"Mio padre Benedict Daswa, un santo già in famiglia"

Il primogenito del Servo di Dio africano, riconosciuto recentemente martire dal Papa, rende una rara testimonianza pubblica al meeting del Cammino Neocatecumenale in Sud Africa

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Tra i decreti della Congregazione delle Cause dei Santi approvati da Papa Francesco lo scorso 22 gennaio 2015 c’è anche quello relativo al martirio di Benedict Daswa, Servo di Dio del Sudafrica morto nel 1990. Daswa, devoto e fervente cattolico, aveva 46 anni e otto figli quando una folla di abitanti del piccolo villaggio di Mbahe, circa 150 km a nord di Polokwane, lo massacrò ustionandolo con acqua bollente, lapidandolo e bastonandolo a morte. 

La sua colpa era di aver rifiutato di dare soldi per ingaggiare uno stregone che doveva dare la caccia ad uno spirito maligno, perché – aveva spiegato – la sua fede non gli permetteva di avere a che fare con la stregoneria. Quindi fu ucciso.

Una forte testimonianza questa di Daswa, rimasta viva nel cuore del popolo sudafricano e soprattutto dei figli. In particolare il maggiore Lufuno Daswa, che ha fatto la sua prima apparizione pubblica partecipando al ritiro nazionale del Cammino Neocatecumenale a Città del Capo, Sud Africa.

“Ho visto nell’invito del Cammino Neocatecumenale un’ispirazione dello Spirito Santo”, ha detto Daswa, “non era una richiesta per un discorso ma l’opportunità di essere testimone sui valori della famiglia cristiana che nostro padre ci ha insegnato”. Uno dei temi del ritiro è stata infatti la riscoperta del ruolo centrale della famiglia nella trasmissione della fede ai figli, alla luce della Humane Vitae di Paolo VI e della Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II.

Lufuno ha partecipato al ritiro accompagnato da Chris Maphaphuli, uno dei più stretti amici del padre, e da Suor Claudette Hiosan, postulatrice della Causa di beatificazione. “Ricordo che mio padre non ha mai fatto nulla senza invocare lo Spirito Santo”, ha detto l’uomo, “a prescindere dalle decisioni da prendere, prima di qualunque incontro o evento ha sempre pregato”.

Suor Hiosan ha ricordato invece che “la Causa è stata rapidamente accolta a Roma perché è la prima Causa per un uomo di colore, nativo del Sud Africa”. Soprattutto la beatificazione di Daswa, ha sottolineato la religiosa, vuole essere un segnale forte della posizione della Chiesa contro la stregoneria, “in aumento in tutto il continente africano e nel resto del mondo”.

Da parte sua, l’amico Maphaphuli ha puntato l’attenzione su un altro aspetto del Servo di Dio: quello di marito fedele e premuroso. Già nel matrimonio, Daswa era un esempio di santità. “Il modo di trattare la moglie – ha detto Maphaphuli – era un modo nuovo perché anche lì lui andava controcorrente. Racconto un piccolo aneddoto ma che esemplifica quello che dico: nella cultura Venda la moglie fa sempre il thè quando ci sono ospiti in casa. Una volta, sua moglie era occupata e gli dissi: ‘Dì a tua moglie di preparare una tazza di the’. Si alzò e disse: ‘No, lo faccio io il thè’. E, davanti alla mia espressione stupita, aggiunse: ‘Sappi che quando mia moglie è malata, cucino e bado ai bambini’. Da quando è morto, ho provato seguire quello mi ha insegnato… Non so cucinare, ma qualche volta preparo il thè”.

“Molti giovani soffrono e sono disorientati a causa della mancanza di una figura paterna, per guidarli nella fede. Benedict Daswa, padre di otto figli, è morto per testimoniare la sua fede, è una fonte di ispirazione per tutte le famiglie cristiane sudafricane”, ha sottolineato invece Dino Furgione, responsabile Cammino Neocatecumenale in Sud Africa.

