Libertà religiosa contro il laicismo e il fondamentalismo (Seconda parte)

Un commento sull’esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Oriente”

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di Massimo Introvigne

ROMA, domenica, 16 settembre 2012 (ZENIT.org).- Alla vera nozione di libertà religiosa, e al corretto rapporto fra religione e politica, si oppongono – come già si è accennato – da una parte il laicismo e dall’altra il fondamentalismo. «Come il resto del mondo, il Medio Oriente conosce due realtà opposte: la laicità, con le sue forme talvolta estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa»45. Il problema è che spesso alcuni ambienti musulmani, rifiutando il laicismo – cioè l’inaccettabile e assoluta separazione fra religione e politica – finiscono per rifiutare anche la laicità, che è invece la corretta e necessaria distinzione fra queste due realtà, che evita la confusione tra loro che è tipica del fondamentalismo. «È con grande sospetto che alcuni responsabili politici e religiosi medio-orientali, di tutte le comunità, considerano la laicità come atea o immorale. È vero che la laicità può talvolta affermare, in maniera riduttiva, che la religione riguarda esclusivamente la sfera privata, come se non fosse che un culto individuale e domestico, situato fuori dalla vita, dall’etica, dalla relazione con l’altro. Nella sua forma estrema e ideologica, questa laicità, diventata secolarismo, nega al cittadino l’espressione pubblica della sua religione e pretende che solo lo Stato possa legiferare sulla sua forma pubblica»46. In verità, nota il Papa, «queste teorie sono antiche. Esse non sono più soltanto occidentali e non possono essere confuse con il cristianesimo»47. I musulmani hanno ragione di rifiutarle, ma questo rifiuto del laicismo non dovrebbe coinvolgere la laicità, che ha anche una sua forma sana e accettabile.

La spiegazione di che cosa si debba intendere per sana laicità, distinta e anzi opposta al laicismo, è particolarmente importante. «La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione. Il rapporto appropriato si fonda, innanzitutto, sulla natura dell’uomo – dunque su una sana antropologia – e sul pieno rispetto dei suoi diritti inalienabili. La presa di coscienza di questo rapporto appropriato permette di comprendere che esiste una sorta di unità-distinzione che deve caratterizzare il rapporto tra lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), perché ambedue sono chiamati, pur nella necessaria distinzione, a cooperare armoniosamente al bene comune. Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile ad entrambe»48. Tra religione e politica non dovrebbe esserci né confusione né separazione, ma insieme unità e distinzione nella collaborazione. A causa delle peculiari circostanze del Medio Oriente, riconquistare questa verità non è facile. «La sfida costituita dalla relazione tra politica e religione può essere affrontata con pazienza e coraggio mediante una formazione umana e religiosa adeguata. Occorre richiamare continuamente il posto di Dio nella vita personale, familiare e civile, e il giusto posto dell’uomo nel disegno di Dio. E soprattutto, a tale scopo, occorre pregare di più»49.

Il rischio, naturalmente, non è costituito solo dal laicismo, C’è anche, all’estremo opposto, il fondamentalismo. «Le incertezze economico-politiche, l’abilità manipolatrice di certuni ed una comprensione insufficiente della religione, tra l’altro, costituiscono la base del fondamentalismo religioso. Quest’ultimo affligge tutte le comunità religiose, e rifiuta il vivere insieme secolare. Esso vuole prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche»50. Cristiani, ebrei e musulmani dovrebbero lavorare insieme al fine «di sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni»51. «Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio, per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomodanti, o le nostre violenze, è un gravissimo errore»52.

Le conseguenze degli errori in tema di rapporto fra religione e politica non si limitano alla sfera teorica. Si manifestano in modo tragico, inducendo i cristiani della regione a emigrare, mentre nei Paesi più ricchi della zona affluiscono lavoratori immigrati, spesso a loro volta cristiani, i cui diritti alla libertà religiosa e alla dignità del lavoro spesso non sono rispettati. I cristiani, «per esperienza, sanno anche di essere vittime designate quando vi sono dei disordini. Dopo aver partecipato attivamente nel corso dei secoli alla costruzione delle rispettive nazioni e contribuito alla formazione della loro identità e alla loro prosperità, i cristiani sono numerosi a scegliere cieli più propizi, luoghi di pace in cui essi e le loro famiglie potranno vivere degnamente e in sicurezza, e spazi di libertà dove la loro fede potrà esprimersi senza che siano sottomessi a diverse costrizioni»53. Questa massiccia emigrazione dei cristiani dovrebbe essere ove possibile prevenuta, mentre nei Paesi dove si recano i cristiani medio-orientali dovrebbero essere oggetto di un adeguato accompagnamento pastorale, che ne rispetti le peculiarità.

