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Luisa Muraro: una voce femminista contro l'utero in affitto

Nel pamphlet “L’anima del corpo”, la filosofa spiega la diffusione di questa pratica con il fatto che “la legge la fanno sempre più i soldi”. E fa appello alla civiltà e all’umanità per non accettare tutto “indifferentemente”

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“Ci sono strade che non bisogna prendere, ci sono ponti che non bisogna attraversare, ci sono possibilità che non bisogna cogliere”. Il saggio consiglio sull’importanza del senso del limite giunge da Sun-tzu nell’Arte della guerra, antico libro della sapienza cinese.
A declinare questa massima nella realtà contemporanea ci ha pensato Luisa Muraro, figura storica del femminismo italiano, nel suo scorrevole e mordace pamphlet L’anima del corpo – Contro l’utero in affitto, recentemente pubblicato dall’Editrice La Scuola.
La sua è l’ennesima voce di una movimentista della prima ora per i diritti della donna che si leva contro questa pratica che – sottolinea lei stessa – è “garantita dalla tecnoscienza e dal diritto commerciale”.
Due fattori, la tecnoscienza e il diritto commerciale, il cui esercizio lede la dignità delle persone umane. Il fatto che riescano a farlo senza provocare insorgenze di massa – secondo l’autrice – si spiega con “l’incoerenza” dei cambiamenti storici.
La Muraro ricorda infatti che “il divieto della compravendita di creature da adottare viene dalla lotta per l’abolizione dello schiavismo moderno”. Battaglia che ha visto impegnate nella stessa barricata “la migliore filosofia politica” e “le migliori forze sociali, dai gesuiti nell’America latina alle femministe nell’America del nord”.
Si tratta tuttavia di un capitolo della storia ormai chiuso. “La maternità surrogata appartiene a un tempo successivo, il nostro, dove la legge la fanno sempre più i soldi”. Ecco allora che rischia di apparire come normale, come un dato di fatto ineliminabile, “l’idea di commissionare la confezione di una creaturina umana con un regolare contratto commerciale”.
Con stile tagliente, la Muraro rileva che in passato una simile idea sarebbe potuta apparire al massimo “in qualche romanzo di fantascienza per descrivere gli usi e costumi di una civiltà aliena”. Una civiltà che avrebbe forse stimolato la curiosità dell’uomo, al fine di studiare le conseguenze dell’istituzione di un mercato “per le creature del corpo femminile fecondo”.
Conseguenze che in parte appaiono oggi già evidenti ai nostri occhi: affari e profitto. Ricchi (poveri) che si arrogano il lusso di sfruttare il corpo di tante donne (povere) per ricavarne un bambino da possedere.
Ci sono poi quelle conseguenze che, data la relativamente recente diffusione dell’utero in affitto su vasta scala, non si sono espresse ancora. Ma sulle quali il dibattito esiste già ed è serrato. Che società sarebbe, la nostra, se venisse reciso sul nascere il legame tra la persona umana e la propria madre?
“La relazione materna – osserva la Muraro – ha il suo fulcro nel rapporto che si stabilisce nei mesi di gravidanza e con il parto, seguiti da cure affettuose nei primi mesi e anni di vita”. Di qui la nascita di quello “speciale sentimento interiore” che accompagna i figli in tutte le loro fasi fino alla vecchiaia e che è compendiato dal detto popolare “di mamma ce n’è una sola”.
Del popolo e delle sue perle di saggezza restano ormai le antiche vestigia, svuotate da una società dove regna l’individualismo. Il processo che ne è stato la causa è passato anche attraverso il periodo storico della contestazione. Di quegli anni vissuti in prima linea, la Muraro ricorda una polemica eloquente.
Spiega come rispose la sua compagna di lotta Maria Luisa Boccia a quelle femministe preoccupate di vedere “le donne ridotte a natura della funzione materna”. La Boccia sottolineò che “più del naturalismo, io temo che si pretenda di prescindere dalla natura”.
Un timore tutt’altro che peregrino, a guardare la realtà di oggi. E che nel caso della maternità surrogata assume i contorni di un vero e proprio tentativo di simulare il diritto di natura. Infatti il bambino separato dalla madre ha la capacità di “ricostituire nelle persone che le subentrano” una sorta di rapporto genitoriale.
La Muraro diffida però di questa finzione. Esclama, riferendosi ai committenti dell’utero: “Se le parole hanno un senso, voi siete i surrogati!”. Essi, rammenta l’autrice, “realizzano il loro desiderio facendolo passare per esigenze che hanno creato loro stessi, separando la creatura da sua madre”.
E qui torna il tema del desiderio superbamente trasformato in diritto. Come torna il tema del senso delle parole. La Muraro interviene sulle polemiche scaturite dal diverso nome da affibbiare alla pratica in questione: “utero in affitto”, “maternità surrogata” o “Gpa” (gestazione per altri). E punta l’indice contro “quei personaggi kafkiani” che “inventano sigle che non hanno significato” solo “per uniformare il linguaggio e il pensiero”.
Diktat culturali cui bisogna opporsi. Del resto – ammonisce la Muraro -“civiltà e umanità stanno appese al nostro non accettare di fare così o colà, indifferentemente”. Ecco allora che si rende necessario riaprire quel capitolo della storia in cui si combatteva contro lo schiavismo.

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Federico Cenci

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