Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Meditazione – Le Beatitudini

VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 17 febbraio 2019

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Rito Romano:
Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
 
Rito Ambrosiano
Is 56,1-8; Sal 66; Rm 7,14-25a; Lc 6, 17,11-19
VI Domenica dopo l’Epifania
 
Premessa:
Meditiamo le parole di Gesù che oggi ci dice: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti “(Lc 6, 20 – 26).
Ascoltando queste parole, permettiamo a Cristo di toccare la nostra mentre ed il nostro cuore e di guarirci completamente, dalla radice dei nostri mali. Gesù infatti è venuto a portare l’amore e la vita, che vince l’egoismo e la morte. L’egoista cerca ricchezze e prende tutto, per dominare sugli altri ed essere superiore a tutti. Chi ama dà tutto, fino a dare se stesso, e serve gli altri con umiltà, ed è beato, felice qui sulla terra e per l’eternità.
 
1) Le beatitudini secondo Luca.
Il versetto iniziale del Vangelo di oggi (Lc 6,17) è molto solenne e preciso: dopo aver pregato tutta la notte e aver poi scelto i suoi dodici apostoli, il Redentore scende dalla montagna in un luogo pianeggiante e pronuncia il suo discorso circondato dai discepoli e dalla folla. Una folla venuta da ogni dove, persino dalle contrade pagane di Tiro e di Sidone. Il confronto con le beatitudini di Matteo (5,3-12) ci offre il modo di notare alcune particolarità proprie della narrazione di Luca, il cui modo di narrare è più personale di quello di Matteo, e coinvolge direttamente l’ascoltatore (“Beati voi poveri”). Inoltre Luca parla di poveri, di piangenti, di affamati, di perseguitati, senza precisare – come invece fa Matteo – che sono poveri nello spirito, affamati di giustizia. Infine Luca elenca tre “guai”, che imprimono al discorso un tono quanto mai drastico e radicale (6,24-26).
I profeti hanno descritto il tempo messianico come il tempo in cui Dio si sarebbe preso cura dei poveri, degli affamati, dei perseguitati. Gesù proclama che questo tempo è arrivato. Per i profeti le beatitudini erano al futuro, una speranza: “Verrà un tempo in cui i poveri saranno beati”. Per Gesù è un presente: oggi i poveri sono beati. La ragione è una sola, fondamentale: il Messia, il Re dei re con il suo Regno è arrivato. È alla luce del Regno arrivato – un Regno che capovolge i valori comuni – che si giustifica la paradossalità di queste parole di Gesù.
Mentre Matteo elenca otto beatitudini, mentre Luca ne propone che quattro e che riguardano: i poveri, i piangenti, gli affamati, i perseguitati. Partendo dalla stessa fonte Matteo e Luca ci offrono testi differenti, perché gli evangelisti non sono semplici cronisti, interessati solo a trasmettere fatti e parole, ma testimoni. Le parole di Gesù sono un fermento di vita: la Chiesa primitiva le trasmette soltanto avvolgendole nella sua propria vita (cfr. J. Dupont).
Nella modo di pensare e di vivere di Luca  per “povero” non si intende semplicemente chi è privo di mezzi, ma indica la situazione del mendicante trascurato, povero accanto a gente ricca, deriso: i piangenti e gli affamati sono sostanzialmente una ripetizione dei poveri. Più che a delle virtù (come invece Matteo) Luca sembra fare riferimento a delle situazioni di fatto, cioè alla moltitudine dei poveri che non hanno cercato la loro povertà e tuttavia sono chiamati a viverla. La quarta beatitudine (i perseguitati) è quella del discepolo, di colui che ha scelto di seguire Gesù, trovandosi coinvolto nel suo destino di persecuzione. Questa sintetiche spiegazioni fanno emergere un giudizio severo sul mondo ricco: un giudizio che si rafforza se si leggono i quattro guai: “Guai a voi ricchi, guai a voi che siete sazi, guai a voi che ora ridete, guai a voi che ora siete applauditi”.
Con le Beatitudini e i “guai” Cristo ci si presenta un altro criterio di valori. E mentre quella scala di valori che stiamo seguendo è esattamente il principio della violenza, della guerra, dell’uccisione, della morte, dell’uccisione dell’essere figli, dell’essere fratelli e dello sterminio dei beni della terra, non solo degli uomini, l’altro, invece, è il principio dell’amore, del dono, della solidarietà, della vita, della vita vivibile, dell’essere figli, dell’essere fratelli.
 
