al 1914, agli inizi della Grande Guerra. Papa Benedetto XV si era appellato alle nazioni belligeranti affinché le armi tacessero almeno durante il Santo Natale. L’appello fu respinto dai capi militari ma venne imprevedibilmente accettato dalle truppe che, in alcune zone di guerra, deposero le armi ed attuarono una spontanea “tregua natalizia”.

L’odio del nemico è il fattore scatenante che le oligarchie d’ogni tempo cercano di inculcare nelle masse per spingerle alla guerra. La storia ci insegna che la guerra è originata quasi sempre dagli interessi di potere di quelle stesse oligarchie, abilmente celati dietro discutibili motivazioni ideologiche.

Ma l’animo umano non è mai condizionabile fino in fondo e, in un angolo della coscienza, il principio di umanità continua a brillare per poi accendersi, a volte, di luce accecante.

Apprendiamo dai documenti dell’epoca che quei soldati, fino a pochi istanti prima feroci avversari pronti a darsi la morte, si scambiarono gli auguri di Natale, cantarono insieme, fraternizzarono tra loro e giocarono persino una partita di pallone… Uno scorcio di “poesia vissuta” che potremmo quasi considerare, sul piano concreto, un corrispettivo delle istanze profonde che animano l’agire del poeta. O almeno questa è l’emozione che abbiamo provato leggendo le poesie di Natale inviateci dai nostri amici poeti.

Nei versi della bella poesia Quarta domenica di Avvento di Maria Cristina De Mariassevich pare quasi d’avvertire i pesanti moti dell’animo che devono aver provato quei poveri soldati, schiacciati fisicamente dall’oppressione delle trincee e provati psicologicamente dalla violenza della guerra (“Ogni impalcatura / della mente / ha ceduto / e il cuore / straziato da / tanto umano patire / si volge agli / occhi tuoi di / misericordia”). Un’esperienza d’angoscia e solitudine, quella narrata dall’autrice nell’elegante trama della sua sintesi poetica, destinata a risolversi nella promessa dell’Avvento, che non è solo festa di Natale ma fede nella vita.

QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

di Maria Cristina De Mariassevich

Ogni impalcatura

della mente

ha ceduto

e il cuore

straziato da

tanto umano patire

si volge agli

occhi tuoi di

misericordia

per chiedere l’aiuto

che ricomporrà

il disegno della

Vita.

Vieni a nascere

divino Figlio

della Speranza

nell’antro umido

e dolente dell’essere

mio, donagli

la luce nuova

del tuo sorriso

in un istante

dissolvi le dure nevi

che han coperto di

gelo il suo

respiro.

Maria Cristina De Mariassevich è nata a Roma. Laureata in Lettere all’Università La Sapienza, ha perfezionato gli studi alla Facoltà Teologica Marianum e alla Columbia University di New York. Insegnante di storia dell’arte in un liceo classico romano, è interessata all’interazione tra i linguaggi espressivi ed è attenta alle iniziative che sollecitino negli studenti la creatività e l’apertura alle culture diverse.

***

Le cronache dell’epoca raccontano che quei soldati che, sfidando gli ordini dei loro superiori, attuarono in occasione del Natale una inconsapevole “tregua poetica” nella battaglia della vita, espressero un fugace ma incontenibile sentimento di fraternità mostrandosi l’un l’altro le foto dei rispettivi congiunti: figli, mamme, mogli che li aspettavano e che pregavano per il loro ritorno. Quei soldati, senza distinzione di bandiera, pensavano ai loro figli, alle loro madri, forse alle loro mogli che stavano per diventare madri…

La poesia che segue, Alla Madre di Gianfranco Trabuio, esprime appunto questo sentimento (“è vicino il Natale / dentro alle nostre storie / ricordiamo l’evento / quando le mamme pensavano / alle loro maternità”). E la figura di Maria, emblema di tutte le madri, traccia una linea atemporale che definisce il sentimento della maternità, efficacemente sintetizzato dal poeta nel verso “madri per sempre” (“fiat voluntas tua / come le nostre mamme / madri per sempre”).

ALLA MADRE

di Gianfranco Trabuio

Questo mattino gelido

si gode una pioggia colorata

le foglie imbrinate dell’acero

cadono come in processione

è vicino il Natale

dentro alle nostre storie

ricordiamo l’evento

quando le mamme pensavano

alle loro maternità.

E tu Madre Maria

come ricordavi il tuo Natale

il tuo Gesù Bambino

con quanta emozione

da Nazaret a Betlemme

te lo portavi nel segreto

della tua storia?

Madre Maria

sapevi tutto del tuo Bambino

l’Angelo ti aveva parlato

e tu avevi accettato

fiat voluntas tua

come le nostre mamme

madri per sempre.

