Meriam ora rifugiata nell'ambasciata americana di Khartum

Le autorità sudanesi impediscono alla giovane cristiana di lasciare il Paese, affermando che potrà partire solo con documenti che riportano il suo nome islamico

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Proseguono gli aggiornamenti per la vicenda di Meriam Yahya Ibrahim, ma sembra che non si giunga mai ad un epilogo. Dopo essere stata condannata a morte per apostasia, imprigionata, poi liberata, fermata dalla polizia all’aeroporto, infine rilasciata, la 27enne sudanese è adesso rifugiata con la sua famiglia nell’ambasciata americana a Khartoum.

Per ora la giovane madre, condannata all’impiccaggione per aver abiurato all’Islam sposando un uomo cristiano, sembra essere al sicuro. Tuttavia le autorità sudanesi non le permettono di abbandonare il Paese, affermando che la donna potrà partire solo con documenti che riportano il suo nome islamico. 

Ricordiamo che, martedì scorso, Meriam, dopo aver guadagnato la tanto agognata libertà, era stata bloccata per 48 ore all’aeroporto di Khartum insieme a Daniel suo marito e al suo avvocato, a causa di alcuni problemi legati al suo passaporto. La polizia sudanese voleva infatti interrogarla per verificare l’autenticità del documento sul quale sarebbe presente un visto americano.  

Il rischio era un’accusa formale di falsificazione dei documenti, in quanto sul passaporto compariva il nome della donna da cristiana e non da musulmana. Una “violazione criminale”, questa, punibile fino a sette anni di prigione, secondo il codice penale.

Ora, al riparo nell’ambasciata, Meriam aspetta l’autorizzazione a viaggiare verso gli Stati Uniti, non dopo però aver ricevuto il nulla osta della Corte d’appello che ratifichi l’annullamento della sentenza di condanna a morte.  

A complicare poi una vicenda già di per sé controversa, il presunto fratello della donna, tale Al Samani Al Hadi, che dopo aver già rilasciato delle scandalose dichiarazioni alla Cnn (vedi su ZENIT, 25 giugno 2014), è tornato all’attacco riferendo, pochi giorni fa, di aver denunciato alla polizia il “rapimento” di sua sorella da parte del marito, poco prima che lei cercasse di lasciare il Paese. 

Prosegue intanto la mobilitazione internazionale a favore della cristiana. Tra le diverse iniziative, ricordiamo la campagna lanciata dal quotidiano della CEI “Avvenire”: #miriamdevevivere.

(A cura di Salvatore Cernuzio)

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ZENIT Staff

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