2) “Beati i poveri, perché vostro è il regno di Dio”
Se seguiamo la logica non cristiana, diciamo: “Beati i ricchi, beati i sazi, beati i gaudenti e beati gli onorati, i famosi. Chi dice il contrario è  considerato come un pazzo o come uno che ha voglia di scherzare.
Vediamo cosa vuol dire beato cristianamente parlando. Beato vuol dire: mi congratulo con te, hai vinto. Sei della parte giusta: beato te! Beato te: è forma di congratulazione. E Gesù si congratula con i poveri! Il vangelo di Luca in greco usa la parola “povero”. Il povero sarebbe il contrario del ricco. Il ricco è quello che ha tanto con poca fatica, idealmente senza fatica, molto di più allora. Il povero è quello che ha poco con tanta fatica. La parola usata in greco da Luca è “ptochoi”(=pitocco). Chi è il “pitocco”, è colui che ha niente ed ha tanta pena e che, quindi, vive di elemosina, vive di dono, vive di dipendenza. Di questi dice il motivo perché questi poveri sono beati: non perché sono poveri, ma perché “vostro è il Regno di Dio”.
Questa beatitudine è al presente: il regno di Dio è già “vostro”. Cosa vuol dire che il regno di Dio è del pitocco, è del povero? Il regno di Dio è Dio stesso che regna sulla terra. Noi vediamo sulla terra che regnano i ricchi che dominano sugli altri.
Ma Dio regna in un altro modo. Dio regna servendo perché è amore. E l’amore dona tutto fino a dar se stesso. E Dio è estremamente povero perché ama, dà tutto, fino a dar se stesso.
Dio stesso è dono e il peccato è voler possedere il dono come ci pare e piace e così lo distruggiamo. Il dono è significativo perché è relazione con chi dona e, allora, non cadiamo nel feticismo, nell’idolatria delle cose.
Se viviamo del dono condividendolo, esso resta sempre dono e si ravviva. Se, invece, ci impossessiamo avidamente del dono, alla fine neghi la vita stessa che è dono. La vita è dono, tutte le cose fondamentali sono dono. Noi siamo chiamati a vivere di doni, come il povero.
L’accumulare è il far consistere il bene nelle cose, e credere che la nostra vita consiste nelle cose da tenere strette. Si diventa schiavi delle cose. Immoliamo la vita alle cose, i poveri muoiono di fame, i ricchi muoiono di di stress. Non è vita questa.
Il desiderio delle cose ci divide gli uni dagli altri e ci distrugge. Per questo la povertà – come molto spesso fortunatamente Papa Francesco ci ricorda – è la cosa più sublime che ci sia da imparare oggi, per la salvezza del mondo. Altrimenti il mondo è perduto perché se tutti vogliamo possederci, alla fine ci distruggiamo. L’importante è capire la bellezza di questa povertà e capire  come ogni relazione vera è povera, perché non è un dominio sull’altro, perché l’altro non è un nostro possesso.
Riceviamo l’altro gratuitamente, altrimenti che relazione é? E i figli sono amati gratuitamente, e il marito e la moglie si amano veramente quando si amano gratuitamente: uno  e dono per l’’altra e tutti e due sono un dono di Dio.
A vivere e testimoniare questa vita di dono sono chiamate in modo particolare le Vergini consacrate e che con il dono totale di se stesse a Cristo Sposo diventano immagine concreta della Chiesa Sposa. Queste donne consacrate sono chiamate a vivere come la Vergine Maria: tenera e umile, povera di cose e ricca di amore. Consacrandosi, le vergini consacrate si riflette la natura della Chiesa, animata dalla carità tanto nella contemplazione quanto nell’azione; discepola e missionaria; protesa verso il compimento escatologico e allo stesso tempo partecipe delle gioie, delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini del proprio tempo  soprattutto dei più fragili e poveri; immersa nel mistero della trascendenza divina e incarnata nella storia dei popoli” (Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica, Istruzione sull’Ordo Virginum, Ecclesiae Sponsae Imago, n. 20).
 
