Monsignor Kurt Koch, il dialogo e l'ecumenismo

L’Arcivescovo svizzero, nuova guida del dicastero per l’Unità dei Cristiani

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di Carmen Elena Villa

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 12 luglio 2010 (ZENIT.org).- Appassionato di ecumenismo, monsignor Kurt Koch ha assunto il 1° luglio l’incarico di presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Lascia così la Diocesi svizzera di Basilea, di cui è stato Vescovo per 15 anni. Succede al tedesco Walter Kasper, che ha diretto il dicastero dal 1999. ZENIT lo ha intervistato sulla sua esperienza e sulle sfide che dovrà affrontare.

Come ha accolto la nomina a presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani?

Mons. Kurt Koch: Per me è un grande onore. Il Santo Padre mi ha espresso a febbraio, in un’udienza personale, il desiderio che io guidassi questo dicastero. Per me è una grande gioia perché l’ecumenismo è stato sempre al mio cuore visto che nel mio Paese, la Svizzera, i protestanti sono molti vicini; ho anche un grande interesse per le Chiese ortodosse.

Quali sono le principale sfide di questo dicastero?

Mons. Kurt Koch: In un primo tempo è necessario osservare il panorama completo. Io ero membro di questo Consiglio dal 2002, coinvolto anche nel dialogo con gli ortodossi. In primo luogo voglio parlare con tutti i collaboratori, e a novembre avremo la prima Assemblea plenaria. La prima sfida è quella di preparare bene questa riunione per avere un’idea globale dell’ecumenismo e vedere come si può procedere.

Com’è stata l’esperienza come Vescovo di Basilea, soprattutto per quanto riguarda l’ecumenismo?

Mons. Kurt Koch: Le Chiese e le comunità ecclesiali nate dalla Riforma in Svizzera sono un caso speciale. La grande sfida è il dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi. Abbiamo un fondamento di fede ma una grande diversità di culture, mentre nelle Chiese della Riforma il fondamento della fede non è così comune ma lo è la cultura. Con loro c’è un altro modo di fare ecumenismo, che non è sempre facile.

E l’ esperienza come presidente dalla Conferenza Episcopale Svizzera?

Mons. Kurt Koch: Sono stato per 9 anni vicepresidente e per 3 anni presidente. Era un buon lavoro. Essendo presidente ho aperto molto lo sguardo verso la Chiesa in Europa, ma il lavoro nella Diocesi continuava, perciò bisognava rintracciare le cose comuni, il che non è sempre facile.

Qual è il ruolo della commissione per il dialogo con gli ebrei?

Mons. Kurt Koch: Quanto ai rapporti tra cattolici ed ebrei in questo consiglio di relazioni religiose, il Cardinale Kasper ha fatto molto per migliorare ed approfondire il dialogo. E’ molto importante conoscersi e approfondire le dimensioni religiose in questi rapporti. Il primo luogo spetta non alle relazioni politiche, ma a quelle religiose. Le visite del Santo Padre alla sinagoga a Colonia, a New York e a Roma sono segni molto importanti.

Come valuta gli sforzi compiuti da Papa Benedetto XVI per quanto riguarda i rapporti con i cristiani di altre denominazioni?

Mons. Kurt Koch: Penso che il Santo Padre abbia fatto molto. Nella prima omelia dopo la sua elezione, ha dichiarato apertamente che l’ecumenismo è una sfida che viene da Gesù Cristo e che il dialogo trova un fondamento nei documenti del Concilio Vaticano II. Soprattutto nei viaggi pastorali c’è sempre una parte dedicata all’ecumenismo. Prendiamo per esempio il viaggio in Inghilterra a settembre. Non sarà facile perché la situazione degli anglicani non è semplice, ma si dice che Benedetto XVI voglia soprattutto il dialogo ecumenico con gli ortodossi. Per me è impressionante. Il Santo Padre mi ha chiesto di fare questo lavoro e un argomento che ha sottolineato molto è che vuole un Vescovo che conosca le Chiese dalla riforma non soltanto dai libri, ma in base all’esperienza. Questo fa capire come al Santo Padre stiano molto a cuore le Chiese della Riforma. Come professore ha lavorato molto in questo senso.

Quali sono i frutti più importanti di questi dialoghi?

Mons. Kurt Koch: E’ sempre difficile vedere i frutti, perché il fondamento dell’ecumenismo è la spiritualità. Gli uomini non possono fare l’unità, che è un dono dello Spirito Santo. Si può approfondire il dialogo teologico e d’amore, c’è soprattutto il dialogo d’amore favorito dal Santo Padre nei suoi incontri.

Parliamo delle sette religiose. Come affrontare questa sfida?

Mons. Kurt Koch: In primo luogo la Chiesa si deve domandare perché la gente va nelle sette. Perché non vengono da noi? Io so che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha fatto passi importanti con i Vescovi per trattare questo tema, e penso che ciò che è stato iniziato bene si può continuare e approfondire.

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ZENIT Staff

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