Medaglia "Giusto fra le Nazioni" al gesuita padre Cubbe

Salvò tre bambini ebrei dallo sterminio

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di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 15 dicembre 2010 (ZENIT.org).- “Chi salva un essere umano è come se salvasse il mondo intero” è scritto nel Talmud, ed è proprio per il gesto di amore e di carità di un padre gesuita che ha salvato dallo sterminio tre bambini ebrei, che ieri 14 dicembre, presso la residenza del Gesù a Roma, si è svolta una cerimonia per la consegna della Medaglia di “Giusto fra le Nazioni” alla memoria di padre Raffaele de Ghantuz Cubbe, S.J.

La vicenda risale agli anni 1942-1947, quando nel bel mezzo della guerra mondiale, il regime nazista, catturava e deportava tutta la popolazione di origine ebraica al fine di portarla nel campi di sterminio.

In quell’epoca padre Raffaele de Ghantuz Cubbe ricopriva l’incarico di rettore del Nobile Collegio di Mondragone presso Frascati ed era vice presidente della Pontificia Opera di Assistenza (POA), voluta da Pio XII per il sostegno delle vittime della Seconda Guerra Mondiale.

Dopo il 16 ottobre 1943, quando i nazisti fecero irruzione nel ghetto di Roma per deportare tutti gli ebrei, Graziano Sonnino insieme al fratello Mario ed al cugino Marco Pavoncello dopo aver cercato rifugio nella campagna romana riuscirono a mettersi in salvo nel Nobile Collegio di Mondragone presso Frascati dove furono ospitati fino a guerra conclusa.

Graziano Sonnino ha raccontato: “Abitavamo al Ghetto. Ricordo che un giorno del ’43 nostro padre, Samuele, non ci accompagnò alla scuola dove andavamo di solito, a due passi da casa. Ci portò a Frascati, al collegio Mondragone, e ci disse che da quel momento ci chiamavamo Sbardella e non avremmo più rivisto la nostra famiglia. L’accoglienza di padre Cubbe ci salvò dalla Shoah e dalla follia nazista. E ci permise di vivere in modo quasi normale quel periodo difficile. Alla fine del guerra restammo al convitto per altri 4 anni”,

“E’ stato padre Cubbe – ha aggiunto -, insieme con i suoi confratelli, padre Primo Renieri, padre Dante Marsecano, padre Alberto Parisi, padre Ulisse Floridi, padre Silvio Benassi e padre Umberto Zaccari, ad accoglierci sotto la loro protezione e a far sì che la furia omicidia che si agitava sul capo degli ebrei non ci colpisse”.

Nel corso della cerimonia la dottoressa Livia Link, consigliere per gli Affari Pubblici e Politici dell’Ambasciata d’Israele a Roma, ha spiegato che come si legge nella motivazione del riconoscimento, padre Cubbe “scelse di nascondere i ragazzi a rischio della sua stessa vita e senza tentativi di convertire i piccoli alla fede cattolica”.

Infatti padre Cubbe non soltanto nascose e protesse i piccoli, ma si dimostrò sempre rispettoso della loro identità ebraica consentendo loro di rispettare anche le proprie regole alimentari. 

“Padre Cubbe – ha sottolineato la Link – è la prova che nell’ora del male assoluto, di fronte alla macchina di sterminio nazista, una singola persona retta e virtuosa può riportare la luce, mostrando l’umanità nella forma più alta e nobile”.

Per questo motivo – ha concluso la Link – “sono onorata ed emozionata di rappresentare qui oggi lo Stato d’Israele onorando la memoria di chi nel momento più buio della storia ha saputo riportare la luce mostrando umanità nella forma più nobile, tendendo la mano, superando l’indifferenza e mostrando la possibilità di compiere una scelta per il bene “.

Dal canto suo Marco Pavoncello, i cui nonni furono deportati dai nazisti e non fecero più ritorno, ha affermato: “Ricordare la figura di padre Cubbe mi rende felice ed emozionato. L’emozione scaturisce dal ricordo di un momento terribile per noi ebrei, la persecuzione nazi-fascista. La felicità deriva dal poter finalmente ringraziare un uomo cui io e la mia famiglia siamo infinitamente riconoscenti”.

Nel consegnare la medaglia dei Giusti nella mani del nipote di padre Cubbe, l’onorevole Mordechay Lewy, ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, ha detto: “Il suo coraggio e la sua compassione lo hanno portato a salvare la vita ad ebrei. Onorando la sua memoria evidenziamo il suo coraggio personale ma ricordiamo anche quello dei molti religiosi che in Italia, e a Roma in particolare, si distinsero nel salvataggio di ebrei. E’ stato certamente il loro istinto umanitario, ma sarebbe poco saggio ritenere che hanno agito senza il consenso dei loro superiori e delle massime autorità cattoliche”.

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ZENIT Staff

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