 
 
Letture Patristiche
Beda il Venerabile
In Luc., 2, 24 ss.
 
I «guai a voi» di Luca
Guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione” (Lc 6,24). In che cosa consista questo “guai a voi ricchi” lo si capisce meglio dove si dice che il regno dei cieli è dei poveri. Da questo regno infatti si separeranno coloro che mettono ogni loro piacere in questo mondo e udranno la sentenza del giusto giudice: “Rammentate, figli, che avete avuto dei beni nella vostra vita” (Lc 16,25). Dove però è da notare che l’incriminazione non è posta tanto sulla ricchezza quanto sull’amore della ricchezza. Infatti, non tutti quelli che hanno ricchezze, ma, come dice il Qoèlet: “Chi ama le ricchezze non ne avrà vantaggio” (Qo 5,9), perché colui che non sa staccare l’animo dai beni temporali e non sa farne parte ai poveri, per il momento, sì, gode del loro uso, ma resterà privo per sempre del frutto che avrebbe potuto acquistare, se li avesse donati. E leggiamo anche altrove: “Beato il ricco che è stato trovato senza macchia, che non è corso appresso all’oro e non ha riposto le sue speranze nel danaro e nel tesoro” (Si 31,8).
Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame” (Lc 6,25).
Era sazio quel ricco, vestito di porpora, che faceva ogni giorno splendidi banchetti, ma stava certo poi in un gran guaio, quando, affamato, dovette chiedere che dal dito del disprezzato Lazzaro gli cadesse una goccia sulla bocca. D’altra parte, se son beati quelli che hanno sempre fame delle opere di giustizia bisogna pur che siano infelici coloro che, al contrario, seguendo i loro desideri, non sentono nessuna fame di veri e solidi beni e si reputano abbastanza felici, se per il momento non son privi del loro piacere.
Guai a voi che ridete, perché sarete tristi e piangerete” (Lc 6,25). E Salomone dice: “Il riso sarà mescolato al dolore e la gioia finirà in lutto” (Pr 14,13). E ancora: “Il cuore dei sapienti è quello dov’è tristezza e il cuore degli stolti è quello dov’è letizia” (Qo 7,4-5); e questo vuole insegnare che la stoltezza dev’essere attribuita a quelli che ridono e la prudenza a quelli che piangono.
Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6,26). È ciò che il Salmista deplora, “poiché il peccatore è lodato per i suoi desideri e il malvagio è benedetto” (Ps 9,24). A costui non dà nessuna pena che i suoi delitti non siano ripresi e che egli ne sia lodato, come se avesse fatto bene.
I padri di questa gente hanno trattato allo stesso modo i profeti” (Lc 6,26). Ma qui intende gli pseudoprofeti, i quali nella Sacra Scrittura son chiamati anche profeti, perché, per accaparrarsi il favore del popolo, si sforzavano di predire cose future. Perciò dice Ezechiele: “Guai ai profeti stolti che vanno dietro alla loro fantasia e non vedono niente; i tuoi profeti, Israele, erano come volpi nel deserto” (Ez 13,3). Perciò il Signore sulla montagna descrive soltanto le Beatitudini dei buoni, invece nella campagna annunzia anche le sventure dei malvagi; perché la gente più rude per essere spinta al bene ha bisogno di minacce e terrore, i perfetti invece basta invitarli con la prospettiva d’un premio.
 
