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Mogol, Lucio Battisti ed un misterioso messaggio d’amore

Ascoltare e vedere con il cuore per intuire le emozioni

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In aula è tutto buio: le tapparelle delle finestre sono abbassate ed i ragazzi sono ad occhi chiusi, adagiati con la testa sul proprio banco. Ognuno si è creato qualcosa di morbido su cui affondare il viso. Qualcuno si è anche coperto interamente la testa con foulard o maglioni.
Sono pronti per risentire la canzone di cui, pochi minuti prima, hanno visto l’official video. Ora non si tratta più di vedere, ma di “ascoltare”: “vedere” con le orecchie per intuire con le emozioni. Il brano musicale si intitola L’arcobaleno ed è cantata da Adriano Celentano. Pronti? Silenzio. Isolatevi dagli altri. Ci siete solo voi e la musica. Ascoltate. Ascoltatevi. Via.
Io son partito poi così d’improvviso
che non ho avuto il tempo di salutare
l’istante breve ma ancora più breve
se c’è una luce che trafigge il tuo cuore…”.

Dò un ultimo sguardo ai miei studenti: sono bravissimi! Sono scesi perfettamente nel buio dell’aula e si sono lasciati avvolgere dalla musica della canzone. Mi appoggio anche io sulla cattedra, chiudo gli occhi e ricordo. È il pomeriggio del 14 marzo 2012. Quel giorno ero con Mogol nel Bar del Piano della mia città. Lui era venuto perché con 150 ragazzi avevamo preparato uno spettacolo sull’amore, nel meraviglioso Teatro Gentile di Fabriano. Lo avevamo intitolato “(R)Affiniamo gli affetti” ed avevamo anche fatto un cammino di mesi per entrare nella sfera sessuale ed affettiva di ogni creatura umana. Tutto quello che avevamo scoperto lo volevamo dire all’intera città in uno evento dove, tra canti e balli, coreografie e scenografie, ci sarebbe stato un grande ospite d’onore: Mogol.
Con lui, davanti ad un the caldo e nella calma che precede la tempesta delle Prove Generali, stavamo chiacchierando rilassati. E se all’inizio mi sembrava di sognare solo per il fatto che io stessi prendendo un the caldo in compagnia di Mogol, alla fine, dopo aver ascoltato un suo racconto, avevo l’impressione di volare in alto, fino in Cielo.
Dopo la morte di Lucio Battisti (9 settembre 1998) Mogol non ha mai smesso di sentire quel suo amico, vicino a lui. Ma certo non era preparato ad alcuni fatti postumi poi accaduti. Inizia a parlarmi di una pittrice italiana residente in Spagna che, sensitiva per dono, aveva chiamato la sua segretaria per darle un messaggio diretto a lui, da parte di Lucio Battisti. Una telefonata strana che Mogol non aveva preso in considerazione più di tanto. Ma l’interlocutrice era stata chiara: Lucio Battisti voleva che lui facesse una canzone intitolata “L’arcobaleno”. Raccontava di aver visto, nel bagno di casa sua, un grande arcobaleno partire dallo specchio ed inarcarsi fino ad un mobile bianco. Diceva di aver sentito interiormente la voce di Lucio Battisti che, un giorno, l’invitava di entrare in una libreria, indicandole uno scaffale ed un libro bel preciso, intitolato “Oltre l’arcobaleno”. Gli diceva ancora che questa canzone doveva essere semplice, basata su sole due note.
Mogol, scettico e realista, si lascia subito alle spalle questa strana donna. Poco tempo dopo riceve un fax da una sua amica: vuole avvertirlo che deve subito andare a guardare la copertina della rivista “Firma”, il mensile del Dinners Club. C’è un’immagine di Lucio Battisti con un enorme arcobaleno alle sue spalle. Il direttore della rivista, Giulio Caporaso, racconta di aver sognato Lucio Battisti dopo una serata organizzata in Campidoglio in onore del grande cantante. Alle quattro del mattino dopo, improvvisamente si sveglia con questo sogno molto chiaro nelle sue orecchie.
