Loris Capovilla, il “messaggero” del Papa buono

L’arcivescovo di Chieti-Vasto ricorda quello che fu il segretario di Papa Giovanni XXIII

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Lo scorso 26 Maggio ha concluso la sua esistenza terrena il card. Loris Francesco Capovilla, che fu segretario particolare di Giovanni XXIII, testimone diretto dei primi passi del Concilio Vaticano II, custode fedele delle memorie del “Papa buono” e dello spirito profetico dell’assise conciliare.
È grazie a Lui che il messaggio di Papa Roncalli ha potuto essere conosciuto nei suoi risvolti più intimi e nelle sue aperture più profonde, per essere colto in tutta la sua freschezza, vivo dell’attualità sempre viva del Vangelo. Chi ha avuto il dono di conoscere da vicino Capovilla ha potuto facilmente riconoscere in lui gli stessi tratti che furono caratteristici di Papa Giovanni: una bontà serena, gioiosa, irradiante, e un’intelligenza vivace, cordiale, accogliente per tutti, in ascolto rispettoso anche di quanti potessero apparire “avversari” della Chiesa.
La Sua amabilità non era che l’espressione del Suo continuo sentirsi custodito da Dio: sapendosi profondamente amato dal Signore, sapeva voler bene agli altri, a ogni altro per quanto diverso o lontano sembrasse, per sovrabbondanza del cuore.
Questo movimento sorgivo di affetto, libero, gioioso, d’una generosità irradiante, era il tratto di don Loris che più s’imprimeva in chi aveva il dono di incontrarlo. L’umile stare alla presenza di Dio, nutrito di preghiera, si coniugava in lui a un’intelligenza penetrante e a una libertà grandissima, a uno sguardo sempre curioso e scevro da condizionamenti, a una fede rocciosa, capace di vincere ogni calcolo di corta misura.
È stata questa umiltà credente a donargli la capacità di vedere lontano, per suggerire stimoli al cammino dei tanti che gli hanno voluto bene e all’intera comunità ecclesiale. Così, ad esempio, le lettere pastorali inviate da lui alla Chiesa di Chieti – Vasto, di cui fu Arcivescovo dal 1967 al 1971, sono testimonianza eloquente di uno sguardo lungimirante, aperto a Dio e al Suo Regno che viene.
Nei dodici anni già trascorsi del mio servizio episcopale nella sede che era stata di Capovilla egli è stato – come amavo ripetergli – il mio “Mosé sul monte”, che con le mani alzate della preghiera fedele ha accompagnato il mio ministero di Pastore del popolo che era stato anche il Suo e che gli era rimasto nel cuore.
Tanti stimoli mi sono venuti dalla sua intelligenza, umile e abbandonata a Dio, per discernere i segni dei tempi nella storia degli uomini e corrispondere ad essi sul suo esempio con passo deciso e cuore gioioso. Come Giovanni XXIII, il Papa che – secondo quanto raccontava don Loris -, interessato solo ad obbedire a Dio, non aveva avuto paura di far brutta figura con la storia e aveva avviato con coraggiosa fiducia la primavera del Concilio Vaticano II, così Capovilla – discepolo di un tale Maestro – sapeva essere audace nel coniugare la fedeltà alla storia e la fedeltà all’Eterno.
Una sua lettera fra altre ne è testimonianza eloquente: era l’ottobre del 2012 e si faceva memoria del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, voluto dal “Papa buono”. Capovilla, emozionatissimo da quella scadenza, mi scriveva in quei giorni: “Caro Fratello Arcivescovo Bruno, prima del sorgere del sole sono in preghiera. Parlo a Gesù, alla Madre sua, ai Beati comprensori.
Tengo fissi i miei occhi sul capitolo VII della Lumen gentium [il capitolo sull’indole escatologica del popolo di Dio della Costituzione conciliare sulla Chiesa]. Canto l’antifona Regina caeli laetare alleluia… Offro tutta la giornata, con più intenso fervore, alla terra di San Giustino [patrono di Chieti e della diocesi teatina].
Stringo al cuore i nonni, i genitori, i figli e nipoti di quanti un giorno mi furono affidati dalla Provvidenza. Abbraccio Lei, venerato Fratello, e uno ad uno i miei confratelli presbiteri. Ripeto con tenerezza: amo e trepido. Piango e spero. La situazione del nostro Paese è quella che è. Rivelarne le motivazioni di angoscia o di sofferenza non è da persona saggia. Dal fondo dei secoli, l’inclito San Giustino mi esorta a rimeditare il brano di una lettera di un grande amico.
Chi lo legge balza in piedi. Chi lo assimila apprende l’arte « di pensare in grande, di guardare alto e lontano » (Giovanni XXIII) e si incammina coraggioso verso il domani: « … Non si deve parlare di futuro nero… drammatico forse, doloroso anche. Noi cristiani abbiamo solo il diritto di creare la gioia… In tempo di miseria, non possiamo cancellare le nostre miserie. L’opera che dobbiamo compiere è far passare nella nostra vita, nei nostri occhi, questa trasfigurazione sorprendente che ci farà entrare, se lo si vuole e mano a mano che la felicità si allontanerà da noi, nella gioia intramontabile propria dell’infanzia » (Emmanuel Mounier, Lettere alla giovane moglie Paulette, 23. IX. 1939)”.
La lettera si concludeva con l’appello che era diventato una sorta di ritornello sulle labbra dell’anziano Pastore: “Coraggio e fiducia. Tantum aurora est”. Siamo appena all’aurora: tale era la convinzione del centenario don Loris, che riassumeva in queste parole la sua fiducia assoluta nella provvidenza divina e nelle sorprese di luce e di bellezza che l’Eterno riserva a coloro che confidano in Lui. Tale era Lui: prigioniero della speranza fino all’ultimo, fino alle parole ancora dettemi per telefono appena tre giorni prima della morte: “Accompagno lei e la diocesi… Benedicat vos omnipotens Deus, Pater et Filius et Spiritus Sanctus…”.
Intuivo che fosse il suo congedo, mentre avvertivo l’intensità di fede e di speranza e la profondità di amore con cui quelle parole erano dette da un uomo che aveva superato il secolo di età e sapeva ancora essere aperto con commozione e totale fiducia alle sorprese di Dio. Chiudo questa memoria sgorgata dal cuore ricordando il suo delizioso senso dello “humour”: una domenica in cui in uno dei miei fondi su questo giornale avevo citato Giovanni XXIII, non tardò a farmi giungere questo folgorante messaggino: “Oggi Il Sole splende… a pagina uno e dodici”.
Pubblicato anche da  Il Sole 24 Ore, Domenica 29 Maggio 2016, pagine 1 e 10
 

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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