Basilio di Cesarea
Adversus divites, 5
La cupidigia di ricchezze è insaziabile
Tu chiami te stesso povero, ed io son d’accordo. Povero infatti, è colui che ha bisogno di molte cose. Tuttavia, non è altro che l’insaziabile cupidigia a rendervi tali. A dieci talenti cerchi di aggiungerne altri dieci; diventati venti, ne vuoi altrettanti e ciò che tu ammassi, lungi dal calmare il tuo appetito, lo stimola ancor di più. Infatti, come per gli ubriaconi il continuare a ingerire vino costituisce uno stimolo al bere, parimenti le persone che si arricchiscono, dopo aver messo insieme delle ricchezze, ne desiderano ardentemente delle altre ancora, in tal modo, continuando sempre a nutrirsi, aggravano la loro malattia ed il loro desiderio ottiene l’effetto contrario a quello auspicato. Le ricchezze materiali, infatti, anche quando siano abbondanti, non rallegrano tanto i loro detentori quanto invece li rattristano le cose di cui son privi, quelle, cioè, di cui essi ritengono di avere bisogno. Così il loro animo è costantemente tormentato dalle preoccupazioni, poiché si danno da fare per raccogliere profitti sempre maggiori.
E al posto di essere lieti e di pensare che sono meglio piazzati rispetto a molti altri, sono abbattuti e tristi poiché sono messi in ombra da questa o da quest’altra persona più ricca. Una volta però che abbiano raggiunto anche quest’ultima, subito si dan da fare per diventare pari ad un’altra più ricca ancora salvo poi, eguagliata questa, puntare su di un’altra la loro cupidigia. Come coloro che salgono delle scale, con il piede sempre proteso verso il gradino superiore, non trovano pace prima di aver guadagnato la cima; similmente anche costoro non cessano di aspirare alla potenza, fino a quando, pervenuti alla vetta, non precipitino con una lunga caduta.
A beneficio degli uomini il Creatore di tutte le cose stabilì che l’uccello seleucide fosse insaziabile; tu, invece, è a danno di molti che hai reso insaziabile l’anima tua. Tutto ciò che l’occhio vede, l’avaro lo desidera grandemente. “L’occhio non si sazierà di vedere” (Qo 1,8), né l’avaro si sazierà di arraffare. L’inferno non ha mai detto: Basta; e l’avaro neppure ha mai detto: Basta (Pr 27,20 Pr 30,16). Quando dunque potrai servirti delle ricchezze presenti? Quando potrai goderne tu, che sempre ti affanni a procurartene ancora? “Guai a coloro che uniscono casa a casa e congiungono campo a campo, togliendo qualcosa al vicino” (Is 5,8). E tu cosa fai?
Minucio Felice
Octavius, 36, 3-7
La povertà non è per noi un’infamia, ma una gloria
Noi siamo per lo più ritenuti poveri: non è un’infamia, ma una gloria. Il lusso abbatte l’animo, la frugalità lo afferma. Del resto, come può dirsi povero chi non ha bisogno di nulla, chi non brama i beni altrui, chi è ricco in Dio? È povero piuttosto colui che, pur possedendo molto, desidera ancor di più. Dirò proprio quello che sento: Nessuno può essere tanto povero come quando è nato. Gli uccelli vivono senza patrimonio e gli animali ogni giorno trovano il loro pascolo: sono tutte creature nate per noi, e, se non le bramiamo, le possediamo tutte. Dunque, come chi fa un viaggio è tanto più fortunato quanto minore è il carico che porta, così è tanto più felice nel viaggio di questa vita chi è alleggerito dalla povertà, chi non sospira sotto il peso delle ricchezze. Tuttavia, se ritenessimo utili le ricchezze, le chiederemmo a Dio: potrebbe concedercene un po’, perché è padrone di tutto. Ma noi preferiamo disprezzare i beni, anziché conservarli; bramiamo piuttosto l’innocenza, chiediamo piuttosto la pazienza; preferiamo essere buoni che prodighi.
***
Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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