Microcosmo cristiano a Roma (Prima parte)

Una visita al complesso dell’Abbazia delle Tre Fontane. Dall’Antichità al Medioevo

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 22 settembre 2012 (ZENIT.org).- Roma possiede molti luoghi che nei secoli sono divenuti simboli indiscussi della cristianità. Molti di essi sono strettamente legati alle gesta e al sacrificio dei martiri che hanno dato la loro vita in nome della libertà di culto, della fede e dell’amore per il prossimo. Spesso i contesti archeologici legati ai martiri sono rappresentati da catacombe, edifici abitativi, mausolei. In alcuni casi (comela Basilica di S. Paolo Fuori le Mura ola Basilica di S. Pietro per citare i casi più rilevanti) sono le singole tombe del martire a rappresentare il luogo consacrato su cui fondare l’edificio di culto.

Il contesto dell’Abbazia delle Tre Fontane rappresenta un caso particolare. Secondo la tradizione qui venne decapitato l’apostolo Paolo il 29 giugno dl 67 d.C., contestualizzazione precisa in termini spaziali e temporali, congiunzione assai rara, specie per un’epoca cosi frenetica e confusa dal punto di vista storico.

Il complesso sorge in un luogo cosi intimo e raccolto da dare l’impressione di essere un piccolo e antico borgo medievale immerso in un’oasi di pace e di verde. Oggi la sua ubicazione rientra nella caotica vita urbana, ma anticamente, il tratto in questione della via Laurentina era completamente isolato in aperta campagna e noto come Acque Salvie (toponimo che in epoca medievale venne assegnato ad una tenuta agricola sorta nelle vicinanze), costituito da una valletta costeggiante l’antica arteria consolare romana. L’origine del toponimo è piuttosto controversa. Secondo alcuni il termine ‘Salvia’ si riferisce alla gens romana di appartenenza (che probabilmente aveva dei possedimenti in quella zona), mentre secondo altri il nome deriverebbe dalla presenza di alcune polle sorgive d’acqua benefica che sono tutt’ora visibili.

Sottolineavamo come l’origine del nome ‘Tre Fontane’ sia strettamente legato al martirio di S. Paolo, e la toponomastica ne richiama l’importanza attraverso l’accadimento di quell’episodio. La tradizione vuole infatti che le ‘tre fontane’ siano sorte nei tre punti in cui la testa di S. Paolo rimbalzò subito dopo la decapitazione, facendo miracolosamente zampillare l’acqua dal terreno. Seppur ci siano antichi documenti a confermare l’episodio in questione, questo va chiaramente letto con gli occhi della fede: è dunque necessario interpretare il pensiero degli antichi cristiani e capire la necessità che questi avevano di incentivare i principi di comunità, nonostante l’evento riferito provenga da fonti documentarie molto più tarde. E’ comunque paradossale come la più antica fonte documentaria sposti il martirio di S. Paolo in altro luogo, avvenuto presso la proprietà della matrona romana Lucina lungo la via Ostiense (concetto probabilmente confuso con la sepoltura dello stesso Santo che venne, in epoca costantiniana, inglobata all’interno della Basilica omonima che sorgeva fuori le mura della città). A smentire quanto appena asserito e a collocare il luogo del martirio lungo la via Laurentina c’è l’Acta Petri et Pauli (documento datato al V secolo) e una lettera dell’inizio del VII secolo inviata da papa Gregorio Magno al diacono Felice, in cui il pontefice manifestava la sua convinzione di come fosse Acque Salvie il luogo deputato al martirio del Santo.

Qualunque sia la verità, è innegabile che il luogo abbia avuto nei secoli attitudine alle tragedie legate al popolo cristiano. Il 9 luglio del 298 (circa due secoli dopo il martirio di S. Paolo) furono sterminati oltre diecimila cristiani dalla barbarie e dalla furia persecutoria dell’imperatore Diocleziano, subito dopo aver ultimato la costruzione delle omonime terme romane.

La prima comunità monastica nacque a partire dalla metà del VI secolo, quando per ordine dell’imperatore Giustiniano il generale Narsete fece costruire, accanto al piccolo edificio di culto dedicato al Santo, un monastero detto ad Aquas Salvias. Anche qui ritroviamo una costante della storia romana: l’elemento greco. Fin dalla fine del IX secolo a.C. a Roma infatti, la cultura greca era ben radicata grazie ad una politica territoriale filo-mercantile che favoriva i rapporti commerciali con i territori che di li a poco sarebbero divenuti la capitale del regno. L’elemento culturale greco eresse a proprio simbolo l’ara massima di Ercole, le cui tracce sono ancora visibili nelle fondazioni della chiesa di S. Maria in Cosmedin. Da allora la cultura greca ha rappresentato uno dei capisaldi dello sviluppo culturale a Roma fino in epoca tardo-antica ed altomedievale. Ad Acquas Salvias i greci vi giunsero probabilmente dalla Cilicia in seguito alle invasioni arabe nella regione. La custodia delle reliquie di S. Anastasio (monaco persiano martirizzato nel 624) fu dovuta proprio all’intercessione dell’imperatore Eraclio per la presenza dell’elemento culturale greco. La prima citazione storica risale al 650 presente nel catalogo De locis sanctis Martyrum quando si parla della presenza delle reliquie del Santo (che saranno protagoniste del ‘miracolo’ narrato negli affreschi, assai rovinati, della Porta cosiddetta di Carlo Magno).

Con questo evento si conclude una delle fasi storiche più importanti del complesso che lo spingerà verso una fase storica che precede l’epoca cistercense.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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