Momenti difficili per le relazioni tra Israele e Vaticano

Un sacerdote israeliano chiede pazienza, saggezza e preghiera

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di Karna Swanson

GERUSALEMME, lunedì, 2 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Le fonti di tensione nelle relazioni tra Israele e Vaticano sono molte, e il sacerdote gesuita padre David Neuhaus sostiene che questo momento richieda “pazienza, saggezza e preghiera”.

Padre Neuhaus, segretario generale del Vicariato cattolico di lingua ebraica in Israele, noto anche come Association of St. James, ha detto a ZENIT di seguire “con grande tristezza e ansia il deterioramento delle relazioni tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato di Israele”.

Le relazioni sono arrivate a un punto di rottura la settimana scorsa, sulla scia dell’annuncio vaticano della remissione della scomunica al Vescovo che nega l’Olocausto Richard Williamson, della Fraternità San Pio X.

Il Vescovo ha dichiarato in un’intervista registrata a novembre per la televisione svedese che le prove storiche negano l’uccisione nelle camere a gas degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, sostenendo anche che gli ebrei assassinati durante la Seconda Guerra Mondiale non furono più di 300.000.

Il Vescovo Williamson è uno dei quattro presuli della Fraternità San Pio X ordinati illecitamente all’episcopato dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre nel 1988. La scomunica è stata rimessa anche agli altri tre Vescovi lefebvriani e vuole essere un passo per sanare la divisione interna alla Chiesa provocata da queste ordinazioni.

Padre Neuhaus ha lodato le dichiarazioni di Benedetto XVI di mercoledì scorso, in cui il Papa ha ribadito la posizione della Chiesa sull’Olocausto esprimendo solidarietà agli ebrei e condannando fortemente l’uso dei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, che, ha affermato, hanno provocato “l’eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso”.

Identità

Il sacerdote gesuita ha spiegato che la “Shoah e la sua memoria sono uno degli argomenti centrali della coscienza ebraica. Insieme al senso di solidarietà con lo Stato di Israele, la Shoah definisce chi sono molti ebrei nel mondo, come si definiscono”.

“Per molti ebrei, questi due elementi che caratterizzano l’identità potrebbero essere ancora più importanti oggi delle questioni collegate agli aspetti religiosi e spirituali dell’ebraismo. Riguardano entrambi la questione della sopravvivenza ebraica in un mondo spesso percepito come ostile”.

Padre Neuhaus ha osservato che la remissione della scomunica ai Vescovi lefebvriani “è stata percepita in Israele quasi unicamente attraverso il prisma della persona del Vescovo Williamson”.

Nonostante i resoconti per cui il Rabbinato di Israele avrebbe interrotto indefinitamente i rapporti con il Vaticano, stabiliti nel 2000 quando Papa Giovanni Paolo II visitò Israele, le parole del Pontefice sono state accolte favorevolmente sia da Oded Wiener, direttore generale del Rabbinato di Israele, che dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy.

Weiner ha definito la dichiarazione “un grande passo avanti”, mentre Lewy ha confessato di essere “molto contento per una dichiarazione di così alto livello da parte della Santa Sede che chiarisce e aiuta a superare queste incomprensioni”.

Il Vaticano e lo Stato di Israele hanno avuto relazioni separate dallo stabilimento dei rapporti diplomatici nel 1993, e la situazione attuale non intacca le relazioni di Stato.

Venerdì Santo

Padre Neuhaus ha anche sottolineato altri sviluppi che hanno portato alle tensioni attuali, come “i gesti del Santo Padre nei confronti dei tradizionalisti permettendo l’uso di forme liturgiche che gli ebrei hanno visto come promotrici dell”insegnamento del disprezzo’ nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo che la Chiesa ha ripudiato”.

I leader ebraici contestano l’uso della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei usata nel “rito straordinario”, che dice: “Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini”.

Questa preghiera è stata diffusa nel febbraio scorso, in seguito al documento del luglio 2007 “Summorum Pontificum”, che ha permesso un maggiore uso del Messale del 1962. La preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei usata nel rito ordinario, cioè dalla maggioranza dei cattolici, non è cambiata.

Padre Neuhaus ha detto anche che le “odiose dichiarazioni” del Vescovo Williamson hanno coinciso con le critiche nei confronti Israele per l’offensiva di Gaza: “Dei critici di Israele, tra cui alcuni cattolici, hanno compiuto dei parallelismi tra Gaza e la persecuzione nazista degli ebrei, che questi ultimi ritengono non solo inaccettabili, ma particolarmente offensivi”.

Oltre a questo, il gesuita ha citato le preoccupazioni da parte di Israele che il Papa possa non recarsi nel Paese a maggio a causa dell’offensiva a Gaza, o recarvisi solo a condizione di concludere gli accordi tra la Santa Sede e lo Stato di Israele.

Mediatori

“Le fonti di tensione sono molte”, ha proseguito padre Neuhaus, “e lo spazio per l’incomprensione è maggiore del solito. Bisognerebbe sottolineare che la Santa Sede ha alcuni alleati molto importanti nella comunità ebraica che stanno cercando di fungere da mediatori in questa crisi”.

Il gesuita ha ricordato che il rabbino David Rosen, direttore del Comitato Ebraico Americano per gli Affari Interreligiosi, “uno dei rabbini ortodossi più impegnati nel dialogo tra cattolici ed ebrei, ha chiesto pazienza, spiegando al pubblico israeliano di essere sicuro che Papa Benedetto è impegnato nella riconciliazione con il popolo ebraico come il su predecessore, Papa Giovanni Paolo II”.

“La speranza [di Rosen] era che il Santo Padre avrebbe chiarito che il punto di vista di Williamson è del tutto incompatibile con l’insegnamento della Chiesa cattolica”, ha rilevato padre Neuhaus.

“E’ un momento in cui c’è bisogno di pazienza, saggezza e preghiera”, ha continuato. “La preoccupazione del Santo Padre per l’unità è vista come in tensione con la preoccupazione del popolo ebraico per cui per raggiungere l’unità si accolgano persone che non hanno mai accettato i progressi compiuti negli ultimi 50 anni”.

“Speriamo e preghiamo che giunga il momento in cui il popolo ebraico e la Chiesa cattolica possano dialogare sulle differenze in un’atmosfera di profonda amicizia e fiducia piuttosto che sotto la minaccia dell’interruzione delle relazioni”, ha concluso il gesuita. “Continuiamo a pregare che si superi anche questa crisi”.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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