“Ascoltando la testimonianza di Lufuno – ha aggiunto – è stato il modo più toccante per conoscere la vita di Benedict Daswa. Nella società di oggi, tutti coloro che vogliono vivere una vita cristiana dovrebbero prendere una posizione coraggiosa. Questo è il motivo per cui molte delle persone che hanno partecipato al ritiro sono stati ispirati dalla storia e la vita di Benedict”. 

In silenzio, commossa, l’assemblea ha ascoltato rapita questa forte testimonianza di fede. “Quello che mi ispira su Benedetto Daswa, è il modo come era uno con Cristo”, ha dichiarato al termine dell’incontro òa 18enne Lauren, “si è opposto a costumi in contraddizione con la sua fede, a costo di morire.  Anche se lo hanno ucciso, tuttavia, non hanno potuto distruggere la sua eredità. I suoi figli ei suoi amici vivono ancora i valori che lui ha insegnato”.

D’accordo Treston, padre di sei figli, che ha detto: “E’ vero: Benedict è fonte di ispirazione per le famiglie cristiane. Tante cose della sua esperienza hanno toccato profondamente me e mia moglie. La cosa che mi ha colpito di più è stato soprattutto il fatto che lui era un vero padre di famiglia, che ha trasmesso sempre e ovunque la fede ai suoi figli e a tutti coloro che entravano nella sua casa. E l’ha fatto non solo a parole, ma con fatti concreti”. 

Benedict Daswa è nato, il 16 giugno 1946, in Mbahe, un povero villaggio Venda vicino Thohoyandou nella diocesi di Tzaneen, Limpopo, la provincia più settentrionale del Sud Africa. I suoi genitori appartenevano alla tribù chiamata Lemba. Come San Giovanni Paolo II, Benedict sperimentò durante la sua gioventù la dolorosa perdita del padre e la pressione di dover rappresentare una figura di riferimento per i fratelli e le sorelle più giovani. Attraverso il contatto con degli amici cattolici, si convertì al cattolicesimo nel 1963. Poco dopo lo seguì anche sua madre.

La sua fede lo portò a servire la Chiesa in molti modi: come assistente di sacerdoti, catechista di giovani, aiutante nella costruzione di chiese. Fu anche preside della scuola locale e ricoprià diversi altri incarichi di rilievo nella comunità. Era ampiamente rispettato e molto influente nella comunità locale.

Il 25 gennaio 1990, dopo un forte temporale, cumuli di paglia nel villaggio presero fuoco; il capo propose quindi di consultare un guaritore per individuare lo spirito maligno responsabile dei roghi. Si concordò un contributo di 5 rand a persona per pagare lo stregone.

Benedict arrivò tardi, dopo che questa decisione era già stata presa. Nonostante ciò vi si oppose con vigore. Anche perché spiegò che la causa dei roghi era semplicemente la conseguenza di un fenomeno naturale come un fulmine. Si rifiutò quindi di pagare il contributo, affermando che la sua fede cattolica gli impediva di prendere parte a qualsiasi cosa avesse a che fare con la stregoneria. Una posizione coraggiosa che strideva con la decisione del Consiglio locale. La comunità lo rimproverò dicendo che il suo comportamento sminuiva le credenze tradizionali. Daswa venne visto quindi come una pietra d’inciampo; cospirarono allora per sbarazzarsi di lui.

Il 2 febbraio 1990, Benedict venne perciò assalito dalla folla, lapidato e picchiato a morte. Quando vide un uomo venire verso di lui con un knobkerrie (un bastone tradizionale con una grande palla all’estremità ndr), si inginocchiò e pregò: “Dio, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Subito dopo gli venne inferto un colpo letale che schiacciò il suo cranio. Sulla sua testa gli venne versata poi dell’acqua bollente. Alla sua morte lasciò la moglie Evelyn, incinta dell’ottavo bambino, che partorì quattro mesi dopo, sette figli, sua madre Ida, tre fratelli e una sorella.  

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ZENIT Staff

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