Luigi Gonzaga: quando la rinuncia diventa carità e servizio

La sua testimonianza insegna che credere nella vita eterna è frutto di un cammino di fede nel quale spendere la propria vita a servizio degli altri

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Ogni vita umana è affascinante e ammirevole ma la conoscenza della vita dei Santi dona conforto, suscita ammirazione e ispira un desiderio profondo di lode a Dio. Luigi Gonzaga è un esempio eloquente di come il progetto dei genitori sui figli possa essere ribaltato davanti al disegno di Dio.
Luigi nacque a Castiglione delle Stiviere (Mantova), il 19 Marzo del 1568. Il padre, il marchese Ferrante Gonzaga, decise di avviare il figlio alla carriera militare all’età di 5 anni. Il piccolo iniziò a sentire inadeguata quella imposizione paterna; all’età di 10 anni decise nel suo cuore di fare voto di umiltà, castità e obbedienza, nutrendo il vivo desiderio di dedicare la sua vita al servizio di poveri, ammalati ed emarginati.
Questi santi propositi vennero rafforzati e confermati dal sacramento della comunione, ricevuta a Brescia all’età di 12 anni da San Carlo Borromeo. Dopo qualche anno decise di entrare nella Compagnia di Gesù, ma dovette ritardare di due anni il suo proposito per la forte opposizione da parte di suo padre. Spogliatosi dei titoli e dell’eredità paterna, entrò nel collegio romano dei gesuiti impegnandosi a servire gli ultimi, i bisognosi e gli abbandonati della società, con particolare attenzione verso gli ammalati di peste, una piaga che aveva colpito la città di Roma nel 1590 e che contagiò lo stesso Luigi mentre portava un appestato sulle sue spalle verso l’ospedale. Morì il 21 giugno del 1591, all’età di 23 anni. Il suo corpo riposa nella Chiesa di Sant’Ignazio a Roma.
La breve vita di Luigi è un compendio di vita cristiana. La prima cosa che colpisce è il suo misterioso desiderio di distaccarsi dalla vita agiata e mondana alla quale era stato introdotto dal padre, per scegliere una vita semplice, umile e povera. Tale trasformazione nacque dall’avere sperimentato in tenera età l’effimero, la superficialità, la corruzione e le rivalità che serpeggiavano nei luoghi frequentati dai notabili e dai potenti di questo mondo. Luigi aveva scoperto che il potere, la ricchezza, la fama, la carriera, l’arrivismo erano un prezzo da pagare troppo alto che significava fare continui compromessi con la corruzione, la calunnia, la maldicenza e la violenza. Il suo cuore comprese che le virtù cristiane del servizio e della generosità erano l’unica via per giungere a quella gioia che solo Dio può donare nella sua pienezza.
Vi sono tanti elementi della vita di Luigi che possono sembrare paradossali ma in realtà rivelano la sua forte ed intensa spiritualità cristiana. Egli viveva la sua vita religiosa praticando continuamente penitenze evangeliche, a tal punto che i formatori del collegio gli impedirono di fare penitenza. Non fare penitenza diventò per lui la vera penitenza. È curioso notare che il mondo di oggi considera la penitenza come un gesto di ingiustizia e di follia umana, perché rifiuta con decisione i sacrifici e le privazioni ed elimina tutto ciò che ostacola il benessere fisico, la ricchezza e la notorietà.
A causa di un’emicrania che colpì da giovane Luigi, il suo rettore gli consigliò di dedicarsi meno all’orazione, ma per lui fu impossibile obbedire perché la sua mente era continuamente rivolta a Dio e solo in Lui trovava l’autentico ristoro. Avere la mente rivolta perennemente a Dio è la situazione opposta del mondo attuale: l’uomo di oggi è frequentemente distratto dal pensiero di Dio e vive senza ricordarsi degli insegnamenti e dei voleri divini. Questa dimenticanza di Dio è la causa di quel senso di confusione, di sfiducia e di tristezza che rende pesante il presente ed incerto il futuro.
Luigi avvertiva la reale presenza del Signore e riconosceva tutta la sua inadeguatezza tanto da sussurrare le stesse parole pronunziate dall’apostolo Pietro a Gesù: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8). Oggi è raro sentire queste umili parole cariche di meraviglia, perché sempre più di rado l’uomo avverte la vicinanza del Signore cadendo nella trappola spirituale di attribuire i propri successi ai meriti personali.
Anche se Luigi aveva rinunziato alle ricchezze e al titolo nobiliare di marchese, non provava vergogna nell’andare presso le case di ricchi per chiedere l’elemosina, e pur avendo rivestito un armatura imponente e abiti lussuosi non sdegnava di avvicinarsi ai moribondi e agli esclusi. Il suo sguardo di fede gli faceva vedere in essi la presenza viva dello stesso Gesù Cristo.
Oggi l’Europa è invasa da una esodo biblico di profughi e migranti che cercano comprensione, ospitalità ed accoglienza all’intero di una famiglia, ma la cecità e la sordità spirituale ha indurito i nostri cuori non facendoci vedere il bisogno di questa gente e non riconoscendo in essi la presenza di Gesù che bussa alle porte dei nostri cuori e delle nostre case.
Celebre fu la lettera indirizza alla madre durante la sua malattia, nella quale invitava ad avere fiducia nel futuro, perché era sicuro che lui sarebbe stato più utile da morto che da vivo; dalla casa del Padre egli avrebbe potuto intercedere per loro e avrebbe goduto della pienezza di quella pace e di quella gioia che aveva iniziato a pregustare sulla terra.
Luigi insegna che credere nella vita eterna è prima di tutto una grazia ma è anche frutto di un cammino di fede nel quale spendere la propria vita a servizio degli altri, sapendo che il tempo di riposo avverrà nella dimora preparata dal Padre, dove verrà Gesù a servirci al banchetto celeste.
I nostri tempi hanno smarrito e deprezzato il valore del servizio gratuito e disinteressato, preferendo l’edonismo, il consumismo e le comodità. Tutti atteggiamenti interiori di chi non vuole prendere sulle sue spalle la croce della fatica e della disponibilità per la famiglia, i figli, i migranti e i poveri, ma preferisce una “spiritualità da salotto” che non si sporca le mani nella società. E che impedisce di immettere quel lievito della carità che produce quel pane della condivisione che è l’unica via per rendere più umano e vivibile il nostro pianeta.

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Osvaldo Rinaldi

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