Mons. Zenti: lasciate entrare Gesù, “provare per credere”

Il Vescovo di Verona parte dai sacramenti per tracciare un cammino di riscoperta

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ROMA, venerdì, 19 agosto 2011 (ZENIT.org).- Per cambiare la propria vita occorre lasciare entrare Gesù, conformarsi a lui.  E’ quanto ha detto giovedì mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona, nella sua catechesi dedicata ai giovani partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid.

“In una cultura – ha detto il presule  –, che respiriamo ogni giorno, da dittatura del relativismo, noi siamo certi che Cristo, nel quale siamo stati innestati nel Battesimo, è la Verità intera della nostra vita ed è, in quanto Verità, la risposta vera alle più profonde aspirazioni del cuore umano. Lui è la roccia su cui è fondata la nostra vita di credenti in Lui”.

Mons. Zenti è poi passato a spiegare qual è il nucleo centrale dei sacramenti e delle vocazioni ad essi legate, spiegando che occorre non fraintendere il termine “vocazione”, perché “sostanzialmente, noi siamo dei chiamati, nella gratuità divina: alla vita, alla fede, al compimento della nostra identità. Potremmo dire che la vocazione corrisponde al nostro essere, da quello creaturale a quello battesimale, predisposto dunque da Dio, con le sue potenzialità umane e cristiane, le sue inclinazioni, le sue doti, le sue sensibilità, le sue propensioni. Tutti talenti che vanno scoperti. Alla luce della Parola di Dio, in un clima di preghiera e in compagnia di Gesù”.

“Per favorirne l’individuazione – ha aggiunto – è assai utile porsi la domanda, in forma disarmante: chi vuole il Signore che io sia? Come mettermi al servizio del suo Regno? Da sposato/a; da consacrato/a o da ordinato? Solo il porsi seriamente la domanda giova molto per l’individuazione della propria vocazione!”.

Se “porsi la domanda è garanzia di libertà, intesa come esercizio di adesione alla verità della propria identità personale”, è indispensabile anche ricordare che “Cristo e Chiesa, suo Corpo mistico, sono inseparabili. Pertanto, nessuno può dire di avere una fede autentica in Cristo se non ama la sua Chiesa come l’ha amata e la ama Lui: ha dato la sua vita per salvarla, renderla senza ruga e senza macchia, santa e immacolata”.

E “anche se la Chiesa ha il volto corrugato dei suoi figli, che per i loro peccati ne sfigurano il volto – ha sottolineato –, la Chiesa ha bisogno di amore più che di critiche e di denigrazioni. Semmai, la constatazione delle piaghe della Chiesa diventa stimolo ad essere noi più Chiesa. Chiesa credibile perché sempre rigenerabile e salvabile in noi”.

Ma soprattutto, ha avvertito, “il vero dramma che travaglia la vita di un credente sarebbe quello non riconoscerlo più, di rimuoverlo dagli interessi vitali, di estraniarlo, di vivere separati da Cristo”.

Infatti, ha affermato poiu il presule, “l’esperienza ci documenta che la vera felicità non sta nel concedersi di tutto, nello sballo e nel possedere tutto. Lui è la nostra vera felicità perché è il nostro Tutto, avendo il quale nulla ci manca. Solo una vita che mette al suo centro Gesù, è una vita da discepoli che vivono il vangelo, ed è vita felice”.

“Riconoscetelo e servitelo nei poveri, nei portatori di handicap. Incontratelo dal vivo nei sacramenti. Adoratelo nell’Eucaristia fino a riconoscerne per fede la presenza certa e viva. Ricordate che in certe crisi, in certe svolte della vita dove si danno appuntamento eventi contrari, dove il mondo ti crolla addosso, solo la fede nell’Eucaristia, il Crocifisso Risorto divenuto nostro nutrimento, ci salva dalla disperazione”.

“È Lui che illumina e riscalda le nostre giornate, come indirettamente ha fatto capire un ateo alla fine di una conferenza, nella quale gli era stato chiesto di esprimere le ragioni del suo ateismo: ‘Voi credenti non potete comprendere quanto buio e quanto freddo c’è nel cuore di un ateo!’”, ha quindi concluso.

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ZENIT Staff

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