Nello stesso tempo, il Medio Oriente conosce oggi «la presenza nei paesi ad economia forte della regione di lavoratori di ogni sorta provenienti dall’Africa, dall’Estremo Oriente e dal subcontinente indiano. Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà. Sono stranieri nel paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia»54. «Sfruttati senza potersi difendere, con contratti di lavoro più o meno limitati o legali, queste persone sono talvolta vittime di infrazioni delle leggi locali e delle convenzioni internazionali. D’altra parte, subiscono forti pressioni e gravi limitazioni religiose»55.

Se la prima parte dell’esortazione apostolica descrive il contesto sociale, politico e religioso del Medio Oriente – occasione per riflessioni che interessano tutta la Chiesa universale – la seconda e la terza entrano più direttamente nei problemi delle comunità cattoliche locali. Mi limito in questa sede a segnalarne alcuni. Anzitutto, com’è noto nei riti cattolici orientali vi sono – a differenza che nel rito latino – sacerdoti sposati, che sono a pieno titolo sacerdoti cattolici e coesistono con presbiteri che hanno scelto il celibato. Il Pontefice afferma che «il celibato sacerdotale è un dono inestimabile di Dio alla sua Chiesa, che occorre accogliere con riconoscenza, tanto in Oriente quanto in Occidente, poiché rappresenta un segno profetico sempre attuale. Ricordiamo, inoltre, il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali. Vorrei rivolgere il mio incoraggiamento anche a questi presbiteri che, con le loro famiglie, sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro condizioni di vita a volte difficili. A tutti ribadisco che la bellezza della vostra vita sacerdotale susciterà senza dubbio nuove vocazioni che toccherà a voi coltivare»56.

La ricchissima storia del
monachesimo medio-orientale dovrebbe a sua volta spingere tutti i cattolici, anche quelli che monaci non sono, a «meditare lungamente e con cura sui consigli evangelici: l’obbedienza, la castità e la povertà, per riscoprire oggi la loro bellezza, la forza della loro testimonianza e la loro dimensione pastorale. Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio, col prossimo e con se stessi»57.

Altre indicazioni ribadiscono temi spesso affrontati da Benedetto XVI anche in contesti diversi da quello medio-orientale. Così, i laici sono invitati a «superare le divisioni e ogni interpretazione soggettivistica della vita cristiana. Fate attenzione a non separare questa – con i suoi valori e le sue esigenze – dalla vita in famiglia o nella società, nel lavoro, nella politica e nella cultura, perché tutti i vari campi della vita del laico rientrano nel disegno di Dio»58. Tra i campi d’impegno sociale e politico il Papa segnala la difesa della famiglia, in un contesto internazionale in cui «le proprietà essenziali del matrimonio sacramentale – unità e indissolubilità (cfr Mt 19, 6) – ed il modello cristiano della famiglia, della sessualità e dell’amore sono ai nostri giorni, se non contestati, almeno incompresi da certi fedeli. Vi è la tentazione di appropriarsi dei modelli contrari al Vangelo, veicolati da una certa cultura contemporanea, diffusa dappertutto nel mondo»59.

Speciale attenzione ha destato la parte dell’esortazione apostolica che, in un contesto segnato da discussioni sul tema specie all’interno del mondo musulmano, ribadisce la nozione cristiana dell’uguale dignità fra l’uomo e la donna. «Il primo racconto della creazione mostra l’uguaglianza ontologica tra l’uomo e la donna (cfr Gen 1, 27-29). Questa uguaglianza è ferita dalle conseguenze del peccato (cfr Gen 3, 16; Mt19, 4). Superare questa eredità, frutto del peccato, è un dovere per ogni essere umano, uomo o donna»60. «Vorrei assicurare a tutte le donne – prosegue Benedetto XVI – che la Chiesa cattolica, collocandosi nella fedeltà al disegno divino, promuove la dignità personale della donna e la sua uguaglianza con l’uomo, di fronte alle forme più varie di discriminazione alle quali è sottomessa per il semplice fatto di essere donna. Tali pratiche feriscono la vita di comunione e di testimonianza. Esse offendono gravemente non solo la donna, ma anche e soprattutto Dio, il Creatore»61.

