Nagaland: una Chiesa tribale

Intervista al Vescovo della zona più cattolica dell’India

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KOHIMA (India), lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Nagaland è uno dei cosiddetti Stati fratelli che si trova nella parte nordorientale dell’India, al confine con la Birmania e, a nord, con i monti himalayani. Nel Nagaland, fino a circa 100 anni fa, abitavano popoli selvaggi e di cultura pagana. Oggi il Nagaland è l’unico Stato dell’India in cui il 90% della popolazione è cristiana.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il vescovo di Kohima, monsignor Jose Mukala, parla della storia del Cristianesimo in quella zona e di quanto la Chiesa debba ai missionari battisti.

Qual è stata la sua prima impressione, al suo arrivo nel Nagaland?

Monsignor Mukala: Ancor prima di andare lì da sacerdote, sono stato nel Nagaland da seminarista. È stato nel 1967 che ho visitato per la prima volta il Nagaland. Era il mio secondo anno da seminarista ed ero sorpreso di trovare chiese in ogni villaggio che attraversavamo. Ci dava gioia trovare Cristiani in ogni dove e vedere chiese collocate nelle zone sopraelevate dei villaggi, di tutti i villaggi. Dopo la mia ordinazione ho lavorato per due anni a Manipur, che si trova vicino al Nagaland, e poi sono stato trasferito al Nagaland per lavorare nel seminario.

Il villaggio è il centro della vita tribale. Cosa ha ancora di così simbolico o significativo il villaggio per le tribù del Nagaland?

Monsignor Mukala: Il villaggio ricopre ancora un ruolo importante nella loro vita perché la gente ci nasce e impara i valori della propria tribù. Il consiglio del villaggio, gli anziani del villaggio, trasmettono ai più giovani i valori tribali e la storia della tribù. Per questo il villaggio è ancora il luogo più importante per loro, che continuano a rappresentare l’autorità.

Più del governo?

Monsignor Mukala: Molto di più del governo, perché loro danno più importanza alle leggi consuetudinarie vigenti nei villaggi e nelle tribù. Così, le controversie sono prima portate davanti alle corti dei villaggi, dove vengono discusse e definite, e solo se ciò non è possibile il caso viene deferito alle autorità statali.

La cultura dei naga, fino a 130 anni fa era una cultura pagana. Quanto è stato difficile, quindi, per i primi missionari evangelizzare la popolazione del Nagaland?

Monsignor Mukala: Non credo che vi siano state difficoltà, perché i missionari cristiani battisti raccontano di essere stati accolti da questa gente. I naga, entrando in contatto con la gente di Assam, ne hanno constatato il progresso e lo sviluppo e la loro convinzione era che il Cristianesimo avrebbe portato sviluppo per la loro vita.

Quindi, le tribù, scese dalle alture, hanno visto gli insediamenti cristiani e hanno visto un qualcosa di più attraente rispetto alla cultura indù?

Monsignor Mukala: Più interessante della cultura indù; per qualche motivo essi non volevano adottare la cultura indù. Non conosco i motivi, ma forse la molteplicità degli dei e altri elementi dell’Induismo non suscitavano interesse in loro. Invece, i missionari cristiani hanno trovato una calorosa accoglienza da parte dei naga.

L’alto elemento di interesse era forse l’istruzione. Hanno parlato frequentemente di istruzione, e forse essa è stata un’altra delle motivazioni dell’accoglienza dei cristiani e ancora oggi vengo sempre accolto in tutti i villaggi e spesso mi chiedono delle scuole. Ma non posso sempre promettere nuove scuole, quando non vi sono comunità religiose. Prima e anzitutto ci prendiamo cura delle comunità e poi, se è a beneficio di tutti, possiamo avviare una scuola.

In effetti, i missionari cattolici non sono stati i primi ad operare nel Nagaland. Si dice che il Nagaland sia lo Stato a maggiore presenza battista in questo angolo del mondo. Ci può dire qualcosa al riguardo?

Monsignor Mukala: Sì, sì, è vero. Si dice. Anche se non l’ho mai visto scritto. Il Consiglio mondiale delle Chiese aveva suddiviso la zona, assegnandola a diverse confessioni, da cui erano esclusi i cattolici.

Questo è avvenuto dopo l’indipendenza?

Monsignor Mukala: È avvenuto ben prima dell’indipendenza. Alcune aree nel nord-est sono state affidate ai luterani e altre ai presbiteriani, mentre il Nagaland, il Manipur e la parte alta del Mizoram sono state assegnate ai battisti.

I cattolici erano stati esclusi?

Monsignor Mukala: Ai cattolici non è stato riservato un posto perché erano già presenti nello Shillone e nell’Assam.

Da dove venivano questi missionari battisti?

Monsignor Mukala: Venivano dall’America, ma si erano insediati inizialmente a Jorhat (nello Stato indiano nord-orientale di Assam) e da lì sono arrivati nella nostra zona e sono entrati in contatto con il primo villaggio.

Secondo lei hanno svolto un buon lavoro?

Monsignor Mukala: Hanno fatto un buono lavoro. Sono andati in tutti i villaggi e tradotto la Bibbia nelle diverse lingue tribali. Quanto perfetta sia questa traduzione è opinabile, ma è comunque la traduzione che stiamo usando ancora oggi.