È talmente chiaro che lo scrive subito, quasi di getto, rammentando benissimo il momento dell’arcobaleno, perché è l’apertura di tutto il sogno e rappresenta l’alleanza tra Dio e l’uomo. Lo dice chiaramente anche Lucio, insieme a tante altre affascinanti affermazioni spirituali su Dio, il mondo, la preghiera e la serenità interiore. Giulio Caporaso, nella copertina del giornale, decide: vuole un arcobaleno alle spalle di Lucio Battisti. È un sogno, è una misteriosa intervista, ma è bella da leggere (qui).
Lo scettico Mogol, di fronte a questo secondo episodio che parla di un arcobaleno, inizia a vacillare, ma resiste. Poi però a degli amici fidati racconta questi strani accadimenti. Questi amici sono Claudia Mori, Adriano Celentano e Gianni Bella. Quest’ultimo ascolta e gli porge una cassetta: “È un provino musicale, è una melodia che ho fatto basandomi su gruppi di due note. Non ha ancora un testo. Ascoltala. Chissà che…
L’ascolta in auto e subito, in un quarto d’ora, detta le parole che gli vengono incontro. Così. Velocemente. Naturalmente. Tutto stava avvenendo come se il suo vecchi amico gli stesse chiedendo di scrivere una canzone con le parole che lui sapeva Lucio gli avrebbe detto. Lucio Battisti non voleva una canzone dedicata a lui. Voleva che fosse dedicata a Mogol. Voleva dirgli delle cose. In poche parole Mogol avrebbe dovuto sapere cosa dirsi. È un’esperienza così semplicemente contorta e così misteriosamente affascinante, che io non l’ho più dimenticata. Tanto meno il suo finale.
In un tardo pomeriggio, Mogol sta tornando da Roma verso casa sua. Inizia a cadere una pioggerellina primaverile. È il tramonto e sul lato destro dell’autostrada si alza un arcobaleno! E’ nitido, parallelo al loro percorso. Poi subito un altro da sinistra. Sembra quasi una luminosa scorta. Pian piano l’arcobaleno di destra inizia a scivolare sull’asfalto e va ad appoggiarsi sulla sua automobile. Come fosse una fascia di colori meravigliosamente spruzzati sul cofano. L’effetto è ipnotico, affascinante, misterioso ed incantevole. Immerso in questo tornado di emozioni, Mogol si convince di aver scritto una bellissima canzone con il sapore di Lucio Battisti.
Una notte Adriano Celentano, da solo, nel suo studio di registrazione, prenderà la musica di Gianni Bella, il testo di Mogol, l’amicizia per Lucio Battisti e la canterà, registrandosi. Verso la fine si commuoverà pure. Quell’anno deciderà che nel suo album Io non so parlar d’amore, aggiungerà anche questo brano: L’Arcobaleno. La registrazione sarà quella fatta da solo, in quella notte, a casa sua, con l’emozione alle stelle.
“L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore
può darsi un giorno ti riesca a toccare
con i colori si può cancellare
il più avvilente e desolante squallore

Son diventato sai tramonto di sera
e parlo come le foglie d’aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso
Io quante cose non avevo capito
che sono chiare come stelle cadenti
e devo dirti che è un piacere infinito
portare queste mie valigie pesanti
Mi manchi tanto amico caro davvero
e tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre e solo musica vera
e cerca sempre se puoi di capire”.
La canzone è finita. I miei studenti sono ancora tutti giù con la testa. Pian piano escono da quella canzone e mi raccontano ciò che hanno intuito e provato. Pian piano, in questo mese di settembre, stiamo entrando insieme nella domanda delle domande: “Ma dopo La morte, la vita continua?”.
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio,
nessun tormento le toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero;
la loro fine fu ritenuta una sciagura,
la loro partenza da noi una rovina,
ma essi sono nella pace
” (Sapienza 3, 1-3).
*
[Fonte: Intemirifugio.it]

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Maria Cristina Corvo

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