Missione famiglia, una priorità anche per il Giappone

Testimonianza del superiore del PIME nel Sol Levante

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di padre Ferruccio Brambillasca

ROMA, mercoledì, 2 maggio 2012 (ZENIT.org) – A poche settimane dall’imminente VI Incontro mondiale delle famiglie, in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, vorrei parlare della famiglia in Giappone. Non mi interessa farlo dal punto di vista sociologico o politico (di questo qui si discute quasi ogni giorno), ma da quello esperienziale, ossia il punto di vista di un missionario straniero che vive in questa realtà da diversi anni.

La prima cosa che mi colpisce profondamente, osservando lo stile famigliare giapponese, è la grande differenza che esiste tra l’ambiente urbano (quello delle grandi città come Tokyo, Osaka, ecc.) e quello delle campagne giapponesi. Avendo vissuto per qualche anno non nella grande città, ma in periferia, ho notato come in campagna la famiglia sia ancora un valore importante, molto salvaguardato. In campagna, potrei affermare, la gente si muove più a livello famigliare che non personale, cioè come singolo. Ad esempio, la struttura delle nostre comunità cristiane in campagna è tipicamente famigliare: la gente partecipa come in una famiglia, si raduna come una famiglia e dialoga come un’unica famiglia. Se qualcuno è in difficoltà, per varie ragioni, subito lo si viene a sapere e subito, come Chiesa (o meglio: come famiglia), si cerca di essere d’aiuto alla persona in difficoltà. Anche i funerali, che in Giappone rappresentano un elemento centrale del legame sociale, se in città vengono celebrati spesso in modo molto anonimo, in campagna sono vissuti in casa e costituiscono un momento forte per ritessere i legami famigliari e con il vicinato. Possiamo ben dire che, proprio grazie ai legami famigliari, la vita nella campagna giapponese è ancora “sana” e profondamente umana, di quell’umano di cui tutti abbiamo bisogno.

Se da un lato, quindi, la famiglia nella campagna giapponese rappresenta ancora un grande valore, dall’altro lato nelle grandi metropoli giapponesi è un vero problema e non a caso tutti ne parlano. Televisioni, giornali, politici, scienziati, professori universitari ed altri, come dicevo, ogni giorno discutono sul problema-famiglia, ritenuto da molti la causa di tanti altri problemi che la società giapponese sta affrontando.

Tutti concordano nel dire che la famiglia giapponese non ha più le sue fondamenta, come nel passato. Il progresso economico sfrenato ha creato nella società giapponese, soprattutto nella famiglia, grossi disordini sociali. Per esempio: nelle grandi città giapponesi sono molti i mariti o padri di famiglia, che, chiamati ad un lavoro sfrenato e senza interruzioni, non vedono quasi mai (e questo non è un “quasi” poetico) le proprie mogli o i propri figli. A loro volta, i figli, tornando a casa dopo la scuola, non trovano mai nessuno e, quindi, mangiano sempre da soli, giocano da soli, guardano la TV da soli. Facile immaginare come un ragazzo che vive in questo modo per diversi anni, dopo un po’ di tempo cominci a prendere medicine per la depressione, oppure si rifiuti di uscire di casa, oppure – nei casi peggiori – tenti anche il suicidio.

Non parliamo poi degli omicidi che avvengono nelle famiglie, per diversi motivi. Ricordo, qualche anno fa, un episodio che ha toccato profondamente la coscienza di tutti noi. Un padre settantenne ha ucciso il figlio ventenne per poi prenderne i soldi dell’assicurazione. Una cosa incredibile, specie se si pensa che quel padre era cristiano.

Non vorrei dare un quadro negativo della società e della famiglia giapponese, ma quelli elencati sono elementi oggettivi e significativi di come una società sviluppata economicamente possa perdere quei valori umani, fondamento per ogni società di ieri e di oggi.

Di fronte a tutte queste problematiche, posso dire anche di aver visto concretamente con i miei occhi anche realtà famigliari molto belle, che documentano come l’amore famigliare sia ancora presente nel cuore degli uomini e delle donne di questa Terra del Sol Levante. Ho incontrato, nelle nostre chiese e non, madri che ogni giorno si dedicano “corpo e anima” al figlio handicappato, mogli che seguono con amore il marito ormai immobile su un letto d’ospedale, mariti anziani e soli che ogni giorno vanno all’ospizio a trovare la moglie che ormai non riesce più a dire una parola o ad esprimere un sentimento con un sorriso. Ricordo, tra questi, una donna sessantenne che ogni giorno dalle 14 fino alle 22, per tre anni di seguito, è rimasta in piedi davanti al letto d’ospedale del marito che ormai aveva perso ogni conoscenza. Quando, tre anni prima, il marito era stato ricoverato, i medici le avevano detto che il coniuge sarebbe morto dopo qualche giorno. Invece, grazie al grande affetto di questa donna per suo marito, questi è vissuto per altri tre anni.

Questa donna ha ricevuto il battesimo, insieme col marito, proprio tre anni fa, quando lui era stato ricoverato in ospedale. Questo ci fa capire come la Grazia e l’insegnamento cristiano siano la forza per vivere l’amore all’interno delle famiglie. Penso che la missione in Giappone si giochi anche su questo punto fondamentale: annunciare – come ha fatto Gesù – il vangelo dell’Amore come stimolo per ricreare quei legami famigliari che oggi si stanno perdendo. La missione in Giappone deve avere come punto di riferimento la famiglia e qui incentrare la sua evangelizzazione perché abbia effetto anche su tutta la società. Missione “nella famiglia” e missione “con la famiglia” sono termini essenziali con cui dobbiamo svolgere la nostra missione in Giappone e con cui possiamo entrare in dialogo con questa società complessa, ma ricca di valori.

Mi auguro che il VII incontro mondiale di Milano, nel quale famiglie da tutto il mondo si raduneranno attorno al Papa per riaffermare la “Buona notizia” sulla famiglia, possa offrire a tutti la possibilità di uno scambio profondo di esperienze e di condivisione della fede vissuta.

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ZENIT Staff

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