Vorrei parlare della scolarizzazione perché questa è stata il nucleo centrale. Che importanza ha rivestito l’istruzione per i missionari e per l’accoglimento della Chiesa cattolica in questi villaggi?

Monsignor Mukala: Abbiamo constatato che senza le scuole non siamo in grado di educare i nostri giovani e sono molto grato al primo Vescovo del Nagaland, monsignor Abraham, un salesiano che appena prese servizio disse: “ci serve una scuola”.

Credo sia importante ricordare che l’istruzione, o meglio la mancanza di istruzione, è un enorme problema in queste zone.

Monsignor Mukala: È un problema e mi consenta di dire che esistono scuole pubbliche in ogni villaggio, ma poche sono quelle che funzionano adeguatamente: gli insegnanti o non si presentano oppure non lavorano seriamente e il controllo è inesistente.

Questa era la realtà, ma ora le cose sono cambiate: le comunità si stanno assumendo la responsabilità delle proprie scuole, ma anche in questo caso le nostre scuole e il nostro sistema scolastico è ritenuto migliore e preferito, perché si vede la serietà dell’organizzazione. L’amministrazione e il personale sono molto seri e molto sinceri nel loro lavoro che contribuisce alla qualità del nostro sistema scolastico e questo viene notato. Di conseguenza molti sono interessati a iscriversi nelle nostre scuole anziché nelle loro.

Tuttavia in questo modo si sta verificando un aumento delle spese scolastiche, perché i genitori devono pagare le rette dei propri figli per mandarli nelle nostre scuole. In un certo senso le spese scolastiche si raddoppiano: devono pagare per le loro scuole e per le nostre scuole.

<b>Le scuole cattoliche, tuttavia, sono molto più aperte ai meno fortunati, nel senso che le rette sono meno care rispetto alle altre scuole private.

Monsignor Mukala: Meno care rispetto ad altre scuole private. E’ vero. Cerchiamo di venire incontro ai poveri, soprattutto ai nostri bambini cattolici, perché ci teniamo al fatto che siano tutti istruiti.

La povertà è ancora un problema nel Nagaland? Più della malnutrizione o della fame?

Monsignor Mukala: Non direi che la fame sia un grande problema nel Nagaland, perché la gente lavora sodo. Lavorano nei campi e hanno sempre qualcosa da mangiare. La foresta è ricca di cibo e animali. Intorno alla foresta viene praticato lo “jhum”, ovvero ciò che noi chiamiamo “shifting cultivation”, e quindi hanno sempre qualcosa da mangiare. Nessuno muore di fame. Talvolta quando i campi vengono distrutti, per la pioggia o gli smottamenti, i villaggi potrebbero non avere cibo a sufficienza, ma allora i villaggi vicini vengono in soccorso, ma questo è raro.

Di fatto
nessuno muore di fame, ma guadagnare denaro è molto difficile per loro. Non hanno possibilità di guadagnare neanche quando riescono ad avere un surplus di produzione, perché non hanno la possibilità di trasportare i beni a un mercato. Per il trasporto servono soldi. La Chiesa ha dato vita a iniziative per aiutarli a mettere sul mercato le loro produzioni, attraverso il nostro centro di assistenza sociale di Dimapur, di cui abbiamo filiali in tutte le parrocchie, ma ancora molto ci resta da fare in merito.

Quindi si vive ancora alla giornata?

Monsignor Mukala: Si vive ancora alla giornata, sì, e questo è un altro grande problema che incide per esempio sulla frequenza scolastica dei bambini. Hanno infatti bisogno di soldi per pagare le rette, le divise e i libri. Un altro problema è il costo delle infrastrutture, ma lavorano sodo e sono molto collaborativi: ci danno quello che possono. Rispetto alle altre Chiese nel resto dell’India, trovo che la nostra gente sia molto più generosa: qualunque cosa loro abbiano, la condividono.

Eccellenza, qual è la più grande difficoltà, il più grande rischio, che si trova ad affrontare nel Nagaland tra la gente delle tribù?

Monsignor Mukala: La mia costante preoccupazione è rivolta alla loro educazione nella fede. Vengono da un passato battista e pertanto non hanno nessuna idea dei sacramenti, del nostro catechismo e della nostra dottrina. Per questo diamo maggiore enfasi alla catechesi, portata avanti in diversi modi con i bambini, i giovani e anche con gli adulti. Questo è uno dei nostri principali impegni e una delle nostre principali sfide.

Eccellenza, quale appello vorrebbe rivolgere alla Chiesa universale?

Monsignor Mukala: Vorrei chiedere ai membri della Chiesa in tutto il mondo di ricordarci nelle loro preghiere, perché la nostra Chiesa diventi una Chiesa missionaria attiva e perché siamo in grado di inviare missionari anche in altre zone. In effetti abbiamo già alcuni missionari originari del Nagaland. Per esempio in Germania abbiamo un viceparroco nella diocesi di Amburgo. Speriamo che molti altri originari del Nagaland e della diocesi del Nagaland possano operare in altre parti del mondo. In secondo luogo, chiederei di aiutarci a educare nella fede i nostri bambini e i nostri adulti.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it

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ZENIT Staff

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