Jesus on the Cross

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Lungo la Via del Calvario, lontani da “buonisti” e “profeti di sventura”

Il cardinale Bassetti spiega i contenuti della Via Crucis al Colosseo, dalle “famiglie ferite” al martirio dei cristiani di oggi. E sui migranti dice: “Triste e drammatico voler costruire muri”

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I drammi dell’attualità letti attraverso le lenti della misericordia: è in questi termini che si può sintetizzare lo spirito delle meditazioni della Via Crucis del prossimo Venerdì Santo al Colosseo.
A colloquio con ZENIT, il cardinale arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, si è soffermato sui testi della Via Crucis, da lui redatti, concludendo che, nella sequela di Gesù verso il Calvario, non bisogna mai farsi ammaliare dalle sirene del catastrofismo di chi annuncia una fede fondata sulla paura o dei benpensanti dispensatori di verità a buon mercato.
Eminenza, le sue meditazioni per la Via Crucis si collegano fortemente all’Anno della Misericordia: in che misura l’evento giubilare l’ha ispirata nello svolgere questo importante incarico?
Il Giubileo è la cornice nella quale si inserisce tutta la Via Crucis. Non casualmente le mie meditazioni si intitolano “Dio è misericordia” – che è una citazione tratta da un libro omonimo di Don Divo Barsotti – e si soffermano sulla miseria e sulla sofferenza degli uomini e delle donne di oggi. Persone che, in gran parte, vivono come se Dio non esistesse ma che in realtà hanno una grande sete di Dio e un bisogno profondo di abbeverarsi alla fontana del Signore. Il problema drammatico di oggi è che non sanno più trovare e riconoscere la fontana da dove sgorga questa acqua nuova. Da qui la necessità fortissima della Misericordia, che è il canale della grazia che da Dio va verso gli uomini.
Nelle sue meditazioni, lei parla della famiglia come “cellula inalienabile della vita comune” e delle sofferenze delle “famiglie spezzate”. Qual è lo stato di salute della famiglia nella società attuale?
La famiglia è la speranza e il dolore della società odierna. È la speranza perché rappresenta l’architrave che regge tutto l’edificio sociale; perché è il luogo naturale in cui uomo e una donna si amano reciprocamente donando tutto se stessi e aprendosi alla vita; e infine perché è la cosiddetta Chiesa domestica, ovvero il luogo primario di trasmissione della fede e di annuncio del Vangelo. Allo stesso tempo è un dolore perché è attraversata da alcune ferite profonde che ne deturpano l’immagine e la sua esistenza.
Quali sono queste ferite?
Ne indico tre, quelle che, come pastore, vedo più spesso: innanzitutto, le difficoltà che hanno le giovani generazioni a pensarsi come famiglia, ad essere una famiglia, intesa come relazione “per sempre”. Questa difficoltà è causata da una diffusa cultura “usa e getta” che mercifica tutto e che confonde il romanticismo e la sensualità con l’amore vero e gratuito. In secondo luogo, le famiglie segnate dalla precarietà lavorativa o, all’opposto, da ritmi lavorativi pressanti, che si trovano a vivere in grandi città, soli, senza nonni e con le donne che spessissimo si trovano davanti un ricatto ignobile: la maternità o il lavoro. E infine, le famiglie spezzate che troppo spesso finiscono in un vortice senza fine di dolore e sofferenza che fa sentire le sue conseguenze nel tempo, per molti anni, e a molte persone vicine al nucleo familiare che si è rotto: genitori, figli, nipoti, nonni, parenti.
Un altro tema su cui lei si sofferma molto sono i migranti e i rifugiati. Cosa fare per aiutare queste persone nel cui viso, come ha scritto, si può scorgere “il volto di Cristo”?
Innanzitutto, avere la consapevolezza di quello che sta accadendo. E non mi sembra che questo accada sempre nell’opinione pubblica occidentale. Eppure le notizie e le immagini che ci arrivano sono terribili. È una situazione drammatica e unica nel suo genere, che non è destinata a fermarsi. Siamo di fronte ad un fatto storico. In secondo luogo, è doveroso gestire l’emergenza umanitaria. Ed è necessario farlo con tutti i mezzi a nostra disposizione. Serve l’aiuto di tutti, volontari, associazioni non governative. Per esempio, Croce Rossa, Caritas internazionale, Ordine di Malta. Questi uomini, donne e bambini per sopravvivere hanno bisogno dell’aiuto di tutte le persone di buona volontà. E infine servono delle politiche internazionali di largo respiro e di grande lungimiranza. Occorre la Politica con la maiuscola, quella che sa assumersi responsabilità e, al tempo stesso, sa guardare alla dignità umana. È triste e drammatico limitarsi a dire di voler costruire muri o chiudere le frontiere.
Il tema dei cristiani perseguitati è ricorrente e, nella XII stazione, lei ha anche scritto che i nuovi martiri sono gli “apostoli del mondo contemporaneo”. Può essere questa una delle chiavi di lettura delle sue meditazioni?
Non è l’unica chiave di lettura ma è sicuramente uno dei passaggi più importanti. Senza dubbio il legame tra annuncio e martirio è una caratteristica fortissima del XX e del XXI secolo. Io ho fatto solo pochi nomi, come Massimiliano Kolbe ed Edith Stein, ma l’elenco poteva essere lunghissimo. Un elenco costituito da centinaia di migliaia di persone per lo più sconosciute che hanno testimoniato con la propria vita la loro adesione a Cristo. Oggi ci sono alcuni luoghi del mondo in cui si può morire per il solo fatto di essere cristiano. Anche fare un funerale significa compiere non solo un gesto di pietà ma di grande eroismo fino a rischiare di perdere la vita. Questo è il più grande annuncio del Vangelo che si possa compiere oggi.
Molti affermano che quest’epoca che stiamo vivendo sia, nel suo complesso, una delle più difficili per l’umanità e per la Chiesa in modo particolare: divisioni, scandali, secolarizzazione, persecuzioni. Una condizione quasi pre-apocalittica, quasi una Via Crucis per la Chiesa intera. Qual è la sua opinione in merito?
Penso, molto semplicemente, che dobbiamo tenere lo sguardo in alto verso il crocifisso, “con fede retta e speranza certa”, come diceva san Francesco, e non farci ingannare, come ho scritto nelle meditazioni, dai “profeti di sventura che annunciano sempre il peggio”, come disse San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II, o, all’opposto, “da abili pifferai che anestetizzano il nostro cuore con musiche suadenti che ci allontanano dall’amore di Cristo”. Insomma, se mi si permette una sintesi giornalistica, consiglierei di stare in guardia sia dai catastrofisti che dai buonisti. Non abbiamo bisogno di predicatori che annunciano una fede fondata sulla paura e neanche di benpensanti dispensatori di verità a buon mercato. Abbiamo bisogno di seguire Gesù sul Calvario e di attendere la sua resurrezione.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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