Il Papa afferma che «i cristiani dei paesi della regione devono avere la possibilità di applicare nel campo matrimoniale e negli altri campi il loro diritto proprio, senza restrizione»62, cioè non devono essere sottoposti al diritto di famiglia islamico nei Paesi dove questo si confonde con la legge civile. È possibile tuttavia che anche nell’applicazione del diritto canonico cattolico ci siano talora problemi che derivano dal contesto culturale. Ecco allora la raccomandazione secondo cui «nelle vertenze giuridiche che, purtroppo, possono opporre l’uomo e la donna soprattutto in questioni di ordine matrimoniale, la voce della donna deve essere ascoltata e presa in considerazione con rispetto, al pari di quella dell’uomo, per far cessare certe ingiustizie»63. «La giustizia della Chiesa deve essere esemplare a tutti i suoi livelli e in tutti i campi che essa tocca. Bisogna assolutamente aver cura che le vertenze giuridiche relative a questioni matrimoniali non conducano all’apostasia»64.

La terza parte dell’esortazione fornisce indicazioni pastorali, catechistiche e liturgiche, che partono dall’accostamento alla Sacra Scrittura, raccomandando lo studio di un importante documento del Magistero dello stesso Benedetto XVI: «Nella prospettiva di un approccio ecclesiale alla Bibbia, una lettura, individuale e in gruppo, dell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini sarà di grande utilità»65. Dal contesto storico medio-orientale, il Papa trae un richiamo ai principi fondamentali illustrati nella stessa Verbum Domini. «Le scuole esegetiche di Alessandria, di Antiochia, di Edessa o di Nisibi hanno contribuito potentemente all’intelligenza e alla formulazione dogmatica del mistero cristiano nel IV e nel V secolo. La Chiesa intera ne è loro riconoscente. I sostenitori delle diverse correnti di interpretazione dei testi concordavano su alcuni principi tradizionali di esegesi, comunemente ammessi dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Il più importante è credere che Gesù Cristo incarna l’unità intrinseca dei due Testamenti e di conseguenza l’unità del disegno salvifico di Dio nella storia (cfr Mt 5, 17)»66. «Viene poi la fedeltà ad una lettura tipologica della Bibbia, secondo la quale certi fatti dell’Antico Testamento sono una prefigurazione (tipo e figura) delle realtà della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, chiave di lettura di tutta la Bibbia»67.

Sul piano pastorale, le Chiese del Medio Oriente aggiungono ai loro impegni quello di accogliere i milioni di pellegrini che vengono in Terrasanta. Si tratta di un pellegrinaggio cui la Chiesa non può rinunciare. «Improntato alla penitenza per la conversione e alla ricerca di Dio, ripercorrendo i passi storici di Cristo e degli Apostoli, il pellegrinaggio ai luoghi santi e apostolici può essere, se vissuto con fede e profondità, un’autentica sequela Christi. In un secondo tempo, dà anche ai fedeli la possibilità di impregnarsi maggiormente della ricchezza visiva della storia biblica che delinea davanti a loro i grandi momenti dell’economia della salvezza»68. A chi organizza pellegrinaggi Benedetto XVI fornisce anche un’ulteriore indicazione specifica: «Al pellegrinaggio biblico è opportuno anche associare il pellegrinaggio ai santuari dei martiri e dei santi, nei quali la Chiesa venera Cristo, fonte del loro martirio e della loro santità»69.

L’esortazione si chiude con due raccomandazioni consuete nel Magistero recente, relative all’Anno della fede e al Catechismo della Chiesa Cattolica. «L’Anno della fede che si situa nel contesto della nuova evangelizzazione sarà, se vissuto con intensa convinzione, un forte stimolo per promuovere una evangelizzazione delle Chiese della regione, e per consolidare la testimonianza cristiana»70. «Il Catechismo della Chiesa Cattolica è una base necessaria. Come ho già indicato, la sua lettura e il suo insegnamento devono essere incoraggiati, come anche un’iniziazione concreta alla Dottrina sociale della Chiesa»71.

[La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 15 settembre]

*

NOTE

45 Ibid., n. 29.

46 Ibid.

47 Ibid.

48 Ibid.

49 Ibid.

50 Ibid., n. 30.

51 Ibid.

52 Ibid.

53 Ibid., n. 31.

54 Ibid., n. 33.

55 Ibid., n. 34.

56 Ibid., n. 48.

57 Ibid., n. 54.

58 Ibid., n. 56.

59 Ibid., n. 58.

60 Ibid., n. 60.

61 Ibid.

62 Ibid., n. 61.

63 Ibid.

64 Ibid.

65 Ibid., n. 70. Cfr. sul punto M. Introvigne – Pietro Cantoni, Esegesi biblica e Concilio Ecumenico Vaticano II. Una riflessione sull’esortazio
ne apostolica postsinodale
Verbum Domini di Papa Benedetto XVI, in Cristianità, anno XXXVIII, n. 358, ottobre-dicembre 2010, pp. 19-33.

66 Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Oriente, cit., n. 70.

67 Ibid.

68 Ibid., n. 83.

69 Ibid.

70 Ibid., n. 88.

71 Ibid., n. 93.

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ZENIT Staff

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