Lottare per entrare nel cuore del Padre

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo per la XXI domenica del Tempo Ordinario

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di Zenit la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XXI.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.

Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.

***

LECTIO DIVINA 

Lottare per entrare nel cuore del Padre

Rito romano

XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 25 agosto 2013.

Is 66, 18-21; Sal 116; Eb 12, 5-7.11-13; Lc 13, 22-30

Cristo Porta, Via, Verità e Vita

Rito ambrosiano

Domenica che precede il martirio di San Giovanni il Precursore

2Mac 6,1-2.18-28; Sal 140; 2Cor 4,17-5,10; Mt 18,1-10 

I bambini capiscono ed accolgono la Verità

1) La vera questione non è chi si salva, ma come ci si salva.

Nel brano evangelico di oggi ci viene descritto Gesù in cammino verso Gerusalemme, dove va morire e lungo la strada insegna a chi lo segue la via per entrare nella casa del Padre. Per sottolineare che la salvezza non è un problema di numero, perché essa è opera di Dio che vuole che tutti si siano salvati[1] e giungano alla conoscenza della verità, alla domanda: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13, 23), il Messia risponde con un imperativo: “Sforzatevi!” (meglio: “Lottate”[2]).

La lotta di cui parla Gesù, alla luce della buona notizia (il Vangelo), è la lotta contro l’autosufficienza, contro la ricchezza del cuore che è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita.

Gesù invita ad accogliere la potenza salvatrice di Dio, impegnandosi con tutte le forze nel buon combattimento della fede, passando attraverso di Lui, che è la Porta, per cui si riesce a entrare nel cuore del Padre.

Ad entrare per questa porta sono i poveri in spirito, sono quelli che hanno piena e dolorosa coscienza della loro povertà spirituale, della imperfezione della loro anima, della scarsità di bene che c’è in noi. Solamente i poveri, che conoscono di essere davvero poveri, soffrono di questa indigenza e si sforzano e lottano per uscirne, mendicando la misericordia.

Ce ne sono testimoni ed esempio gli Apostoli, ai quali molto è stato perdonato, perché, eccetto in qualche momento, ebbero fede in Lui; perché si sforzarono di amarlo come voleva esse amato e perché, dopo avere abbandonato l’Amore nell’Orto del Getsemani, non Lo dimenticarono più e lasciarono per l’eternità la memoria delle sue parole e della sua vita.

Ora siamo nel tempo favorevole in cui è aperta la porta della Salvezza. E’ infatti il tempo in cui il Padre ci invita alla conversione, mediante la predicazione apostolica. La sapienza consiste nell’accogliere prontamente questo invito, che implica

–          una lotta per la perseveranza: “Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato” (Eb 12, 4),

–          uno sforzo di fedeltà nella vita di ogni giorno: “Bene servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21),

–          una devota accoglienza della Parola: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome i quali non da sangue, né da volere id carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1, 12-13).

2) L’ascesi di comunione[3]

La lotta a cui Cristo ci invita può essere chiamata anche ascesi [4], per cui si parla anche di palestra ascetica. Tuttavia va tenuto presente che l’ascesi non una ginnastica e neppure una lotta che calpesta non gli altri ma se stessi. Secondo me è prima di tutto una modalità di “lotta” (e molti sono i metodi ascetici), il cui scopo principale è la comunione con Dio. E’ soprattutto un cammino, un pellegrinaggio che è detto ascetico perché implica un esercizio, una tensione costante, stupita e energica verso l’alto, impegnando la propria vita nel desiderio della santità attraverso una «regola» di ascesi personale, di comunione vissuta e di carità. Per esempio, Giovanni Climaco (vissuto tra il 6° ed il 7° secolo) nel suo libro La scala del Paradiso sostiene che il cristiano in questo mondo è uno straniero di passaggio, che tende alla città di Dio, avanzando nel deserto pieno di pericoli e privo di consolazioni, come gli Ebrei pellegrini nel deserto per giungere al Monte Sinai dove Dio dà la Legge per l’alleanza di comunione.

“E l’ascesi è proprio questo: che diventi in noi familiare, nonostante tutto, la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione della vita: a Cristo, Presenza che salva. A noi tocca camminare senza smettere di domandare”[5] e di tenere vivo lo stupore di essere amati.

