Natale come incontro e avvenimento

Una riflessione sui regali fatti ai bambini

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Natale è periodo di feste e regali. Bambini e regali, in epoca di natale: questo ci induce a qualche riflessione. Cosa infatti ha senso regalare, e cosa impariamo osservando i bambini nell’interagire con i nostri regali? Il natale non è solo regali, certo; ma dall’osservazione regalo bambino campiamo qualcosa di più su come abbracciare questo avvenimento.

Il mondo infantile è un mondo di esperienza in cui il bambino tocca tutto, mette in bocca tutto, immagina tutto, apre tutto; il bambino ha un’idea di quello che vuole basata sulla potenzialità della cosa, cioè il valore della cosa lo genera lui, non è determinato dalla forma o dal significato apparente dell’oggetto che può trasformare con le mani o con la fantasia a suo piacimento. Il mondo dell’adulto invece è basato sulla forma e sull’essere in atto, si limita a quello che vede per trarne profitto e che non si azzarda a trasformare, dominato dalla forza della produzione industriale che riesce ad imporre forme e limitare le pretese di cosa ci aspettiamo da un oggetto.

Il mondo degli adulti dunque è finito su un pianeta lontano da quello dei bambini, sembra essere di una pasta diversa, parlare un linguaggio diverso: si esprime in forme e non in potenzialità; e al bambino regala proprio queste “forme”, cioè oggetti già costituiti, con cui si gioca in un modo solo, che magari si trasformano ma solo nel modo determinato dal produttore.

Questo tipo di giocattolo finisce per essere una cosa che in pratica non gli serve o almeno non intende usarla come vorrebbe l’adulto e l’accantona; ma non solo: si sente incompreso e diventa l’enfant-roi (bambino-re) ben descritto dalla sociologa Françoise Dolto nel suo libro Lorsque l’enfant parait, il piccolo despota della casa che reagisce con l’ira (o con la depressione) all’inadeguatezza affettiva dei genitori che pensano che il suo bisogno sia “l’atto” e non la potenzialità, l’aeroplano che vola davvero piuttosto che il gessetto, un videogioco ultima moda invece che la carezza e l’abbraccio.

In Toxic Childhood, Sue Palmer scrive: “In un mondo sempre più ricco e sano, i bambini sembrano sempre più tristi. Soffrono: c’è un’esplosione di condizioni come il deficit di attenzione e la dislessia, mentre la depressione e i problemi emotivi sono in crescita”. Forse perché sono più soli. Brian Sutton-Smith in Nel paese dei balocchi le fa eco: “Gli si regalano giocattoli proprio per tenerlo occupato, perché non sottraggano troppo tempo ai genitori. Il genitore che si siede per terra a giocare con suo figlio il giorno di Natale compie un atto davvero eccezionale che difficilmente si ripete nel resto dell’anno”.

Il giocattolo è sempre esistito, in forme diverse in tutte le culture ma ha sempre avuto la caratteristica della potenzialità: una scopa che diventa un cavallo, un cavallo a dondolo che trasforma in condottiero, una trottola, un caleidoscopio, un barattolo di colori, una fionda, le bambole. In tante scuole italiane i bambini giocano con questi mezzi, ma è in agguato il giocattolo postmoderno, quello in cui si gioca in un modo solo, da soli; e che spesso è anche costoso e che inevitabilmente delude.

Il giocattolo postmoderno è privo di potenzialità, vince quando scompare il gioco, cioè quando il bambino perde padronanza degli spazi e del tempo e contatto con gli amici, con i fratellini: il giocattolo postmoderno è un surrogato di tutto quello che faceva prima correndo, nascondendosi, sporcandosi, strillando nelle campagne e nelle strade, ora scomparsi o vietati. Oggi al bambino è vietato tutto questo, è sparito il suo habitat naturale sostituito con cemento e soprattutto è sparito il vero gioco: gli altri bambini.

E il giocattolo senza potenzialità è simbolo dell’omologazione della società postmoderna, in cui il bambino è parte precoce di un processo di consumo, di apprendimento standardizzato e di soddisfazione immediata. Proprio in questi giorni uno studio dell’associazione inglese Girlguiding mostra le adolescenti britanniche già angosciantemente insoddisfatte della loro immagine fisica e alla ricerca di correzioni immediate e spicce.

La parola d’ordine per i regali di Natale è allora rendere ai bambini l’uso della loro potenzialità, cioè della loro infanzia. La società li vuole incanalare in un percorso di utilità e “professionalità” sin dall’asilo, ma la ricorrenza del Natale può essere un punto di svolta per chi lo vuole.

Che il Natale allora sia la memoria del nostro desiderio di essere anche noi, come i bambini, sempre più aperti alla “potenzialità”, alla vita e all’incontro con un Avvenimento. Che impariamo a stupirci della vita, ad abbracciare l’imprevisto non come un ostacolo ma come una possibilità. Che sia davvero la memoria di un Evento, e che il cambiamento sia sottolineato da un fatto nuovo: che i grandi finalmente riprendano – o imparino – a giocare con i figli. A Natale riflettiamo sui giochi che regaliamo ai bambini, su cosa “di noi” davvero offriamo loro, e su come una notte speciale ci chiede di cambiare.

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Carlo Bellieni

Carlo Bellieni è neonatologo, dirigente medico presso l'Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Universitario di Siena e consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

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