Madre Maria

ancora oggi guardiamo a te

al tuo figlio

diventato il nostro Gesù

e nel silenzio

da Betlemme al Calvario

l’hai accompagnato

chissà quanto hai pregato Dio Padre

che allontanasse quel calice

come le mamme di oggi.

Ecco Madre Maria

la nostra supplica

insegnaci ad accogliere Gesù

come fosse il nostro Bambino

aiutaci

i nostri figli hanno bisogno di te.

Gianfranco Trabuio è nato a Venezia, dove risiede. Già dirigente e docente universitario a contratto, ha pubblicato tre libri di poesie conseguendo premi e riconoscimenti. Iscritto all’Ordine dei giornalisti del Veneto, collabora con la rivista Eco Commissariato Triveneto di Terra Santa. Ha redatto i testi per un fumetto storico-artistico dedicato a San Francesco. Cura un suo sito web all’indirizzo www.gianfrancotrabuio.it.

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Una analoga tensione emotiva si avverte nella poesia Di fronte al presepe di Giancarlo Castagna, un componimento di natura classica basato sulla accentuazione ritmica delle rime e costruito attorno a due versi che costituiscono il fulcro ispiratore dell’opera: “aperti alla speranza” e “aperti alla bellezza”. Due sentimenti che, nonostante i “nostri cuori sempre inquieti”, tornano a manifestarsi per testimoniare la promessa del Natale.

DI FRONTE AL PRESEPE

di Giancarlo Castagna 

Fatti di paglia, povero mio cuore,

quella paglia che un giorno ormai lontano

accolse e confortò col suo calore

di terra e cielo l’unico Sovrano.

Tu, che all’amore e dall’amor sei nato,

i nostri cuori aridi, perversi,

ad una triste morte han condannato:

fa sì che i nostri giorni sian diversi,

aperti alla speranza e più mansueti

<p>alla Tua carità, che ci hai donato

per render nostri cuori, sempre inquieti,

aperti alla bellezza del Creato.

E nella Tua bellezza alfin riposo

e nel Tuo amore sconfinato e dolce

ritrovino la pace e il senso ascoso

di nostra vita che per Te si volge.

Giancarlo Castagna è nato a Castelli Calepio (BG), ha fatto studi classici ed ha frequentato l’Università Cattolica. Ha composto molte poesie in gioventù e da qualche anno ha ripreso a
scrivere.

***

Ma la poesia del Natale è anche la poesia del ricordo, degli affetti che permangono. Ringraziamo dunque la gentile signora Graziella Brambilla per averci inviato le poesie di Natale scritte da don Enrico Vago (1929-2013), per lunghi anni parroco della parrocchia di Santi Cosma e Damiano di Concorezzo (MB). “Don Enrico Vago – scrive la signora Graziella – era una persona umile, intelligente e schiva, ha sempre amato, oltre il latino, la poesia. Su richiesta dei parrocchiani, ogni anno regalava una poesia natalizia, che veniva affissa di fianco al presepe in chiesa”. Un bellissimo modo di testimoniare il Natale, quello di don Enrico, ed ecco allora la sua intensa poesia intitolata L’abbraccio di Dio:

L’ABBRACCIO DI DIO

di Don Enrico Vago

Giorno verrà

verrà giorno in cui

non sarà per voi meraviglia,

quando lo vedrete passare:

sandali porta di pellegrino

e sacco di mendicante.

Ma ora nella grotta lo attende la notte,

di Gerusalemme le porte ormai son chiuse.

E LUI viene e si lascia toccare;

nessuno, nessuno degli amori lo sazia.

Al mio balcone lascerà un fiore

ed una goccia di sangue;

poi, solo, nella grande pianura…

Sei TU, SIGNORE, oggi

che profumi nella carne di ognuno.

Tu, celato in ogni desiderio,

o INFINITO,

che ogni nostro abbraccio riscaldi.

Sei dunque, in ogni istante,

con la tua carne, tra noi!

***

I poeti interessati a pubblicare le loro opere nella rubrica di poesia di ZENIT, possono inviare i testi all’indirizzo email: poesia@zenit.org

I testi dovranno essere accompagnati dai dati personali dell’autore (nome, cognome, data di nascita, città di residenza) e da una breve nota biografica.

Le opere da pubblicare saranno scelte a cura della Redazione, privilegiando la qualità espressiva e la coerenza con la linea editoriale della testata.

Inviando le loro opere alla Redazione di Zenit, gli autori acconsentono implicitamente alla pubblicazione sulla testata senza nulla a pretendere a titolo di diritto d’autore.

Qualora i componimenti poetici fossero troppo lunghi per l’integrale pubblicazione, ZENIT si riserva di pubblicarne un estratto.

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Massimo Nardi

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