Musica sacra e musica religiosa

ROMA, domenica, 31 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Mercoledì 3 novembre, alle ore 17:30, nell’ambito del “Seminario Superiore” dell’Accademia Urbana delle Arti di Roma, la prof.ssa Maria Caterina Calabrò – docente di Musica sacra al Master “Architettura, arti sacre e liturgia” presso l’Università Europea di Roma e l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” – terrà una relazione presso la sede dell’Accademia (piazza E. Dunant, 55) dal titolo “Musica sacra e musica religiosa. La distinzione a partire dalla liturgia”.

Anticipiamo di seguito alcuni estratti della relazione.

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<i>[…] dove non c’è più una vera festa, l’arte diventa cosa da museo, proprio nelle sue manifestazioni più grandiose. Allora essa vive del ricordo che la festa una volta è esistita, e il suo tempus diventa il passato. Ma non c’è festa senza liturgia, senza una legittimazione a festeggiare che superi l’uomo, e così anche l’arte è rimandata alla liturgia; vive a sua volta in vista di mettersi sempre di nuovo a servizio della liturgia solenne e in essa nasce nuovamente[1].

Questa è la prospettiva che si desidera comunicare, nella continuità della Tradizione della Chiesa. Infatti, solo a partire dalla liturgia che è “la festa della fede” e rimando al significato per cui festeggiare, Il Verbo incarnato, Gesù di Nazareth morto e risorto, significato presente nella storia, solo a partire dalla liturgia così intesa, c’è una possibilità di vita per la musica sacra, possibilità che non sia museale o sperimentale o di momentanea utilità.

Musica sacra, il cui significato è bene definirlo subito, è «la musica che accompagna le celebrazioni liturgiche della Chiesa»[2], cioè completamente a servizio di azioni, gesti e tempi che si compiono e che sono dati di fatto per la musica stessa; «l’inserimento della musica nella liturgia deve essere un’accoglierla nello Spirito, una sua trasformazione che significhi insieme morte e Risurrezione»[3].

«Il canto e la musica sacra […] si configurano innanzitutto come canto e musica liturgica, cioè parte integrante della divina liturgia, che fa memoria della liberazione operata in noi dal Signore con la sua croce, che si rinnova ad ogni Eucaristia»[4].

La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli.

La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è l’universalità[5].

E’ unanime la Tradizione della Chiesa fino ai nostri giorni e ben si delinea la sacralità della musica: santità e bontà delle forme ed universalità. E’ un criterio e giudizio per tante musiche che ascoltiamo riguardo ai testi (santità), alla struttura della musica stessa (bontà delle forme) e proponibilità a tutti (universalità), cioè, e questo si sottolinea nella tradizione della Chiesa, una musica sacra, a servizio della liturgia, esprime un testo che è tratto dalle Sacre Scritture o dalla liturgia stessa, ha una forma consolidata nel tempo che le permetta di proporsi come un dato oggettivo da accogliere e non solo da utilizzare ed è al di là delle contingenze di tempo e di luogo una proposta per tutti.

Così la musica sacra ha attraversato i tempi, dalla monodia alla polifonia, ma ha conservato con forza ciò che è essenziale, la sua identità. Come ha sottolineato J. Ratzinger, per quanto riguarda la liturgia, ma come si è detto la musica sacra ha le stesse qualità della liturgia, l’inadeguatezza della possibile alternativa tra posizioni tradizionali e riformiste appare evidente.

Chi crede di poter scegliere solo tra vecchio e nuovo, si è già vincolato ad una strada senza sbocco. La questione è piuttosto: che cosa è la liturgia in base alla sua essenza? Quali sono i suoi criteri intrinseci? Solo dopo aver chiarito questo, si può chiedere ulteriormente: che cosa deve rimanere? Che cosa può e che cosa deve forse essere cambiato[6]?

Questi sono i criteri e le domande per introdursi con la musica a servizio della liturgia in ogni circostanza si sia chiamati, in ogni tempo e luogo.

A tale proposito, occorre evitare la generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia. In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria della celebrazione. Di conseguenza tutto – nel testo, nella melodia, nell’esecuzione – deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici[7].

Nonostante i pronunciamenti del Concilio Vaticano II e del magistero papale, la musica di chiesa vive un momento critico; è colpita dall’ermeneutica della discontinuità e della rottura, della quale Benedetto XVI ha parlato in suo discorso.

Nella grande disputa sull’uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell’antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo ed il mondo di oggi, dall’altra. La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine generico di “mondo di oggi” ne scegliamo un altro più preciso: il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna[8].

Ciò vuol dire che in nome della modernità mal intesa, sarebbe meglio definirla “modernismo”, non si è tramandato, proprio nel senso di tradĕre, all’epoca moderna, il valore che i canti gregoriani e la polifonia sacra classica veicolavano: santità, bontà delle forme, universalità, ma si è arrivati ad adoperare testi qualsiasi, ad usare forme sciatte dal punto di vista musicale, non adeguate a veicolare il sacro, che avrebbero potute essere utilizzate per contesti ristretti, ma certamente non sono proponibili in tutti i contesti. Allora «La controversia sulla musica sacra diventa sintomatica per la questione più profonda su che cosa sia il culto divino[9]»

La musica sacra per essere definita così deve allora esprimere bontà delle forme (vera arte), aderenza ai testi che presenta, consonanza con il tempo e con il momento liturgico a cui è destinata, adeguata corrispondenza ai gesti che il rito propone[10].

Allora di conseguenza è già chiara la differenza tra la Musica religiosa e la musica fin qui descritta.

In questo contesto è importante il fatto che esistono, appunto, gli ambiti predisponenti della pietà popolare con la sua musica, come anche l’ambito della musica religiosa nel senso più largo, che deve essere sempre in uno scambio fecondo con la musica liturgica: questa, da una parte, li feconda e purifica ma, dall’altra, essi preparano anche nuovi tipi di musica liturgica[11].

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1) J. Ratzinger, Teologia della liturgia. La trasposizione artistica della fede, Roma 2010, p. 656.

2) J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo 2001, p. 141.

3) J. Ratzinger, Teologia della liturgia. Il Fondamento teologico della musica sacra, Roma 2010, p. 595.

4) M. Piacenza, Intervento in occasione del Concerto “Dulcis Praesentia”, Basilica di Sant’Andrea della Valle, Roma 16 ottobre 2005.

5) Pio X, Motu proprio Tra le sollecitudine” sulla Musica Sacra, 22-11-1903.

6) J. Ratzinger, Teologia della liturgia. «A te voglio cantare davanti agli angeli», Roma 2010, p. 633.

7) Benedetto xvi, Sacramentum caritatis,, 42, Roma 22 febbraio 2007.

8) Benedetto xvi, Discorso alla Curia Romana, Roma 22 dicembre 2005.

9) J. Ratzinger, Teologia della liturgia. L’immagine del mondo e dell’uomo propria della liturgia e la sua espressione nella musica sacra, Roma 2010, p. 605.

10) Cfr. Giovanni Paolo II, Chirografo per il centenario del Motu proprio “Tra le sollecitudini della Musica Sacra, Roma 22 novembre 2003; Cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, cap. V, Roma 17 aprile 2003.

11) J. Ratzinger, Teologia della liturgia. L’immagine d
el mondo e dell’uomo propria della liturgia e la sua espressione nella musica sacra
, Roma 2010, p. 626.

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ZENIT Staff

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