La persona umana è in viaggio[6] perché è fuori di casa sua (come il figlio prodigo) e la sua casa è in qualche modo impossibile da essere raggiunta con le sole sue forze. Egli può essere risanato dalla grazia e l’ascesi è solamente una conseguenza di questa grazia che il Padre dona, con il suo perdono.

Certo va tenuto presente che lo sforzo spirituale, la vita ascetica sono facilitate e autenticate da una sequela ad una persona autorevole e ad una immanenza nella comunità della Chiesa.

Si pensi, per esempio, alla Vergine consacrate che vivono sulla forma di vita di Cristo e sono chiamate ad essere l’esegesi vivente della Parola di Dio, alla quale sono invitate ad accostarsi in modo costante. Alimentate dalla Parola, che è da loro ascoltata, accolta, contemplata, celebrata quotidianamente, vissuta come imperativo di vita, celebrano la Trinità, sono segno di fraternità e servono la carità. Giovanni Paolo II cita Paolo per affermare che “compito della vita consacrata è di lavorare in ogni parte della terra per consolidare e dilatare il regno di Cristo, portando l’annuncio del Vangelo dappertutto” (Vita Consacrata, 78; cf. Lumen gentium, 44).

Il Cristianesimo non sono regole da eseguire, ma un Amore da seguire umilmente, come ci ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “In verità vi dico: Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” ( Mt 18,3). E che altro significa divenire bambini se non divenire umili? Si chiedeva San Bernardo di Chiaravalle.

Ma per vivere l’amore e salvarsi occorre lo sforzo di imboccarne la via con umiltà e come insegnava il Card. John H. Newman avere il “culto degli affetti domestici” cioè l’amore dei parenti e degli amici è “la fonte di un amore cristiano più esteso”. Gli affetti domestici vissuti in una comunità concreta con altri sono una scuola che richiede atti di donazione e di abnegazione (quindi di ascesi) rendendo l’amore forte e perseverante.

*

LETTURA PATRISTICA

Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici»
di san Bernardo di Chiaravalle, abate
sull’amore come ascesi

L’amore é sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. E’ se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa é l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L’amore é il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo a
lla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all’amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l’Amore? Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all’Amore, ella che nel ricambiare l’amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell’Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell’amore. E’ certo che non potranno mai essere equiparati l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all’assetato. Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l’ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non é capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l’agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che é l’Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché é inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’é tutto. Perciò per lei amare così é aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.

*

NOTE

[1] Cfr, per es., Gv 3,16-21, 6, 26-70; Mt 19, 14-29; Rm 10, 5-21; Ef  2. 1-10; Tim 2, 1-8.

[2] Alla lettera Gesù dice “lottate per entrare per la porta stretta”, infatti nel testo greco c’è: “agonìzate” = lottate, da cui le parole “agone” e “agonia”. D’altronde Cristo sta andando a Gerusalemme per affrontare la sua passione, la sua agonia.

[3] “Ascesi di comunione” è un’espressione ed il titolo di un libro di Don Divo Barsotti.

[4] dal latino ascesis che deriva dal greco ἄσκησις derivazione di ἀσκέω cioè “esercitare”. La definizione che se ne dà è: “esercizio” o “pratica” spirituale e fisica, composta di preghiera, meditazione e varie attività anche fisiche per tendere alla perfezione interiore, per distacco dal mondo materiale per ascendere verso il Cielo. Il giudizio sulla realtà senza preconcetti alienanti, irragionevoli, richiede un «distacco da sé» (cfr. Lc 17,33), un lavoro faticoso che, nella tradizione religiosa, si chiama ascesi, e che può essere realizzato solo dalla persuasione dell’«amore a noi stessi come destino, come affezione al nostro destino, che è Dio.

[5] Luigi Giussani, Alla ricerca del volto umano. Contributo ad una antropologia, Milano 1995, p. 92.

[6] Ysabel de Andia, La Voie et le voyageur, Essai d’anthropologie de la vie spirituelle, Paris, Editions du Cerf, 2012, pages 1024. E’un saggio di antropologia che presenta l’uomo nel suo cammino verso Dio, dalla terra al cielo. “Straniero e viaggiatore sulla terra” (Eb 11, 13), l’uomo segue la via di Dio che si rivela in Cristo “Via, Verità e Vita” (Gv 14, 6).

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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