Monsignor Santoro: "Un buon esempio di fede, vale più di mille parole"

L’Arcivescovo di Taranto racconta la sua esperienza di Padre Sinodale e l’opera di pacificazione nella sua città a seguito dei disordini relativi alle vicende dell’Ilva

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di Salvatore Cernuzio

ROMA, martedì, 23 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Manca poco meno di una settimana alla conclusione della XIII assemblea del Sinodo dei Vescovi dedicata alla Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede. Tante le indicazioni emerse finora dalla grande assise, soprattutto quella di dar vita ad una evangelizzazione capillare che coinvolga ogni ambito e aspetto della persona umana, raccogliendo le sfide della società di oggi. Proprio di questo si è fatto portavoce mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, nominato Padre Sinodale da Benedetto XVI, nella breve intervista concessa a ZENIT riportata qui di seguito.

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Eccellenza, lei ha avuto diverse esperienze come Vescovo e missionario in Brasile. Quali sono, secondo lei, le pratiche che andrebbero consigliate ai sacerdoti e al popolo cattolico per riscoprire una fede solida e gioiosa, in questo anno dedicato proprio alla Fede?

Mons. Santoro: Sicuramente ritornare alla Parola. È un aspetto da cui non si può prescindere, elemento costitutivo e nutrimento della vita di fede. Accostarsi ai sacramenti con più frequenza e donarsi agli altri. Le Sacre Scritture lo dicono: la fede senza le opere è vana. E poi amare l’altro, che sia il collega di lavoro, la moglie, l’amico in difficoltà, portando la propria testimonianza di fede con la coerenza di vita. Un buon esempio vale più di mille parole.

Il Sinodo è ormai prossimo alla conclusione. Tuttavia, molti fedeli lo vedono ancora come qualcosa di lontano dalla pratica quotidiana e dai problemi della gente. Potrebbe spiegare, dunque, perché il Santo Padre ha scelto di indire questa grande assise e, alla luce dei lavori svolti finora, cosa può portare alla Chiesa?

Mons. Santoro: Il Sinodo è l’attuazione concreta del cammino di comunione della Chiesa: le gioie, le speranze, le questioni e i problemi, sono presentate in questo consesso straordinario che segue di volta in volta un filo conduttore. Non è un evento lontano perché noi pastori nelle nostre realtà di riferimento stiamo cercando di diffondere il messaggio del Sinodo. La ‘fortuna’ della Chiesa è quella di essere cattolica, universale. Al Sinodo si sta respirando la mondialità della famiglia di Gesù, non è difficile comprendere che è la grande opportunità in cui i fratelli di tutto il mondo odono la voce gli uni degli altri attraverso i pastori, i Padri Sinodali appunto.

I vescovi di tutto il mondo si sono riuniti per parlare di Nuova evangelizzazione, un’espressione che include un concetto molto ampio. Come è possibile realizzarla? E in che modo, dopo il Sinodo, muteranno le pratiche della pastorale ordinaria?

Mons. Santoro: C’è un messaggio che rimane immutato, anche se passeranno il cielo e la terra: le parole del Vangelo che non cambieranno mai, perché Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre… Sempre il Vangelo ci insegna che bisogna riconoscere i segni dei tempi perché il Vangelo deve essere incarnato nel mondo in cui viene annunciato. Non è una “lettera morta” ma parola viva! La Nuova Evangelizzazione nasce sempre da uno sguardo più ampio sul mondo, uno sguardo di bene, non c’è mondo che non meriti la redenzione.  La pratica pastorale ordinaria deve sempre ripensarsi a partire da questo. Occorre accogliere ogni sfida e ogni esigenza, farne materia di discernimento, ma senza improvvisazione. Il pensarsi sempre con il sentire comune della Chiesa universale è garanzia di verità e di autenticità.

Lei ha svolto una forte opera di riappacificazione nel conflitto che vede contrapposto chi vorrebbe chiudere l’Ilva e gli operai che desiderano risanare l’impianto mantenendo e migliorando il lavoro. Qual è il suo pensiero in proposito, ricordando anche il recente decreto del Governo per la bonifica di Taranto dall’inquinamento industriale?

Mons. Santoro: Taranto è una città che mi ha fatto sentire accolto dal primo giorno di ministero. Questa accoglienza così calorosa, però, non si sposa con la tendenza a porre il proprio interesse davanti al bene comune. Tutti credono di avere la soluzione in tasca, ma non è così. Non si può favorire un diritto su un altro perché i danni, nell’uno e nell’altro caso, sarebbero incalcolabili. Il mio compito finora è stato quello di chiamare le parti in causa all’unità e al dialogo. La sintesi è avvenuta con la fiaccolata svolta nel quartiere Tamburi, il più provato dall’inquinamento, a cui hanno partecipato sindacati ed ambientalisti, operai e semplici cittadini. Spero che questa autorizzazione integrata ambientale possa unire le esigenze di chi teme di perdere il lavoro con chi, giustamente, chiede aria pulita e garanzie per il proprio futuro e quello dei propri figli.

Qualche settimana fa, alcuni lavoratori dell’Ilva si sono arrampicati per protesta sulla torre di caricamento dell’altoforno 5 e sul camino E312, posizionandosi a decine di metri di altezza e rischiando la vita. Ritornando al discorso della Nuova Evangelizzazione, com’è possibile, quindi, accendere di speranza il cuore di queste persone che apparentemente l’hanno perduta?

Mons. Santoro: Non ci sono ricette diverse se non quella dell’accoglienza dell’altro. A quegli operai ho portato l’abbraccio della Chiesa e loro ne sono stati rinfrancati. La fede nasce e si alimenta grazie all’esperienza di Dio che facciamo in un incontro reale, quello con il sorriso di un fratello, quello di una parola di conforto.

Dunque l’annuncio evangelico si può realizzare anche in una specificazione sociale?

Mons. Santoro: Certamente! Lo si fa sempre nello stesso modo, ovvero ponendo attenzione a chi ne ha più bisogno, tornando ad educare “alla vita buona del Vangelo”, quando per vita non si intende, ovviamente, soltanto la sfera religiosa di ogni individuo, ma tutti gli ambiti in cui l’uomo si trova a vivere: dalla scuola al lavoro, dalla festa al tempo libero, passando per le varie prove della vita.

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ZENIT Staff

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